Kremuzio

Diapo party


Facciamo finta di essere negli anni ’80. La coppia di amici che sono appena tornati dal viaggio di nozze in Thailandia, mi invitano a casa loro per un pomeriggio diapo. Di cosa si tratta? E’ semplice… ci si mette in salotto con pasticcini e bibite, comodamente dopo i saluti di rito e l’attesa dei ritardatari e delle loro scuse, e si apparecchia la sala. Proiettore di diapositive sul tavolinetto basso e telo acquistato per l’occasione sistemato sul suo treppiede ad una certa distanza. La pila di caricatori è poggiata sulla credenza vicino il portafrutta pieno di cioccolatini. Comincio a scartarne uno (di cioccolatino, non di caricatore), mentre tra una battuta e l’altra i padroni di casa innestano il primo caricatore dopo aver acceso la lampada fortissima che inizia a proiettare un rettangolo luminoso un po’ sghembo sul telo argentato. Il macchinario ronza per la ventola che porta via il calore dal bulbo potentissimo, riscaldando l’ambiente. Fortunatamente è inverno.Si spegne la luce in sala, inizia la proiezione. Lancio un’occhiata agli altri caricatori. Sono tanti, troppi.Con un tatlac tatlac si susseguono le bellissime immagini di templi abbandonati nel bosco incantato, di alberi secolari, di vecchietti rugosi e terreni rossicci. Molto bello, ma sai già che tra una battuta e l’altra, sprofondato nei puff d’ordinanza, si passerà un po’ di tempo in allegria, prima, e con noia, dopo, e pensi a quanto sarò costato sia il comprare tutti i rollini e poi svilupparli. Ma come Dio vuole, poi finisce e te ne torni a casa con gli occhi e la testa piena di immagini esotiche.Trent’anni dopo, vado a trovare altri amici, e tra patatine e birre, ecco che tirano fuori un laptop ed un paio di dvd. Faccio un rapido conto e mi preoccupo. Sono stati in Vietnam e mi devono far vedere le foto che hanno scattato. Con la coda dell’occhio, mentre aprono le cartelle, vedo il numero delle immagini salvate. Sono migliaia. Ho un mancamento che supero prendendo al volo una manciata di patatine alla paprica e spegnendo l’arsura con una Ceres gelata. La luce ambientale rimane accesa, dato che non c’è il bisogno di spegnerla, e con rapide cliccate del mouse le foto si mitragliano come se fosse un filmato. La costosa fotocamera ad alta risoluzione ha dato il meglio di sé impressionando le schedine di memoria per tutto il viaggio. Ma dopo mezz’ora non ce la faccio più. Le foto sono molto belle, e la vita sui corsi d’acqua vietnamiti è insopportabilmente interessante dal punto di vista cromatico e naturale. Agli anziani rugosissimi sembra che manchino gli stessi denti, osservando i loro sorrisi senza dentiera, mentre sono accucciati sulle loro barche in posizioni per me impensabili.Ormai ad ogni viaggio si riprendono migliaia di foto, da alcune molto interessanti e belle, alle altre, migliaia, inutili e brutte. Questo è dovuto all’abbassamento dei costi ed all’aumentata confidenza con le apparecchiature elettroniche digitali. Ma che palle però… E subito ti infili del tunnel senza uscita dei backup, delle copie di sicurezza, della ricerca di dove andarsi a far stampare le foto su carta. Quando hanno tirato fuori i cd, ci hanno abbindolati col fatto che questi supporti sarebbero durati in eterno o quasi, ma all’atto pratico abbiamo imparato a nostre spese che questi economici supporti, capaci di contenere migliaia di preziose immagini, si rovinano. A volte si ossidano sui bordi dopo un paio di anni e non vengono più letti. Amara sorpresa, e chissà se le stampe dureranno di più? Mi ricorda quella barzelletta di quell’ufficio che prima di bruciare tutti i documenti vecchi, ne fa prima una fotocopia per il protocollo.Anche se le immagini sono interessanti, però che stress restare a guardarle per non offendere il fotografo. Una volta in pizzeria un amico appena tornato da un viaggio in America, mi sforna un laptop con milioni di particolari di razzi e tute ed apparecchiature ripresi dal museo dello spazio, quello dove un giorno mi chiuderò e butterò la chiave… Però non ce l’ho fatta a dirgli che venti foto ravvicinate fatte ad ogni pulsante della capsula Mercury potevano sembrare eccessive… Anzi erano sicuramente troppo. Fortunatamente poi arriva la pizza ai funghi porcini, e l’olio potrebbe essere pericoloso per la tastiera… Ma eccolo come per incanto tirar fuori il listato del sistema operativo del computer dell’Apollo 11. Lui è peggio di me, e comincio a schizzare olio porcino mentre azzanno una fetta di pizza… Inutilmente…