VIPERA AEMME

VIPERA AEMME - IL QUALUNQUISMO AL POSTO DELLE IDEE


di Alga MadìaAbbiamo tutti, ciascuno per la propria quota parte e su tutti i giornali locali, denunciato una città figlia di nessuno, lasciata in balia di se stessa. Peggio, in balìa degli eventi, dell’alea, del fato. Roba che se fossimo in altra epoca sarebbe stata una città da espugnare facilmente, senza grandi dispendi di forze, noi cittadini l’avremmo ceduta facilmente al primo arrivato, magari senza neanche accorgercene. Capisco qual è il vero male della città in questo  nostro tempo, ma anche il male vero di tutto il nostro territorio. Uno solo: il qualunquismo, il pressappochismo con cui ciascuno di noi, ciascun cittadino si fa carico quantomeno di capire cosa succede in città e perché.  Parole e parole fatte di polemiche sterili, di nessuna voglia non solo di impegnarsi fattivamente per la propria cittadina, ma al contrario con  l’espressione fissa sulla faccia di chi snobba, con quel fare di sufficienza verso quanti intendano muovere, fosse pure un dito, per toglierla dal degrado in cui si trova, una malattia mortale all’ultimo stadio. Ma la città non è in stato solo grazie all’inefficienza delle amministrazioni che si sono succedute in questi anni, ma e credo soprattutto, grazie a quanti di noi continuano a non farsene carico, non sentendosi in nessun modo parte integrante di un tutt’uno, snobbando l’idea di formare una comunità, che dopo quasi un secolo di storia si sarebbe dovuta essere formata da un pezzo. Il solito atteggiamento di indifferenza o di sfiducia nei confronti della politica e del sistema dei partiti, che si manifesta in prese di posizioni che si semplificano con l’indifferenza. Nessuna attenzione se non al proprio personale interesse.A nessuno frega niente del bene comune, di un impegno civico, di porsi in qualunque discussione con onestà intellettuale, mettendosi in discussione e facendosi carico dei problemi degli altri. Una città nel degrado quando a degradarla siamo anche noi. Abitanti di un luogo che non conosce plurali, ma solo singolarissimi personalismi. Tutti amici fra compaesani, salvo poi definire ciascuno col peggiore dei giudizi e viceversa. Un posto, il nostro, dove una risorsa nuova si guarda – quando va bene – con diffidenza, oppure sparandoci sopra a raffica. Comunità è una parola che non esiste in città perché come diceva il direttore nell’articolo di fondo di ieri, dovremmo imparare ad essere principalmente cittadini, capaci di interpretare ciascuno un proprio ruolo, offrire un minimo impegno – fosse pure evitare di continuarla a sporcare buttando per terra di tutto – apportando, non togliendo, indignandoci non subendo. “In 120mila dovremmo metterci a fare i cittadini”. Difficile altrimenti ipotecare qualsiasi cambiamento. Qualunque amministrazione si troverebbe a combattere contro i mulini a vento. Una zavorra che lascerebbe la città priva di una qualunque possibilità di risalita dal fondo – sempre più fondo – che ha toccato. chevipera@libero.it