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LA CENSURA SI ALLARGA

Post n°61 pubblicato il 12 Marzo 2011 da livello2010
 

Censura: la Lega Nord ordina, Exit esegue

di Leonardo Facco*, da blog.alibertieditore.it

Per certi versi, mi fa anche piacere sapere che il capogruppo alla Camera della Lega Nord non voglia confrontarsi pubblicamente col sottoscritto. Per altri, la vicenda che vi sto per raccontare dà la cifra di quale è il livello della censura nelle televisioni italiane.

Partiamo da lontano.
Nell’agosto dell’anno scorso, una giornalista de “LA7” mi contatta per intervistarmi, dato che aveva saputo che stavo scrivendo un libro su Bossi. Ci incontriamo e mi intervista per un paio d’ore. Motivo? Nella nuova edizione di Exit una puntata sarà dedicata alla Lega.

Gennaio 2011. La stessa giornalista (persona capace e perbene) mi ricontatta – aveva letto il mio libro – e mi reintervista (altre due ore). Motivo? Lo stesso: Exit inizia a Marzo e una puntata sarà dedicata alla questione Lega.

Sabato 5 marzo. Mi telefona la redazione di Exit che mi vorrebbe in redazione, dato che han visto le mie interviste e han notato che so parecchie cose sui lumbard. Mi chiedono la disponibilità di andare a Roma in studio per la diretta. Do il mio assenso. Prima di chiudere la telefonata, la giornalista (un’altra) mi dà appuntamento al lunedì successivo per la questione volo ed hotel.

Lunedì 7 marzo. Da Exit non mi arriva alcuna telefonata. Eppure, vengo a sapere di una certa fibrillazione sulla puntata relativa al partito di Bossi. La segreteria di Reguzzoni telefona a spron battuto per ricordare che “o in studio c’è chi è gradito a loro o salta la presenza del genero di Speroni e il collegamento con la sede di Laveno Mombello, dove una schiera di prolet son pronti a dimostrare che la Lega è bella, brava, democratica e pensa al bene del popolo.

Martedì 8 marzo. La giornalista della redazione di Exit mi telefona verso le otto di sera: “Sa, ci sono problemi, c’è qualche pressione sulla trasmissione, bisogna cercare di fare una trasmissione equilibrata…”. La interrompo con una risata e le dico: “Guardi che conosco come funziona l’informazione in questo paese e noto che anche voi siete sensibili alle pressioni che vengono fatte dal regime leghista”. La mia interlocutrice cerca di minimizzare e cerca di confortarmi: “No, ma guardi che comunque andranno in onda dei servizi che sono forti e poi anche la sua intervista. Comunque, le lascio il mio cellulare e se durante la trasmissione volesse intervenire mi chiami”.

Mercoledì 9 marzo. Di primo pomeriggio, comincio ad avere comunicazioni che parte della mia intervista è sottoposta a tagli mirati. A ridosso della diretta, il colpo ferale: la mia intervista esce anche dalla scaletta del programma.

Alle 21, mi metto davanti al pc per seguire Exit. Nel parterre sono seduti: Marco Reguzzoni (signorsì per eccellenza e molto vicino alla moglie di Bossi); Gad Lerner; Flavio Zanonato (già sindaco di Padova dei Ds); Alessandro Sallusti (direttore della Gazzetta di Arcore); Paolo Flores d’Arcais (giacobino in stato permanente). Alla conduzione Ilaria D’Amico (no comment).

Per quasi due ore si lascia dire a Reguzzoni più o meno quello che vuole. Fatto salvo un servizio su Renzo Bossi (ben fatto) e un “il federalismo municipale è ridicolo” di Zanonato, il resto è camomilla.

“Ma no, ora andrà anche la sua intervista, la vedo qui ancora in scaletta, a me non risulta che verrà tagliata, aspetti e vedrà”!
Alle 22.50 alzo il telefono e chiamo la redazione, dove mi risponde la persona che mi aveva contattato. Le dico: “Scusi, ma Reguzzoni ha licenza di dire le cazzate che vuole? Sinceramente siamo al ridicolo…”. Mi interrompe: “Ma no, ora andrà anche la sua intervista, la vedo qui ancora in scaletta, a me non risulta che verrà tagliata, aspetti e vedrà!”.

