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IL VOTO DI SCAMBIO E' UN REATO

Post n°56 pubblicato il 25 Settembre 2010 da livello2010
 

Voto di scambio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Il voto di scambio è il voto dato regolarmente da un elettore, ma non motivato da scelte politiche frutto di riflessioni sincere e disinteressate, bensì corrotto da qualche tornaconto ricevuto da parte di chi si candida o chi per lui.

In Italia il voto di scambio politico-mafioso è un reato ai sensi dell'art. 416-ter del codice penale.

Pdl lavora a quota 316, ma in aula c'è rischio assenze

24 settembre, 23:16 

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2010/09/24/visualizza_new.html_1759524416.html

di Anna Laura Bussa

ROMA - Maggioranza sempre piu' a rischio alla Camera senza i finiani. Se Berlusconi, infatti, continua a lavorare per raggiungere la quota di 'sicurezza' dei 316 deputati, questi potrebbero comunque non essere sufficienti a garantire (causa impegni di governo e di missioni) la tenuta della maggioranza per tutte le votazioni fino al termine della legislatura. Una situazione complicata che preoccupa il governo (pronto a chiamare a raccolta i propri rappresentanti gia' la prossima settimana) e che gia' registra, in sede di commissioni parlamentari, difficolta' non indifferenti. In seguito agli ultimi 'spostamenti' di deputati, infatti, le commissioni dove il centrodestra risulta in minoranza, al momento sembrano diventate sei. Anche la commissione Bilancio, infatti, che nei giorni scorsi registrava il pareggio tra i poli, ora, con il passaggio di Giampiero Catone dal Pdl a Fli, vede il centrodestra andare sotto. E la situazione si complica anche nella commissione Attivita' Produttive visto che il piemontese Deodato Scanderebech, ex Udc iscritto al gruppo del Pdl, ora ha deciso di tornare tra i centristi. La sua 'trasmigrazione' porta l'organismo parlamentare in parita': 22 a 22. Sempre che il rappresentante delle Minoranze Linguistiche, Siegfried Brugger, continui a votare con l'opposizione. Conteggi complicati anche in commissione Affari Costituzionali perche', se e' vero che la parlamentare Souad Sbai e' tornata con il Pdl abbandonando i finiani, e' anche vero che i tre esponenti del gruppo Misto (che in tutti gli organismi parlamentari sono ormai determinanti) potrebbero votare con le opposizioni: due, infatti, sono dell'Api (Linda Lanzillotta e Pino Pisicchio) e uno, Karl Zeller, e' esponente delle Minoranze Linguistiche: forza politica che finora ha rifiutato di schierarsi con Berlusconi. Il centrodestra, al momento, e' ancora in svantaggio in altre cinque commissioni, tra cui gli Esteri e la Lavoro. Anche la 'conta' in Aula non induce i due gruppi del centrodestra all'ottimismo. A Montecitorio gli iscritti al Pdl ora risultano (sito Camera) 235. Quelli della Lega sono 59. Per complessivi 294. A questi si devono aggiungere i 5 di 'Io Sud'; i 3 Liberal-Democratici; Francesco Pionati e Francesco Nucara; piu' i 5 siciliani dell'Udc. I parlamentari sui quali puo' contare Berlusconi diventano cosi' 309. Ai quali, se anche si aggiungessero i voti dell'Mpa, non si arriverebbe comunque, stando cosi' le cose, a quota 316: quella che metterebbe al riparo la maggioranza. Di questi 309 deputati, poi, almeno 30 sono esponenti del governo e come tali spesso assenti dalle aule parlamentari (18 ministri piu' 12 sottosegretari come si legge sui siti di governo e Senato). Per non parlare, infine, di quelli con doppio o terzo incarico come i 9, tra sindaci e presidenti di provincia, spesso impegnati sul territorio. E' vero che dal gruppo tutti hanno ricevuto la sollecitazione ad essere in Aula almeno da quando Fini ha introdotto il voto elettronico. Ma e' anche vero che in quasi tutte le votazioni dove la maggioranza e' andata sotto, le assenze piu' vistose si sono registrate proprio tra i banchi del governo o nelle fila dei 'pluri-impegnati'. Ministri e sottosegretari sono stati 'bacchettati' piu' volte e il pressing nei loro confronti si sarebbe intensificato. Soprattutto in vista del discorso di Berlusconi di mercoledi'. Attraverso il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito sarebbe arrivato infatti l'input a non prevedere piu' missioni quando ci sono i lavori d'Aula. In molti 'incassano' la reprimenda e fanno buoni propositi per il futuro. ''Non e' detto che i numeri saranno risicati'', afferma il ministro della Difesa Ignazio La Russa. E comunque, aggiunge, ''saremo sempre presenti''. Se poi i ministri ''non ce la dovessero fare'', osserva, potranno anche ''dimettersi da parlamentari''. L'assurdo, osserva uno di loro, e' che anche le dimissioni potrebbero essere pericolose: e se subentrasse un finiano? ''Io so solo una cosa - taglia corto il deputato di Fli Francesco Cosimi Proietti - che dopo il discorso di Berlusconi, da quel momento in poi votero' tutti gli emendamenti dell' opposizione perche' voglio vederli sempre qui a votare''.

