VIPERA AEMME

VIPERA AEMME - LE ANTI-FEMMINE


di Alga MadìaE’ così che si potrebbero chiamare: le anti-femmine. Tutte quelle donne, così all’anagrafe,che fanno di tutto per non sembrarlo. Depositarie di quanto più in contrasto con l’innata femminilità di – quasi – ciascuna di noi. Quando mio figlio era piccolo lo accompagnavo tutti i pomeriggi ai giardini pubblici, per noi i giardinetti, dove si incontrava con altri bambini per giocare. Spesso con me c’era Claudia o altre mamme, ma quando non c’era nessuna di loro, a farmi compagnia era sicuramente il solito libro. Clima meno afoso, decido, senza figlio al seguito, di prendere la bici, il libro e andare ad immergermi  nelle sue pagine. Panchine di allora, probabilmente le stesse. L’ombra di un pino dà la giusta frescura alla mia lettura. Dopo poche pagine alcuni ragazzi si siedono nella panchina di fronte. Fumano, i ragazzi trovano un pallone ed iniziano a giocare. Le donne, che fatica chiamarle così – fumano, gesticolano vistosamente portando le dita chiuse davanti alla faccia come a dire: - che stai dicendo?. Meglio, ma che stai a dì? Sono molto distratta e non saprei ricordare neanche ciò che indossavo ieri, ma loro si fanno guardare perché innanzitutto si fanno sentire. Chiamano i ragazzi con appellativi che neanche nei peggiori cabaret di periferia si potrebbero ripetere. Fumano in maniera nervosa fino all’ultimo spazio di nicotina, prima del filtro. Un linguaggio crasso, volgare e soprattutto inutile; neanche comico. Un signore piuttosto anziano è anche lui attratto – sicuramente non dalla la loro grazia – ma dal loro, come dire, interloquire vivace. Si merita un: “che ciai da guardà? Ma guarda mpo’ avanti che caschi!”. E tutte a ridere sguaiatamente. Distoglie anche lui lo sguardo, come istintivamente faccio subito anch’io. Lui va via, io sono a pochi passi e non riesco più a concentrare la mia attenzione su quel libro, che fino a pochi istanti prima ritenevo interessante. Hanno tutte voci poco femminili, rauche, forse penso, rese più spesse dal troppo fumo. I ragazzi non le guardano proprio, non destano interesse su loro. Non hanno un argomento, parlano come usando slogan, praticamente non dicendo niente e non riuscendo nemmeno a stare zitte. Nessun accenno nel loro portamento ad un briciolo di femminilità, quella che poi è l’unica caratteristica evidente che ci distingue – anche nettamente – dall’altro sesso. Neanche a cercarla. Le parole, i discorsi, i movimenti, le battute: tutto stile scaricatore di porto – si diceva un tempo e credo che l’accostamento sia offensivo per la categoria di quei lavoratori. Esce di tutto da quelle bocche. Decido di chiudere il libro, alzandomi per andare via devo necessariamente passare davanti a loro. Una a voce alta dice: “ a bbella, quanto t’atteggi!” Mettevo soltanto i miei passi uno dietro l’altro, ma a loro sarà parsa una chiccheria, un’ostentazione. Mi giro e sorrido. Alzo un po’ le spalle. Silenzio. Strano penso, forse hanno visto una femmina con le sembianze di femmina?  Mi arriva un messaggio sul cellulare. E’ un mio carissimo amico che mi scrive dalla Mostra del cinema di Venezia: “sono in sala a sole due file dalla Deneuve. Che femmina!”  Sorrido ancora . . . loro non potrebbero capire.chevipera@libero.it