Alle 24 il circo chiude. Saluti, grazie a tutti e alla prossima puntata. Della mia intervista nemmeno l’ombra. Oltre alla censura vera e propria, ciò che dà fastidio è anche il comportamento ipocrita della mia interlocutrice in redazione, la quale sicuramente avrà obbedito alle direttive della D’Amico. Mi chiamano, mi intervistano per due volte e io do loro disponibilità. Mi invitano in trasmissione, poi si rimangiano l’invito. Mi dicono che comunque il mio intervento sarà trasmesso e non è stato trasmesso. Mi propongono di intervenire in diretta, ma quando chiamo evitano che io lo faccia dicendo che a minuti sarebbe andata la mia intervista. E come per il sottoscritto, la stessa sorte è toccata a molti altri che si son resi disponibili ad essere intervistati dalla inviata di Exit.

La Lega Nord è regime, lo ho dimostrato col mio libro e vado in giro a denunciarlo ogni volta che mi invitano a presentarlo. Questi cialtroni e parassiti che urlavano “Roma ladrona” e chiedevano “l’abbattimento del regime della Stampa”, ora si fanno in quattro per riportare in vita l’O.V.R.A. e il Min.cul.pop. in salsa padana.

Prossimamente, ve ne racconterò un’altra. Vi spiegherò come funziona il silenziatore a “L’Eco di Bergamo”, il bugiardino che un tempo odiava la Lega e oggi manda il suo direttore a festeggiare i 25 anni del Carroccio.

Una storia tutta padana.

* autore di "UMBERTO MAGNO, la vera storia dell’imperatore della Padania"

Facco: "Quel che 'Exit' mi ha impedito di dire sulla Lega" (AUDIO)
Censura a Exit: la risposta de La7 e la replica di Leonardo Facco

(11 marzo 2011)

 
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IL GOVERNO CI LASCIA DA SOLI

Post n°60 pubblicato il 12 Marzo 2011 da livello2010
 
Tag: sociale

Suona il de profundis per le politiche assistenziali

di Elena Granaglia e Angelo Marano, da www.nelmerito.it

Nell’ultimo trentennio, le politiche assistenziali non sono mai entrate fra le priorità dell’agenda politica della nostra Repubblica, con l’esclusione del periodo a cavallo del secolo, caratterizzato dalla sperimentazione del reddito minimo di inserimento e dall’introduzione della Legge 328/2000, e del biennio di governo del centro-sinistra della scorsa legislatura.


Paradigmatiche sono l’assenza in Italia di uno schema generale di reddito minimo (condivisa, nella UE, con la sola Ungheria) e la mancata definizione a livello nazionale, nel settore dell’assistenza, dei livelli essenziali delle prestazioni, delle figure professionali, di un sistema informativo, mancanze che hanno provocato una elevata frammentazione, con alcune regioni che hanno cercato di inventarsi qualcosa e altre nelle quali la rete dei servizi sociali, di fatto, non è mai partita (cfr. www.nelmerito.com, 4 febbraio 2011).

Da quest’anno, però, la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente. Vittima collaterale della crisi e del federalismo, vaso di coccio fra i vasi di ferro della sanità, della previdenza, degli interventi sulla cassa integrazione, il sistema assistenziale rischia nei prossimi anni di essere cancellato in buona parte del paese, come effetto dell’azzeramento dei finanziamenti nazionali al sociale, della più complessiva riduzione dei trasferimenti a regioni e enti locali e dell’esclusione delle politiche assistenziali dai decreti attuativi del federalismo.

Per quanto riguarda il finanziamento della spesa sociale, si salvano le prestazioni monetarie associate a diritti soggettivi, come gli assegni sociali, le invalidità civili, gli assegni di maternità e al nucleo con almeno tre figli. Ma, per l’erogazione di servizi, dal recupero dei tossicodipendenti, al trasporto dei disabili, dall’integrazione dei migranti ai servizi per i minori, dagli asili nido ai servizi di prevenzione e assistenza sociale, per finire ai servizi per non autosufficienti, le prospettive sono meste: la Legge di stabilità per il 2011 ha quasi azzerato i trasferimenti sociali alle regioni. Il Fondo per le politiche sociali, storicamente la maggiore fonte di finanziamento nazionale, è stato inizialmente quasi azzerato (salvaguardando solo i fondi gestiti direttamente dal Ministero del lavoro) e solo la protesta delle regioni ha portato ad aggiungere, per il solo 2011, 200 milioni (vale la pena ricordare che nel 2007 il Fondo trasferiva alle regioni un miliardo e ancora nel 2010, nonostante i tagli, 435 milioni). Il Fondo per le non-autosufficienze (400 milioni trasferiti alle regioni nel 2010) non è stato rifinanziato (la pressione dei malati ha poi indotto a stanziare fino a 100 milioni, per il solo 2011, ma destinati esclusivamente ai malati di SLA).