DOPO AVER LETTO QUESTE COSE DOVREMMO CHIEDERCI TUTTI DOVE E’ FINITA LA  MAGISTRATURA ITALIANA….FINO A CHE PUNTO E’ RIMASTA INTIMIDITA DALLA CAMPAGNA CHE IL GOVERNO LE HA FATTO CONTRO?????

 
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COSE CHE BISOGNA SAPERE

Post n°55 pubblicato il 23 Luglio 2010 da livello2010
 

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tre-miliardi-di-euro-ai-partiti/2131285

Tre miliardi di euro ai partiti

di Primo di Nicola

Il finanziamento pubblico in teoria è stato abolito. Ma tra rimborsi, contributi e trucchi vari, le segreterie hanno incassato lo stesso. Incluse quelle che non esistono più, ma continuano a prendere soldi

(22 luglio 2010)

Tre miliardi di euro. Una cifra stratosferica, equivalente a quasi seimila miliardi delle vecchie lire. Sono i soldi pubblici che i partiti italiani hanno incassato in sedici anni: il tesoro nascosto della Seconda Repubblica. Una cascata di denaro prelevato dalle tasche dei cittadini e trasferito nei forzieri che sostengono la macchina politica del nostro paese. E stiamo parlando soltanto dei fondi elargiti dallo Stato a partire dal fatidico 1994, anno di svolta dopo la tempesta di Tangentopoli, segnato dall'introduzione del sistema maggioritario.

"L'espresso" ha ricostruito i mille rivoli di questo fiume di denaro, che si è modificato secondo gli assetti della politica e delle maggioranze, con formazioni che scompaiono e coalizioni in continua metamorfosi.

In questo inseguirsi di sigle e simboli, dalla contabilità bizantina, resta però un punto fermo, che ha il sapore di una truffa ai danni della cittadinanza. Perché nell'aprile 1993 il referendum per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti era stato approvato con una maggioranza bulgara. L'iniziativa promossa dai Radicali di Marco Pannella aveva ottenuto il 90,3 dei consensi e avrebbe dovuto decretare la fine delle trasfusioni a vantaggio dei segretari amministrativi di movimenti grandi e piccoli. Invece no: nonostante quel voto, i cittadini hanno continuato a pagare per sovvenzionare la politica. Nel disprezzo della volontà popolare espressa dal referendum, la corsa all'oro di Stato è proseguita ed addirittura aumentata.

Sommando al denaro per gli organigrammi di partito quello per i loro organi: fondi a go-go erogati a favore dei cosiddetti giornali organi di partito, come la cara vecchia "Unità" del Pci-Pds-Ds, il "Campanile nuovo" dell'Udeur di Clemente Mastella, la "Padania" di Umberto Bossi, il "Foglio" di Giuliano Ferrara e le altre decine di testate di partiti e movimenti spesso fantasma o appositamente creati che, nello stesso periodo, da soli, secondo una stima de "L'espresso" , in quella torta di tre miliardi valgono circa 600 milioni di euro. Davvero un bel bottino.

