Kremuzio

La commaraccia secca arza er rampino...


Il film di Bertolucci “la commare secca” mi dà sempre, ogni volta che lo rivedo, sensazioni particolari. Sembra quasi un documentario sul quartiere in cui vivo. Il primo film del regista, che segue un soggetto di Pasolini, viene girato nel 1962, ambientato nelle strade e nelle atmosfere tanto care al poeta assassinato. La commare o commaraccia secca non è altri che la morte come definita dal Belli in un sonetto, e negli ultimi fotogrammi del film vediamo l’icona scheletrita tratta dalla facciata della famosa chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, di via Giulia. La vedevo quasi ogni domenica, quando andavo a prendere una mia vecchissima zia per portarla a casa. Abitava in un solaio del palazzone proprio dietro palazzo Farnese, davanti la chiesa. Era secca come la comare. Da giovane faceva parte dell’entourage di Petrolini, dicono facesse la ballerina. Boh? Solite leggende familiari. Ma ne parlerò un’altra volta. Il film, invece, si snoda attorno al quartiere Ostiense, vicino la basilica di San Paolo, e questa la conosco bene. Nel parco la storia fa lavorare una prostituta, fatta morire poi sotto ponte Marconi, dietro il vecchio cinodromo, in una zona dove fino a poco tempo fa c’era un accampamento di zingari, ed ora parecchi romeni vivono tra i cespugli. Proletariato di una volta, invece, rappresentato dai protagonisti, ragazzi dai dubbi lavori, dal mantenuto di una strozzina, ad un soldato meridionale che importuna le ragazze, dai ragazzi che cercano qualche soldo per organizzare un pranzo con le ragazze, all’omosessuale che canticchia “faccetta nera”, a quello mezzo strano che cammina con gli zoccoli di legno, al ladro uscito di prigione. Personaggi e recitazione pasoliniana, che può dare un po’ fastidio quasi come alcuni doppiaggi di Fellini. Le storie parallele si snodano nel quartiere, che vedo come era una volta, facendo i debiti paragoni, mi accorgo di quanto fosse più bello a quel tempo. Il parco dove lavora la mondana, si chiamava “Paolino” in quanto dietro S.Paolo. Ora è “parco Schuster”, completamente rifatto ed imbruttito da travertino, alberi tagliati, panchine scomode, un centro anziani e  il monumento ai caduti di Nassiria. La domenica ci fanno il picnic i filippini e ci scorrazzano i cani anche la notte fonda. Nessun segno di prostitute, neanche di trans. Niente panchine di legno su cui dormire, niente cespugli fitti o alberi intricati, niente sampietrini lisci come specchi, niente atmosfera decadente sotto i lampioni fiochi.Ma rimane l’aria del quartiere, che se attraversi la strada e vai sul greto del Tevere, ti accorgi che nonostante gli argini rimodernati, l’atmosfera è sempre la stessa, anche quando piove, tra i campi sportivi, il vecchio cinodromo e le nuove piscine, ci sono ancora stradine abbandonate con cespugli e scarichi di rifiuti ingombranti, tra copertoni e bottiglie di birra e vecchie lavatrici e buste di vestiti marci, tra piante di sambuco e rovi di more, cespugli fitti e i topi che attraversano di corsa. Tra le buste di plastica ed un falò spento da settimane; tra scatolette di preservativi e fazzolettini sporchi appallottolati sul cumulo di stracci. Tra vecchie riviste e una scarpa sfondata. Tra l’odore degli alberi e quello del fiume. Tra il timido miagolio di un gattino sporco e la puzza di una vecchia carcassa di un piccione schiacciato.Questa è l’aria che mi piace respirare dopo un acquazzone, al sole di un pomeriggio estivo ad attirare le mosche e qualche zanzara tigre. A volte il ronzio delle bestioline è più forte di quello del fiume che scorre, dei clacson i cui echi vengono da lontano, dall’altra parte, magari più numerosi di cinquant’anni fa. La commaraccia secca sembra essere in agguato, te la immagini spuntare da dietro un albero, ma pensi anche che probabilmente, preferisca zone più turistiche da visitare, a Roma, magari via del Corso, piazza del parlamento, e lasci in pace quei vecchi angoli che sembrano essere rimasti al secolo scorso.