Sorte analoga ha colpito gli altri fondi: il Fondo per la famiglia si è ridotto dai 174 milioni del 2010 a 51 milioni nel 2011; il Fondo per le politiche giovanili da 81 milioni a 13 milioni, il Fondo affitti da 141 milioni a 33 milioni; il Fondo per il diritto allo studio, che ammontava a 264 milioni nel 2009, ridottisi a 99 milioni nel 2010, avrebbe dovuto ridursi a 25 milioni nel 2011, somma aumentata di 100 milioni, per il solo 2011, in sede di approvazione della Legge; il Fondo per la gratuità dei libri nella scuola dell’obbligo (103 milioni nel 2010) inizialmente risultava azzerato e solo successivamente si è provveduto, per il solo 2011, con 100 milioni, attingendo ad uno stanziamento di 350 milioni su cui insiste però, tra l’altro, anche il finanziamento degli LSU della scuola, che rischia di assorbirlo interamente.

Se il finanziamento nazionale delle politiche sociali viene meno, vero è anche che esso contribuiva con una quota attorno al 20% della spesa sociale decentrata e che regioni e comuni, insieme agli stessi utenti, già finanziavano con risorse proprie buona parte dei servizi. D’altra parte, tale dato medio rappresenta una realtà fortemente differenziata a livello nazionale, con alcune aree dipendenti molto più di altre dai finanziamenti nazionali. In ogni caso, anche quelle meno dipendenti troveranno dal 2011 oltremodo difficoltoso compensare i tagli nei trasferimenti sociali, stante che questi si accompagnano all’ulteriore diminuzione dei trasferimenti a carattere generale alle regioni e agli enti locali. Basti qui ricordare che la manovra correttiva 2011-2012 (DL 78/2010) ha comportato tagli complessivi nel biennio per 8,5 miliardi ai trasferimenti alle regioni a statuto ordinario (al netto della spesa sanitaria), per 4 miliardi ai comuni e per 800 milioni alle province.

L’azzeramento dei finanziamenti nazionali alle politiche sociali potrebbe anche rientrare in una specifica strategia di attuazione del federalismo. Da un lato, è, infatti, certamente vero che l’art. 117 attribuisce alla competenza esclusiva delle regioni la definizione delle politiche sociali, salvo che per l’individuazione dei livelli essenziali (LEP) e che l’art. 119 richiede che regioni ed enti locali siano messi in condizioni di finanziare integralmente le proprie attività. Dall’altro, è, però, evidente che l’attuazione del federalismo fiscale riguarderà soprattutto la sanità, mentre per l’assistenza si rinvia a successivi decreti. In Conferenza unificata lo scorso 16 dicembre, le Regioni hanno, sia pur faticosamente, strappato al governo l’impegno a definire e finanziare, almeno, livelli minimi di servizio da erogare; ma in quella sede si faceva riferimento al settore sanitario e vi è da dubitare che anche un’eventuale applicazione del principio all’ambito dell’assistenza sociale, stante il vincolo sulle risorse, possa portare a qualcosa più che le enunciazioni molto generali già contenute nell’art. 22 della legge 328.

In effetti, se la procedura logica vorrebbe che si identificassero i LEP in ambito sociale, si stimassero i relativi costi standard ai sensi della Legge 42 e, conseguentemente, si devolvessero alle regioni fonti adeguate al loro finanziamento, quello che sembra delinearsi è radicalmente diverso. Non si identificano i LEP, si rinvia l’attuazione del federalismo e, nel frattempo, si azzera il finanziamento nazionale, col risultato che, alla fine, non vi sarà bisogno di devolvere alcunché alle regioni. Queste ultime potranno fare quello che vogliono, ma interamente con risorse proprie e nel contesto delle ristrettezze economiche sopra descritto.

Di fatto, per l’assistenza siamo, dunque, tornati all’anno zero. Rinviati sine die i LEP, esauriti i finanziamenti nazionali, lettera morta la 328, ciascuna regione lasciata a sé in un contesto di gravissima scarsità di risorse, è naturale si ritorni alla concezione delle politiche sociali come beneficienza fatta ai più poveri e sfortunati. In tal senso alcune indicazioni del Libro bianco del Ministro del lavoro sul ruolo del “dono” e delle comunità di prossimità non sembrano destinate a rimanere lettera morta.