Caccia al tesoro
È quella scatenata dai partiti per mettere le mani sul tesoretto pubblico dei rimborsi: ben 2 miliardi 254 milioni di euro stando al calcolo fatto recentemente dalla Corte dei conti fino alle elezioni politiche del 2008, cui vanno però aggiunti un altro centinaio di milioni maturati nel 2009 grazie alle ultime europee. Come è stato possibile trasferire tanto denaro nonostante il plebiscito del referendum? Aggirando il veto al finanziamento pubblico con una nuova formula: il meccanismo dei rimborsi elettorali. Sempre pubblici, sempre pingui ma formalmente giustificati dalla volontà di tutelare la competizione democratica.

Sulla carta, però, il risarcimento a carico della collettività avrebbe dovuto coprire soltanto i costi sostenuti nella campagna. Ma i furbetti del partitino hanno subito inserito un primo trucco: come per magia, i rimborsi volano lontano dalle regole dell'economia e si plasmano su quelle della politica, per dilatarsi e lievitare. Non si calcolano sulla base dei soldi effettivamente investiti e spesi per spot, comizi e manifesti, ma in proporzione ai voti ricevuti. Quanto per l'esattezza? Una cifra che si è gonfiata senza sosta e senza vergogna, in un'autentica corsa al rialzo. Nelle politiche del 1994, le prime dopo il referendum blocca finanziamenti che segnarono la vittoriosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, il fondo a disposizione è stato alimentato con una formula magica: 1.600 lire per ogni cittadino, non tantissimo perché all'epoca un quotidiano costava 1.300 lire ma che fatti i calcoli produce una cifra monstre. In totale, per Camera e Senato, il contributo toccò la cifra di 90 miliardi 845 milioni di lire. Un bel gruzzolo, non c'è che dire.

Ma, si sa, l'appetito vien mangiando, ed ecco negli anni successivi gli alchimisti parlamentari scendere in aiuto dei tesorieri di partito. I maestri del ritocchino si danno da fare e nel 1999 il contributo triplica e passa a 4 mila lire per abitante. E come è accaduto in tutte le botteghe, nel 2002 l'euro ha offerto un'occasione ghiotta per scatenare aumenti selvaggi e poco chiari. Si prevede un 1 euro per ciascun anno di legislatura: in pratica 5 euro per ogni cittadino italiano. Certo, parallelamente si cancella quel 4 per mille che dal 1997 per due anni ha dato ai cittadini la possibilità di destinare ai partiti questa percentuale dell'imposta sul reddito fino a un totale massimo di 56 milioni 810 mila euro. E poi si era ridotto il fattore di moltiplicazione: non più il totale dei cittadini ma solo il numero degli iscritti nelle liste elettorali della Camera.

 

 
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Chi evade il Canone Rai???

