Kremuzio

Stecchini a stecchetto


Dicono sia da cafone, da burino, e qualcuno anche che sia da mafioso. Il mio igienista dentale ne bestemmia l’esistenza, il dentista mi propone l’utilizzo di macchinari tecnologici avanzatissimi. Se ne parlano durante i convegni, ne vituperano l’esistenza. Addirittura quelli che li utilizzano, si vergognano, neanche si mettessero i pollici nel naso, scavando con furore. Io lo uso con orgoglio. Parlo dello stuzzicadenti o stecchino. A visitare i musei antropologici si vedono ciondoli d’argento dalle strane forme, più simili a simboli esoterici che altro, ed invece sono utensili che servono a stuzzicarsi gli spazi infradentali e scavare nelle orecchie, alla faccia dell’igiene. E sì, gli stecchini avevano un loro gusto estetico quando si usavano e riusavano, prima dell’avvento dell’usa e getta legnoso. Tognazzi immortalò la sua costruzione nella mitica gag del “troncio”, ed oggi i cinesi, che probabilmente l’hanno inventati milioni di anni fa ai tempi delle cotolette di dinosauro, ne fanno un modello bellissimo, sottile ed acuminato, resistente ed aerodinamico, migliore di quelli nostrani che si sfibrano e spezzano.Avendo dei denti belli attaccatissimi tra di loro, ogni volta che mangio mi si inzeppano di scarti, fibre, semini, filamenti, ragnatele e pezzettini strani. Devo assolutamente, non solo alla fine dei pasti, ma tra una portata e l’altra, alzarmi e cercare il simpatico accessorio e trastullarmi senza nascondermi. Che poi se dovessi usare quelle precauzioni suggerite dal bon ton, dovrei nascondere la bocca con una mano, mentre scavo con l’altra, neanche stessi facendo il cucchiaietto per stanare la fiatella. Dicono che sia maleducazione. Aspetto una legge che imponga ai ristoranti di costruire una stanza apposta per gli stuzzicatori. Non vorrei mi spediscano in strada insieme a quelli che fumano.Eppure c’era un periodo in cui con gli stecchini ci costruivo le freccette. Ne prendevo quattro, li legavo insieme con del filo ed una buona dose di vinavil. Ad un’estremità ci mettevo uno spillo e dall’altra ci incastravo un quadratino di carta piegato a forma di alette di freccia. Funzionavano con precisione ed efferatezza, specie quando li tiravo addosso a mia sorella.Ma il dentista dice che non li devo usare assolutamente. Al suo posto esistono degli igienici e modernissimi strumenti, che però non sono comodi. Vi voglio vedere proprio, in un ristorante, usare il filo interdentale, una delle cose più scomode mai inventate dall’uomo. Prima di tutto, si deve portare lo scatolino, poi sfilare e tagliare il filo della misura giusta, poi arrotolare le estremità alle due mani, come se dovessimo tagliare la polenta, e quindi calare l’arma nei solchi interstiziali intergengivali interboccali e segare con movimenti scomodissimi, tenendosi una mano in bocca, roba da farsi venire conati. Quando poi non colpisci la gengiva mezza arrossata per conto suo e ti fai proprio male. E lascia anche i segni sulle falangette che sembrano segarsi. Ma se hai un dente con una piccola carie? Come fai a scavarci dentro per togliere le mollichelle: col filo? Non si può! Allora si sono inventati lo scovolino, una cosa costosissima, ingombrante ed insidiosa, che, dicono, entra perfettamente in mezzo ai denti. Boh? Avrò gli interstizi fuori standard, ma a me non entrano e non puliscono proprio niente. Anzi una volta mi si è anche incastrato ed ho dovuto usare le pinze per toglierlo, rovinandomi lo smalto. Mai più!E la notiziona brutta la sento quando dicono che la fabbrica di stecchini per antonomasia, la “Samurai” sta fallendo. Cosa c’entravano poi i guerrieri nipponici con gli stecchini, non sono mai riuscito a capirlo. Forse per la precisione delle loro Katana, o per l’arte con cui fendono le lame con la stessa precisione con la quale tolgono i semi dei kiwi? Spero che facciano una cordata, stile Alitalia, per salvarla. A me serve. È ormai diventato un vizio gingillarmi con i legnetti dopo i pasti. A volte mi ci addormento pure, appennichellato, senza mai ferirmi. Però non faccio quei rumori tipo “ngghhkk nnscchh gnik scciuuk” che molti emettono durante lo scavo. Silenzioso ed elegante nella mia attività, ne porto sempre con me qualcuno in un taschino dei jeans, pronti a pizzicarmi di tanto in tanto a seconda di come mi siedo. Avrò preso da mia nonna che ne teneva sempre una scatoletta nel suo grembiule da casa. E non li buttava. Dovunque si muovesse, ne lasciava una scia come Pollicino. Quando è morta, svuotando i suoi cassetti, ne trovammo migliaia usati, ed ancora oggi mi ricorda la sua esistenza quando in fondo ad un armadio o tra le mattonelle, ben nascosto, ogni tanto ne esce fuori uno.