VIPERA AEMME

VIPERA AEMME - L'IO PRONOME SINGOLARE


Ogni persona che incontri è migliore di te in qualcosa: in quella cosa impara. Questo frase non certo della vipera mi è sempre sembrata naturale, naturalmente vera. Era del grande Gandhi, manco a dirlo e mi sembrava talmente ovvia, a ragionarci pochi minuti, che quasi suonava scontata. Ahimè non sarebbe stato tanto grande se non avesse avuto la capacità di guardare negli occhi e nel cuore della persone. Mi guardo intorno e vedo tanta presunzione, tanti “io” e raramente, molto raramente qualche“noi”. Questo da solo rappresenta il termometro di quanto poco riusciamo a vedere negli altri qualcuno in grado di darci qualcosa, quel qualcosa che ci manca, che ci faccia crescere. La presunzione la fa da padrona, impera, il nostro sapere di tutto, la facilità con cui esprimiamo giudizi su persone, magari appena conosciute, ci fa chiudere in una teca di cristallo talmente delicata che potrebbe rompersi al solo alzarsi di un venticello leggero. Molte sono le persone in grado di bastare a se stesse ( io ho sempre bisogno di confronto e di conforto, mannaggia!) molti quelli che ormai, dai 15enni ai 50enni non hanno più niente da imparare, né da scoprire dall’esperienza di un amico, di un conoscente. Hanno risposte pronte ed immediate. Così come se fossero dotate di una macchina con le risposte per tutto: schiacci un pulsante ed eccola la soluzione giusta. Ma mica ipotetica, rivedibile: no, definitiva e tassativa, come una sentenza della Cassazione. E vivono bene così ( e questo è insieme il loro limite e la loro fortuna) senza domande, perché certi che il loro sapere, la loro idea non possa avere controindicazioni. Si punta dritto un bersaglio e . . . nessun ripensamento. Al massimo qualcuno ammette qualche errore dopo anni, esattamente quanti ce ne sono voluti per metabolizzare la cantonata. Questo io che non è in grado di prendere compagna, che non sa andarsi ad addizionare a nessuno rende queste persone tristi, perché in fondo, ne sono quasi sicura, non capiscono che se si imparasse ad essere un po’ “spugna” del sapere del prossimo, se si imparasse ad ascoltare l’altro con il giusto interesse, se ne ricaverebbe un accrescimento personale tanto grande quanto l’umiltà necessaria al vivere sereno che andava predicando Mohatma Gandhi. Un Io, quello di tanti, che potrà essere pur sempre il soggetto della frase ma che suo malgrado sarà costretto a restare “singolare” per sempre. chevipera@libero.it