Kremuzio

La mia lotta contro l’agave è epica.


All’inizio mi piaceva. L’aveva piantata mio padre in giardino, e cresceva stentatamente. Aveva poca terra e con le sue punte bucava i palloni di plastica. Inoltre mi feriva ed io ne ero anche un po’ allergico. I piedi mi si gonfiavano se putacaso mi graffiavo e della linfa mi colpiva. E non era un caso raro. Poi mio padre ci ha lasciati, e l’agave era sempre lì, sempre più grande, sempre più alta. E cominciava la lotta. Le sue foglie enormi, lunghe anche un paio di metri, erano pericolose per la gente che passava per una strettissima stradina che portava alla spiaggia, e mi toccava litigare con costoro. Una volta perché avevano paura del cane, poi perché c’era del fango, poi perché qualcuno ci faceva dei bisognoni puzzolenti. Ma L’agave viveva di tutto ciò, delle energie, delle liti, degli scontri e dell’acqua piovana e dello shampoo e della puzza.E cresceva. Una decina di anni fa ci fece una sorpresa. Uno stelo nacque improvvisamente, velocissimo, dal suo centro e crebbe crebbe fino a raggiungere una decina di metri di altezza. Era alto come la casa a due piani. Poi altrettanto improvvisamente spuntarono dei fiori. Uno si immagina chissà quale odore o meraviglia di colori, o grandezza smisurata sarebbe nata per farci godere di uno spettacolo raro. Una fetecchia. Tanto rumore per nulla, come la montagna che partorì il topolino. Fiorellini giallastri senza profumo che neanche attiravano le api che preferivano il pitosforo. Forse solo qualche tafano avrebbe deviato più per curiosità che per altro.I passanti non si lamentavano più, rischiando che qualche aculeo finisse loro in un occhio, così attenti nel cercare di capire quale prodigio si sarebbe svolto lassù a dieci metri di altezza. Mancavano le troupes del TG1, ci fosse stato il Minziolini    E poi tutto d’un tratto, come se qualcuno avesse tolto il tappo, quell’albero maestro si sgonfia da un momento all’altro, afflosciandosi come un calzettone sporco sul bordo del cassetto. Che figuraccia. Poteva anche risparmiarsela. Meno male se non altro che non era uno di quei fiori pestilenziali che puzzano di cadavere per attirare le mosche. Meglio stare attenti quando si seminano specie aliene sconosciute.E sembrava finita là, ma non era così. La pianta si secca come in una favola, come se una strega cattiva avesse lanciato un incantesimo disseccante. E mi è toccato poi, una volta tutto completamente rinsecchito e legnoso, vuoto e fibroso, trasportare quella tonnellata di materiale segandolo e strappandolo dalla terra. Fortunatamente le radici di erano disintegrate. Una faticaccia ma perlomeno mi ero tolto di mezzo quel pericoloso ingombro.Ma l’anno successivo, al posto di quel gigante, spuntano un certo numero di agavette già piene di aculei, foglie carnose e linfa che brucia. E da quel giorno ogni anno mi armo di seghe sempre più arrugginite e come un macellaio di un film dell’orrore a basso budget, taglio strappo levo e piego per evitare che le piante vadano ad occupare il passaggio pubblico con i loro pericolosi spuntoni.E quest’anno con la rete buttata giù, il pitosforo soffocato, ho ricominciato ad estirpare decine e decine di piccole agavi che si erano propagate con i loro rizomi avventurosi. Non faccio altro che piantare rosmarini e basilichi e prezzemoli salvie e tutti i semi che mi capitano per impedire una nuova colonizzazione di quelle piante pericolose che mi ricordano tanto i trifidi di Windham. Ironia della sorte ho cominciato ad usare il succo d’agave al posto dello zucchero, per prevenzione e dimagramento, e con quel che costa, con quelle tre piante giganti che stanno succhiando l’energie dell’intero paese, dovrò cominciare a studiare come estrarlo… Se non riesci a combattere il tuo nemico, alleati ad esso…