Kremuzio

Fame


Brutta cosa la fame, non guarda in faccia a nessuno. Oggi che siamo in maggioranza sovrappeso, nel mondo occidentale, facciamo fatica a capirla. Già quando abbiamo “un certo languorino” corriamo ad aprire il frigorifero o entriamo in un bar o una rosticceria a satollarci di grassi idrogenati. Ogni piccolo stimolo ci spinge a soddisfarlo, non essendo più in grado di patire il benché minimo disagio. Eppure a leggere i saggi insegnamenti, dicono che bisognerebbe alzarsi da tavola con ancora un po’ di appetito. Io non ci riesco. Non è che mangio troppo, ma almeno a pranzo mangio maluccio. Poi a cena mi rifaccio e probabilmente mangio bene e troppo. Quando si leggono dei bambini denutriti che muoiono nel mondo a decine di migliaia ogni giorno, non riesco a capire. Sono stato fortunato a nascere in occidente. Loro sono stati sfortunati ma non lo capiranno mai. Moriranno prima di capirlo.Mi raccontavano i miei genitori ed altri che hanno vissuto in tempo di guerra, di come fosse un problema, ogni giorno, apparecchiare la tavola con un pranzo decente. Spesso si andava a dormire a pancia vuota. Non c’erano più gatti e cani randagi, in strada. Non facciamo finta di non capirlo: venivano mangiati. I tempi sono cambiati, fortunatamente. Oggi spendiamo una bella quota del PIL per cibare i nostri fratelli animali. Li riempiamo di scatolette e carne succulenta. Li facciamo ingrassare ed ammalare di malattie che un animale in natura non avrà mai. Li amiamo e coccoliamo e non faremmo mai loro del male. Noi.Da altre parti non è così. Si avvicina pasqua e inizierà la strage di agnellini. Si tratta di tradizioni ormai radicate nei tempi di grassa; tradizioni contadine in cui non devi fissare l’agnellino negli occhi prima di sgozzarlo, ed anche se lo fai non fa niente. E’ la vita, la natura, la sopravvivenza del forte sul debole, della razza dominante sulle razze allevate apposta per mangiarle. Ad un contadino non farebbe troppo orrore l’idea di mangiare un cane o un gatto, in mancanza di un maiale o di un pollo. C’era un film con Pozzetto nel quale la madre contadina, ogni volta che moriva il gatto, cucinava il coniglio. Quante storielle ho sentito riguardo al fatto di non ordinare mai il coniglio nelle trattorie. Esistono regioni italiane in cui le ricette dedicate agli amici dell’uomo fanno parte della tradizione anche se fanno un po’ ribrezzo (come la pajata nella cucina tradizionale romana).  Sembra inaccettabile, ma sono cose che si facevano quando i nostri avi avevano fame. E quando ho sentito la notizia che quell’antipatico conduttore televisivo è stato fatto allontanare perché aveva raccontato di come venissero messi a frollare i gatti prima di cucinarli, non sono rimasto sorpreso. Di sicuro è un cacciatore, abituato a sparare, ammazzare, scorticare animaletti ben più indifesi. La sensibilità verso i fratelli felini è sì, spesso esagerata, ma sappiamo cosa sono gli animali domestici in una cultura occidentale che ha perso di vista, però, la vita vera. Certo, io non mi mangerò mai un gatto o un cane, e mi repelle l’idea. Anche se fosse un animale di altri, o randagio, o allevato apposta. Troviamo sempre un certo tipo di umanità negli animali, seppure si tratti di esseri tutto istinto.  Ma sono sicuro che se mi trovassi in condizioni di sopravvivenza estrema, come quella volta dell’aereo schiantato sulle Ande, un passeggero l’avrei mangiato. Una coscia forse, un polpaccio. Molto cotto. La fame, dicono sia brutta.