Kremuzio

Strusciando strusciando che male ti fo?


Ad una certa ora me ne sono andato in paese, non troppo presto, che da queste parti i negozi aprono tardi. Ma non dovevo comprare niente, volevo solo effettuare una ricerca antropologica riguardo gli usi ed i consumi della popolazione del luogo. In una parola, lo struscio. Non so come si chiami da altre parti, ma lo struscio dovrebbe essere una parola universale. Si tratta di fare avanti ed indietro per la strada principale del paese oppure per un’altra strada che se anche non è la principale, o il corso, con passo lento, ciabattando o zoccolando, o con altre calzature comode. Perché poi? Per farsi vedere dagli altri? Per rimorchiare? Per vedere gli altri e capire come si svolge la vita nelle famiglie altrui, o almeno in quelle che camminano per lo struscio.Allora io faccio così. Prima di tutto mi faccio quelle centinaia di metri da una piazza principale ad un’altra piazza secondaria. Quelle due dove ci sono delle panchine piene di pensionati che sguaiati, ridono o fanno finta di litigare. Da una parte le panchine, dall’altra il semaforo, con un po’ più di rumore ed i vecchietti attaccati ai cartelli pubblicitari, a fae lo stesso casino di quelli dalla parte opposta. Però da quella parte si possono anche vedere le auto ed i loro occupanti.Poi mi metto a metà, su una panchina tonda in mezzo al viale. E guardo e penso. In pratica si salutano tutti. Ovvio, si conoscono tutti e si devono salutare onde evitare fastidiose faide in sedicesimo, del tipo io non saluto te e tu non saluti me. Magari dietro ci potrebbe essere una storia di corna o di confini. Ci sono un sacco di coppie con carrozzine, alla faccia di chi dice che non nascono bambini. Tante donne hanno un pancione ed a qualcuna addirittura si vede l’ombelico estroflesso sotto la maglietta attillata. Sembra quasi che debbano sfornare il pargolo da un momento all’altro. Dopo le carrozzine per bambini, anche quelle per vecchiette. Anche qui un esercito di badanti dell’est spingono vecchiette per far vedere loro la vita del centro. E parlano tra loro, e raccontano e salutano. Anche loro salutano. Io non conosco nessuno e non saluto mai. Meno male. Sarebbe una faticaccia, come faccio ogni giorno in ufficio dove devi sfoderare sorriso e “ciao” a tutte le centinaia di colleghi che incontri per le scale,Ma cosa hanno da mostrare oltre che da vedere? Sono tutti vestiti bene, alla moda, già vestiti di scuro, come le vetrine illuminate. Seguono la moda anche i ragazzi, o almeno una loro tipica moda cittadina, con un mix di hiphop e di metropolitano a base di cappellini da baseball larghi ed alti, jeans strappati e larghi, magliette con frasi idiote. Non essendoci un fast food come si intende di solito, fanno la fila davanti al kebabbaro, che sforna pesanti involti bisunti già dalle cinque. I giovani ne mangiano e si sentono quasi da McDonald. Mentre gli adulti si siedono ai tre bar principali che hanno i tavolini in mezzo al corso, e si prendono gelati, affogati e altre cose dolci, discorrendo amabilmente con i suoceri o zii venuti a far loro visita da fuori. A volte alzano la voce, ma non sono mai riuscito ad ascoltare i loro discorsi, dato che di solito parlano sottovoce, forse per parlar male di qualcuno. Quel qualcuno che passa e li saluta con un sorriso.Un paio di invalidi con le loro sedie a rotelle elettriche sgommano per le due direzioni. Non si accostano e neanche fanno una gara. Vanno con calma e salutano. Neanche guardano le vetrine.I bambini come al solito fanno quello che fanno tutti i bambini. Piangono, corrono, mangiano dolci e gelati, piagnucolano e chiedono qualcosa. Un po’ come i cagnolini, tutti piccoli e carini, che si annusano salutandosi e ti annusano senza darti troppo peso. Anche loro sono in mostra. Capiscono che non sono uno del branco, ed in più sentono sulle mie mani ancora l’odore dell’arrosto che ho cotto sulla brace. E mi salutano un po’ di più…