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Post n°876 pubblicato il 02 Giugno 2010 da Ledantec
Fino all'enciclica "Providentissimus Deus" (1893) del Pontefice Leone XIII la Chiesa Cattolica ha sostenuto una concezione hard della cosiddetta "inerranza biblica": in quanto "divinamente ispirato", l'autore biblico non può mai sbagliare, poiché ciò significherebbe attribuire un errore a Dio stesso. Con il progredire delle conoscenze scientifiche, tuttavia, divenne poi insostenibile, ad esempio, la tesi secondo la quale i primi capitoli del libro della "Genesi" darebbero un quadro della storia dell'Universo da prendersi alla lettera. Fu allora elaborata la tesi dei "generi letterari", che, accolta ufficialmente nell'enciclica "Divino afflante spiritu" (emanata nel 1943 durante la seconda guerra mondiale, quando c'era per moltissimi ben altro a cui pensare), fornì la chiave per poter sostenere la falsità storica della lettera del testo biblico senza "apparenti" danni per la dottrina dell'inerranza biblica e quindi per quella connessa dell'ispirazione divina. Secondo la teoria dei "generi letterari", per intendere "rettamente" il testo biblico occorre determinare il "genere letterario" secondo il quale esso fu composto: tale "genere" può essere diverso da quello dell'opera storiografica o scientifica e, in tal caso, è legittimo ritenere che non sia letteralmente vero quanto si legge nel testo biblico. La trovata "liberalizzò" in una certa misura l'esegesi cattolica, costretta, ancor più dai tempi della reazione antimodernistica, a ricorrere a capriole interpretative pur di non entrare in conflitto con la concezione tradizionale dell'inerranza biblica e dell'ispirazione divina.
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