Post n°54 pubblicato il 10 Luglio 2010 da livello2010
 

L’evasione fiscale non è uguale per tutti. E, nel caso del canone Rai, è particolarmente disuguale. Ogni anno la tv di Stato investe risorse per pubblicizzare il dovere di pagare il canone, ricordarci quanto costi poco e sollecitare il pagamento entro le scadenze. Gli spot sono invariabilmente rivolti alle famiglie e così gli accertamenti a tappeto che vengono fatti inviando solleciti su solleciti. Perché tanta insistenza? Perché tre famiglie su dieci non versano il canone che, a tutti gli effetti, è equiparabile a una tassa. Il canone però non è obbligatorio solo per le famiglie. Dovrebbero pagarlo anche aziende, sedi delle istituzioni, enti pubblici in genere. Per queste categorie c’è un canone speciale, che varia a seconda della tipologia di attività (per gli hotel di lusso, ad esempio, è di oltre 6.000 euro). L’evasione, in questo caso, è praticamente generalizzata.
La Rai stessa ammette  che l’evasione negli enti pubblici si attesta a una media del 94%.  E si tratta solo di una media, perché, andando a guardare categoria per categoria, ci sono numeri ancor più impressionanti. I partiti politici, i ministeri e le scuole detengono il record della sfacciataggine: il 98% non paga. Praticamente tutti. Oltretutto, a differenza del canone normale, il canone speciale è dovuto non solo se si è proprietari di un televisore, ma anche di altri “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”. In sostanza basta avere un computer o un videofonino e scatta l’obbligo del contributo.
A conti fatti,  si tratta di una perdita secca enorme per le casse della tv pubblica. Le aziende in Italia sono 4,5 milioni, di cui almeno 4,4 dovrebbero pagare il canone. “Se ciascuna pagasse il canone minimo pari a 195,31, si avrebbe un gettito maggiore per 820 milioni”. Un tesoro che permetterebbe di far pagare meno a tutti. “E se si considera che oltre alle imprese devono pagare il canone anche i lavoratori autonomi, i circoli, le associazioni, le fondazioni, le sedi di partiti politici, gli istituti religiosi, gli artigiani, le scuole e gli enti pubblici e che il canone speciale va pagato per ciascuna sede o ufficio, si stima che l'evasione del canone speciale superi il miliardo di euro l'anno”.
Un miliardo che nessuno insegue. E d’altronde sarebbe strano se le istituzioni spingessero per colpire la propria stessa evasione. Un cortocircuito tipico dell’Italia di oggi, dove i potenti fanno regole che valgono per tutti tranne che per se stessi. Come è successo con il caos della presentazione delle liste alle regionali o come accade puntualmente per le affissioni elettorali: il cittadino è costretto a pagare con tanto di multa, il potente si perdona da sé.
 

 
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SEMBRA TUTTO RIDICOLO MA INVECE E' PERICOLOSO

Post n°53 pubblicato il 27 Giugno 2010 da livello2010
 

http://temi.repubblica.it/micromega-online/flores-darcais-a-napolitano-presidente-perche-ha-nominato-brancher-ministro/

Il "colpo di Stato strisciante" e il ruolo del Quirinale....Flores d’Arcais a Napolitano: “Presidente, perchè ha nominato Brancher ministro?”

Caro Presidente, unanime è lo sdegno per il comportamento di spudorato dileggio delle istituzioni messo in atto dal neoministro Aldo Brancher, che ancora fresco di giuramento, utilizza la nuova carica non già per onorare “fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione” ma per sottrarsi a un tribunale della medesima Repubblica, cioè per calpestare e irridere il principio che è solennemente scolpito in tutte le aule di tale istituzione: “La legge è eguale per tutti”. Unanime lo sdegno, si può ben dire, visto che le critiche alla “fuga” dalla giustizia del neoministro Brancher sono esplicite anche in almeno due settori della maggioranza, quelli che fanno riferimento alla “Lega” e al presidente della Camera on. Fini e perfino in un “Giornale”.

Del resto, caro Presidente, lei sa bene che Aldo Brancher è noto alla giustizia penale italiana fin dal 1993, quando i magistrati del Pool di Milano trovano le prove di due “mazzette” da 300 milioni versate dal Brancher (braccio destro di Confalonieri alla Fininvest) al Partito socialista e al ministro liberale della sanità De Lorenzo. Lei sa bene, Presidente, che il Brancher fu condannato in primo grado e in appello, e riuscì a non scontare la condanna solo per via di una prescrizione e di una depenalizzazione nel frattempo intervenute, di cui la Cassazione dovette prendere atto. Intervenute non per grazia dello spirito santo, ma di un potere politico che aveva ormai nel proprietario della Fininvest (poi Mediaset) un “padrone” di crescente prepotenza.

Quello perciò che non possa fare a meno di chiederle, Presidente, è perché lei abbia nominato un personaggio del genere come ministro. E “ministro per l’Attuazione del federalismo”, oltretutto, ministero di pura invenzione, ministero sfacciatamente “ad personam”, visto che il ministro per il federalismo esiste già, è l’on. Bossi, il quale ha immediatamente ribadito il suo ruolo unico su tale tema.

Insomma, caro Presidente, era chiaro a lei come era chiaro a tutti che il ministero a cui Berlusconi le chiedeva di nominare Aldo Brancher era solo un “ministero di legittimo impedimento”, un ministero per potersi rifiutare – in barba alla “legge eguale per tutti” – di andare in un’aula di tribunale a difendersi da accuse assai pesanti (“appropriazione indebita”, non certo un delitto “politico” o di opinione ).