A nostro parere, occorre, invece, riprendere la costruzione di un sistema di assistenza inteso come sistema finalizzato alla realizzazione di diritti di cittadinanza, una rete strutturata, stabile e affidabile, come avviene per la previdenza e per la sanità. Certamente, il nuovo Titolo V pone forti vincoli e la rinuncia dell’autorità centrale ad occuparsi dei temi sociali negli ultimi 10 anni ha reso la situazione critica, determinando la frammentazione dei sistemi territoriali. Inoltre, e non solo in Italia, i trasferimenti assistenziali sono solitamente i primi ad essere tagliati (cfr. www.nelmerito.com, 5 novembre 2010), anche a causa del basso potere di voce di molti dei soggetti coinvolti.

Non si può, tuttavia, utilizzare questa realtà per giustificare il ritiro da parte dell’autorità centrale dal ruolo di coordinamento e di definizione dei livelli minimi assegnato dalla Costituzione e l’accettazione di una visione del federalismo che segna la fine, o almeno, la messa in congelatore per i prossimi anni, di un qualunque sistema di politiche assistenziali strutturato.

(10 marzo 2011)

 
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FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA

Post n°59 pubblicato il 12 Febbraio 2011 da livello2010
 

Incontro-scontro tra Napolitano e Berlusconi: “Fatti giudicare”

Al Quirinale il premier alza la voce: "Mi perseguitano". Il capo dello Stato lo gela: "Basta, il giusto processo c'è già". Inutili le raccomandazioni di Letta: B. minaccia nuovi conflitti con i magistrati, tensione al Colle

A un certo punto l’urlo: “Ma io mi devo difendere! E devo difendere il Parlamento, c’è un vero e proprio accanimento contro di me…”. Fuori controllo, anche se solo per un attimo, Silvio Berlusconi deve essersi sentito perso quando il capo dello Stato, con sguardo gelido e fermezza istituzionale, gli ha risposto “si calmi”, costringendolo a proseguire un colloquio che però, a quel punto, era ormai compromesso.

NON È ANDATA per niente bene ieri sera al Quirinale. Napolitano, dopo il lungo pressing esercitato dal mediatore Gianni Letta che finalmente era riuscito a ottenere l’incontro “chiarificatore”, sperava forse di ascoltare dalla bocca del premier parole diverse dalla solita litania, da quel continuo cercare di spiegare le proprie ragioni e di difendersi dalle accuse invocando la persecuzione giudiziaria. Invece no, nonostante Letta l’avesse indottrinato per più di un’ora sull’atteggiamento da tenere per evitare di mandare di nuovo tutto per aria. Niente, il Caimano ancora una volta non ha resistito. Superati i convenevoli, è partito a cercare di convincere il presidente della Repubblica del fatto che le accuse della Procura di Milano cadranno nel nulla “perché non c’è nulla di penalmente rilevante”, che “continuo a essere vittima di un’offensiva giudiziaria senza pari che ha il solo obiettivo di farmi fuori”. E che è “stata violata la mia privacy in modo mostruoso”. A quel punto, il Cavaliere avrebbe detto di “credere che sia venuto il momento di difendermi anche sollevando il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato…”.

Ecco, è stato più o meno a questo punto del colloquio che Napolitano ha alzato un muro invalicabile per il premier, ripetendo quanto aveva detto in mattinata ricevendo il vicepresidente del Csm Vietti e, di fatto, mandando un segnale preciso di quelli che avrebbe voluto fossero i toni del colloquio successivo. “Il giusto processo – ha quindi detto Napolitano – è garantito dalla Carta, basta strappi sulla giustizia”. Un messaggio netto, senza possibilità di interpretazioni sulle sfumature del grigio. Il capo dello Stato ha fatto capire chiaramente a Berlusconi che ogni sua necessità di difesa è già garantita dalla Costituzione. E che non c’è alcuna necessità di sollevare nuovi e più pesanti conflitti istituzionali, perché “i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali” ci sono davvero tutti per garantire il “giusto processo”. Insomma, meno “strappi mediatici, che non conducono a conclusioni di verità e giustizia” ma più attenzione alle regole. In poche parole, Napolitano ha invitato il Caimano a farsi processare. Con una stoccata pesante: “Come dice il suo stesso legale Pecorella, il conflitto di attribuzione si solleva nel processo, non in Parlamento”. È stato lì, a quel punto che la rabbia di B. è esplosa perché ha capito che non avrebbe mai trovato sponda nel Colle per fare quello che vuole: l’ennesimo strappo sulla giustizia per la sua difesa.

