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attenzione: pericoloso no global catto comunista in australia


“La protezione delle risorse petrolifere è una delle ragioni per le quali le nostre truppe sono in Iraq”. Viva la sincerità, verrebbe da pensare, ascoltando le parole che ieri ha pronunciato Brendan Nelson, il ministro della Difesa australiano, che in pochi minuti sono rimbalzate ai quattro angoli della terra. E non c'è da stupirsi, visto che a parlare non è un pacifista militante, ma il titolare di uno dei dicasteri più importanti di un membro chiave della Coalizione che nel marzo 2003 ha invaso l'Iraq. oro nero. Proprio in questi giorni, dopo mesi di estenuanti trattative, il premier iracheno al-Maliki aveva annunciato che il testo di legge sulla nuova normativa che regola la distribuzione dei proventi della vendita del petrolio era stato approvato dal governo e inviato al Parlamento di Baghdad. Subito smentito però dal governo regionale del Kurdistan, che ha dichiarato di non aver ancora approvato la bozza, e dall'Iraqi Accord Front, il principale schieramento sunnita in Parlamento, oltre che dai deputati sciiti fedeli all'ayatollah radicale Muqtada al Sadr. Un'opposizione trasversale, dunque, contraria allo spirito di fondo dell'accordo voluto dal premier al-Maliki: ripartire equamente i proventi della produzione del petrolio tra le 18 province irachene. Le motivazioni sono diverse. Da un lato i curdi e gli sciiti, che contano nei rispettivi territori il grosso delle riserve petrolifere irachene, spingono per una ripartizione del controllo dei giacimenti che rispetti la localizzazione degli stessi. Sono sopratutto i sunniti a complicare la cosa poiché avrebbero chiesto l'introduzione nella bozza della legge di un esplicito riferimento al divieto di firmare contratti con società petrolifere di stati che hanno truppe in Iraq.