VIPERA AEMME

VIPERA AEMME - CHE LEADER!


di Alga MadìaQuando ero bambina giocavo con un gruppo di amici, sempre gli stessi, nel giardino di casa. Le nostre case erano, ciascuna, recintate da un muro alto e pitturato di bianco, circa un metro e mezzo, ma a noi pareva altissimo. Giocavamo e crescevamo serenamente. Ma come tutti i bambini anche a noi succedeva di avere qualche divergenza, qualcosa che non ci vedeva d’accordo e, allora, si litigava. Spesso qualcuno chiedeva la scissione del gruppo, come fanno i politici oggi, in due sottogruppi. Meglio, li immaginava come due nuovi gruppi. Uno enorme, il suo, l’altro possibilmente composto solo da una persona: l’ex amico. A ciascuno veniva chiesto di schierarsi, di decidere se stare da una parte o dall’altra e iniziava questa tiritera – tipo “se sei mio amico, mica parlerai con quello?” – ma che scherziamo? Un gioco questo che non ho mai sopportato, neanche quando l’età me lo avrebbe consentito. Lasciavo tutti e me ne andavo sull’albero di gelso a fare o a pensare chissà cosa, non volevo mai partecipare a quella selezione aspra e dura. Il malcapitato vedeva la maggior parte dei suoi amici andare in un altro gruppo, come se improvvisamente non si conoscessero più.. Più grande, molto più grande mi sono resa conto che questa strana usanza ha ancora fondamenta profonde nel comportamento di alcuni adulti. Magari non così esplicitamente – ma vai a vedere poi – viene chiesto di fare qualcosa a proprio favore e, chiaramente a discapito del nuovo avversario, come in una lotta. Vince chi ottiene da amici in comune la loro sottomissione ed accetta i dictat del nuovo capo. Veti veri e propri che si spingono fino ad impedire loro di fare perfino una telefonata. Quella, secondo loro, è prova di amicizia, il godimento di far fare a qualcuno ciò che si vuole. Lo sarà pure, ma mi sono chiesta tante volte “se avessi un cane e lo tenessi sempre al guinzaglio che merito ne avrei se lui, forzatamente, restasse accanto a me?” Magari appena allentato il filo, scapperebbe chissà dove e seguirebbe un destino che potrebbe essergli più congeniale. La prova del suo amore l’avrei lasciandolo libero di fare ciò che crede. E sarei felice se lui restasse al mio fianco. Ecco perché continuo a non credere a quanti tutti i giorni sbandierano la loro idea di libertà che alla prima occasione utile si frantuma in mille pezzi. Pezzi che raccolti si rivelano ricchi di prepotenze, di imposizioni ad altri dei propri disastri mentali. I miei amici di allora sono sparpagliati per il mondo, chissà se almeno loro crescendo avranno smesso i panni della stupidità a tutti i costi, se avranno imparato a lasciare in pace i loro attuali amici, liberi di parlare con chi credono. Non mi piacevano già allora questi pseudo-leader, oggi, con l’anarchia ritrovata, li leggo ancora più idioti di allora.chevipera@libero.it