VIPERA AEMME

LA VIPERA . CINQUE PIANI IN VENTI MINUTI


 -  -  di Alga Madìa - -“A che piano va?” “Al 5°, grazie” “Io scendo prima, vado al terzo”. La signora che mi fa questa domanda mi scruta per un po’, anche insistentemente, mentre io con un lieve imbarazzo fisso lo sguardo sulle mie chiavi di casa. “Le posso dare un consiglio?” Non faccio in tempo a rispondere – dica pure – che lei prosegue come un fiume in piena. “Lasci  perdere i medici!” Ma per chi mi avrà scambiato, penso. E lei “Non ce la faccio più, sono settimane che sto facendo migliaia – dice proprio così – di controlli. Ma che pensano che uno, perché è pensionato, non ha niente da fare?” Io non so replicarle, non capisco. Il viaggio, come si può immaginare, di tre piani è breve, siamo arrivate, ma lei comincia a spiegarmi i suoi sintomi, a dirmi che gli esiti sono tutti negativi, le analisi nella norma. Sono nervosa, penso che l’ascensore possa servire a qualcun altro, mentre lei, che deve aver fatto lo stesso pensiero mi invita a scendere, - solo due minuti – aggiunge. Mi racconta tutto il suo percorso di indagine medica e anziché essere sollevata dai risultati soddisfacenti è, come dire, indispettita, infastidita. “Ma, poi, parliamoci chiaro, non dovemo morì tutti? Io, lo so che me li porto bene, ma sa quanti anni ho? 79.” D’obbligo risponderle con i miei complimenti, ma non me lo concede, mi dice che già lo sa, che glielo dicono tutti. Che grinta, penso, ma allora cosa vorrà da me? Sento alle mie spalle l’attività frenetica dell’ascensore e io bloccata sul pianerottolo del terzo piano costretta a stare zitta. “Guardi, dia retta a me, se si sente un disturbo se lo tenga, tanto non serve a niente, tutto tempo sprecato … e soldi!” Provo ad accennare che è compito del medico escludere qualunque tipo di patologia, che forse lui voleva essere scrupoloso, ma in fondo sempre a favore del paziente, quando lei insiste che in tanti anni di vita al massimo ha preso un’aspirina. “Lasci perdere, signò, lasci perdere.  Sta per ricominciare l’elenco degli esami e quante volte in quindici giorni ha dovuto entrare, suo malgrado, nell’ambulatorio del suo medico. Ben cinque. Sono nell’angolo: da venti minuti, non ne esco. Mi elenca singolarmente i motivi di ciascuna volta. Capisco il suo bisogno di parlare tanto non consente altro. Capisco infatti che non le interessa sapere cosa penso, non era di un consiglio che aveva bisogno, ma di uno sfogo contro chi fa il suo lavoro con serietà. Penso a cosa mi avrebbe detto se fosse stato un superficiale. Decido di ricordarmi di avere un ragù sul fuoco. “Devo scappare – le dico – sono contenta che lei non abbia niente. Auguri”.  Non posso permettermi di chiamare l’ascensore. La rampa delle scale e i gradini a due a due, sono la mia salvezza.chevipera@libero.it