E TUTTAVIA il Cavaliere su un punto è stato chiaro: la maggioranza ha i numeri e quindi il “dovere” di fare le riforme, il che per lui significa soprattutto intercettazioni e processo breve. “Quello che sta accadendo – ha ribadito Berlusconi – non è solo un problema mio, ma fango che ricade sull’intero Paese”. Ancora gelo. Perché Napolitano non si fida e teme un nuovo crescendo di tensione istituzionale con i giudici che, tuttavia, ha chiarito anche a Gianni Letta, di non essere disposto a tollerare. Come ha chiarito di aver digerito malissimo l’estemporanea manifestazione di protesta davanti al Tribunale di Milano dove dovevano essere presenti anche i ministri milanesi e dove invece, alla fine, a fare da incendiaria c’è rimasta solo la Santanchè.

All’uscita dal Quirinale, Berlusconi era livido. Ma più di lui era scuro in volto Gianni Letta che per tutta la giornata di ieri aveva fatto una pesantissima opera di convincimento, arrivando a chiudersi in una stanza da solo con il Cavaliere per indottrinarlo sull’atteggiamento “cauto, mite” da tenere davanti al capo dello Stato. In gioco, in fondo, “c’è anche il federalismo” e il proseguimento della legislatura. Parole al vento. “Governo e Parlamento non possono essere commissariati dal potere giudiziario!”, ha tuonato ancora Berlusconi. “Io devo poter governare senza condizionamenti!”.

Dopo un’ora di colloquio, il più lungo forse da un anno a questa parte, Berlusconi è tornato a Palazzo Grazioli. Con uno stop così pesante avuto ieri dal Quirinale, adesso dovrà rivedere completamente tutta la strategia d’attacco che aveva messo giù durante l’ultimo “consiglio di guerra” di qualche giorno fa. Adesso sa che qualunque strappo sarà respinto “in maniera plateale” dal Quirinale, ma seguire le regole significa anche farsi processare, subire quasi certamente una condanna a breve sul processo Mills. E chissà poi cosa potrà accadere su Ruby e sulle altre.

NEL PDL giurano che “Silvio farà di testa sua”, che “cercherà comunque una strada per non andare a processo perché i cittadini sono con lui e capiranno, continueranno a capire – sostiene un famiglio del premier – che senza di lui si ferma tutto, che le riforme non si faranno mai”. Non seguirà le regole come gli ha detto Napolitano, questo sembra essere una certezza tra i suoi. Ora, però, è all’angolo. E la difesa, qualsiasi difesa, diventa sempre più difficile.

Da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2011
 
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STIAMO SGUAZZANDO NEL FANGO

Post n°58 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da livello2010
 

La stampa estera contro Berlusconi:
"Adesso l'Italia merita di meglio"Legittimo impedimento e Ruby,
l'editoriale sul Financial Times:
«Una vergogna per il Belpaese»

ROMA
La legge sul legittimo impedimento e il caso Ruby configurano per l’Italia una situazione di «enorme vergogna». Lo scrive in un editoriale non firmato, dunque espressione dell'opinione della direzione, il Financial Times , secondo cui «prima delle prossime elezioni, l’Italia merita un dibattito» sui problemi reali.

«La settima economia più grande del mondo ha bisogno di riforme: un giovane su quattro è senza lavoro; la crescita è meno che anemica; gli investimenti esteri sono in calo; il debito nazionale ha raggiunto quota 1.800 miliardi; il cancro del crimine organizzato deve essere estirpato».

Secondo il quotidiano finanziario londinese, la lista potrebbe proseguire, ma il punto è che invece di approntare soluzioni per questi problemi è probabile che le emergenze nazionali continueranno a essere trattate «come un altro episodio del conflitto tra Berlusconi e il potere giudiziario. L’Italia - conclude l’editoriale - merita di meglio».

Anche il Times va all'attacco del premier pubblicando una corrispondenza da Roma in cui si riferisce che, in base a una telefonata intercettata dalla polizia tra Nicole Minetti e il Cavaliere, Berlusconi «ha ammesso di sapere che Ruby Rubacuori era minorenne». Non meno aggressivo L'Independent che, attraverso le parole dell'ex corrispondente da Roma Peter Pophan, afferma: «Questa volta nemmeno Silvio potrà farla franca». E la notizia imbarazza perfino gli Stati Uniti: tocca alla Cnn fare il punto sul tormentato rapporto del presidente del Consiglio con donne e giustizia.

 
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QUESTO E' IL GOVERNO CHE ABBIAMO

Post n°57 pubblicato il 13 Gennaio 2011 da livello2010
 

Berlusconi: a Mirafiori se vince il NO è giusto che la Fiat lasci l'Italia...

VUOLE RIMANERE ANCHE L'UNICO PADRONE INCONTRASTATO...

QUANDO CI METTERA' IN FILA PER FRUSTARCI A SANGUE???????????????????

 
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