Perché, nonostante tutto ciò, lei ha deciso di nominare Brancher ministro? L’articolo 92 della Costituzione è infatti esplicito: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”. Il soggetto e protagonista costituzionale di tutto questo agire è il Presidente della Repubblica, cioè lei. Ovvio che le “proposte” che il Presidente del Consiglio avanza non si possono cassare per mero capriccio, ma ancora più ovvio che cassare si possono (e forse moralmente si devono) se per puro capriccio il capo del governo le ha avanzate, o per motivi tanto palesi quanto palesemente inconfessabili, perché costituzionalmente abietti.

Ora che Aldo Brancher fa della sua nomina l’uso per il quale quel ministero inesistente, doppio e fantasma, era stato da Berlusconi inventato (i suoi costi sono invece reali e materialissimi, prelevati “mettendo le mani in tasca agli italiani”), monta l’unanime indignazione. Tardiva, come la proverbiale chiusura delle stalle a buoi già scappati (così come apprezzabile, ma a detta degli esperti inattuabile, la nota con cui lei giudica non ammissibile questo ricorso del ministro al “legittimo impedimento”). E monca, visto che poi tutti si guardano bene dall’avanzare a lei la domanda che questo giornale, con assoluto rispetto, già le ha posto ieri con l’editoriale del direttore.

E su cui, sempre con lo stesso rispetto, crediamo doveroso insistere. È infatti sacrosanta, e adeguata alla “cosa stessa”, l’escalation lessicale che si leggeva ad esempio ieri sul più autorevole quotidiano italiano, il quale denunciava “con quali metodi e complici e violenze Silvio Berlusconi ha messo insieme il suo impero”, e “in quale abisso di degradazione sono state precipitate le nostre istituzioni”, e nel sito parlava di “uso privato delle istituzioni” e “ignominia di questa nomina”, che lei avrebbe “firmato con la morte nel cuore”.

Del resto, anche i più moderati definiscono “regime” quello berlusconiano e Umberto Eco addirittura di “colpo di Stato strisciante”. Di fronte a quella che viene dunque ormai descritta – giustamente – come vera e propria eversione, l’unica possibilità di salvezza – oltre all’impegno di milioni di cittadini, il cui “resistere, resistere, resistere” continua a manifestarsi nelle piazze, negli appelli, nei blog – è costituito dal “resistere” di tutte le istituzioni di garanzia, i cui poteri la nostra bellissima e invidiabile Costituzione ha voluto a salvaguardia delle libertà di tutti.

Tra questi, Presidente, in primo luogo i suoi poteri. Lei, tramite il suo ufficio stampa, non ha mancato di palesare irritazione profonda contro il richiamo critico che da queste pagine più volte è venuto nei suoi confronti, per l’uso a nostro giudizio minimalistico che lei ha fatto dell’articolo 74, secondo cui “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione” (non solo dunque la palese anticostituzionalità: qualunque motivo che il Presidente ritenga seriamente argomentabile). Speriamo che in questa circostanza non risponda né con nuova irritazione né con un ancor più preoccupante silenzio.

Vede signor Presidente, a differenza di quanti dichiarano in pericolo la Repubblica, ma che ritengono che proprio per questo lei non vada in nessun modo chiamato in causa, perché costituisce l’estremo usbergo delle libertà repubblicane, io sono profondamente convinto che tacere non sarebbe sintomo di rispetto, ma semmai di disprezzo o comunque di colpevole noncuranza per ciò che lei rappresenta, l’istituzione più alta, “l’unità nazionale” nel vincolo della Costituzione. Quest’unità, questa Costituzione, sono quotidianamente profanate dall’attuale governo.

Contro tali profanazioni lei ha la possibilità di esercitare poteri spesso dalla immediata efficacia pratica, sempre dall’altissimo peso simbolico. E il peso simbolico è nella vita politica spesso decisivo. Perciò la logica, e ancor più il rispetto che porto alla sua Presidenza, mi fanno dire: o i discorsi che sempre più unanimemente sentiamo, e di cui ho citato sopra solo un autorevolissimo esempio, sono irresponsabile demagogia, oppure, se sono veri (e io credo che siano verissimi) la difesa della convivenza civile, garantita dalla nostra Repubblica grazie alla Costituzione nata dalla Resistenza, ha bisogno che lei usi pienamente dei poteri che tale Costituzione le assegna.

È già accaduto nella storia della nostra patria che il mancato esercizio di poteri legittimi abbia consentito a prepotenze illegittime di conquistare il potere, e di legalizzare così la loro illegalità – non ho certo bisogno di ricordarle l’inazione di Luigi Facta, da tutti i democratici retrospettivamente sempre condannata. Lei è di tempra completamente diversa, e per questo mi rivolgo a lei. Entro l’estate si pretenderà la sua firma ad una legge che, impedendo ai magistrati indagini efficaci su crimini gravissimi e mandando in galera i giornalisti che informano, costituisce – tecnicamente parlando – un primo elemento di fascismo vero e proprio.

Carlo Marx scriveva che nella storia le cose si ripetono sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Io non lo credo, perché sono meno ottimista. In Europa scrivono di continuo che l’Italia con Berlusconi sta vivendo nella farsa. Impedire che si trasformi in tragedia dipende da tutti noi, noi cittadini, in primo luogo, e da lei, Presidente, che per tutti gli italiani che ancora credono nella Costituzione è non a caso il “primo cittadino” .

Quando, all’inizio del suo mandato, le rivolsi una “lettera aperta” le chiesi, attraverso il suo addetto stampa, se dovessi usare il “tu” a cui eravamo abituati o il “lei” che mi sembrava più consono dato il suo nuovo ufficio. Mi fece sapere che preferiva continuassi a rivolgermi a lei con il “tu”. Così ho dunque sempre fatto.

Se ora trasgredisco, la prego di credermi che non è certo per sottolineare una distanza o una freddezza di affetto personale. Anzi, sono più che mai solidale con la fatica e l’angoscia che l’esercizio della più alta carica le costa in tempi tanto calamitosi per le libertà repubblicane. Lo faccio solo per sottolineare il rispetto con cui, da cittadino a “primo cittadino”, le rivolgo questo invito accorato e allarmato a fare uso pieno dei suoi poteri contro il “macero delle istituzioni” con cui il governo sta travolgendo il paese. Prima che sia troppo tardi.

(26 giugno 2010)

 
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GRANDI IMPRESE ?????

Post n°52 pubblicato il 23 Giugno 2010 da livello2010
 

Caso Sepe, le comunità cristiane di base: “Nessuno segua potere e ambizioni”

da www.cdbitalia.it

Il coinvolgimento del cardinale Crescenzio Sepe e della Congregazione vaticana di Propaganda Fide in una inchiesta giudiziaria penale con gravi accuse di corruzione colpisce di nuovo e profondamente la coscienza cristiana. Un’indagine non è una condanna e tuttavia apre squarci inquietanti nel panorama torbido e oscuro della gestione carente se non addirittura priva di regole e controlli dell’immenso patrimonio immobiliare e finanziario della Propaganda Fide e degli altri organismi vaticani.

Chi vive la fede cristiana come affidamento alla solidarietà fraterna senza confini, perché fondata sull’amore gratuito e universale di un Dio partecipe della fragilità umana (la croce), non può accettare che a livello istituzionale ecclesiastico si pretenda dare testimonianza e diffondere quella stessa fede cristiana con una profusione di mezzi che contraddice scandalosamente il Vangelo.

Questa nuova manifestazione dei guasti provocati dalla gestione autoritaria dell’istituzione ecclesiastica, che va ad aggiungersi a quelli derivati dalla diffusione delle notizie sui casi di pedofilia all’interno del clero, sta provocando forme di reazione anche all’interno stesso della Curia di cui, secondo alcuni, sono espressione le dure parole pronunciate dal papa nei confronti di chi considera il sacerdozio occasione di carriera e di arricchimento.

Le comunità cristiane di base italiane
Milano, 22 giugno 2010

 
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