Creato da chevipera29 il 07/04/2010
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Al cardiopalma la vittoria di “Canale Mussolini”.
“Scrivere è il mio dovere”. E’ una delle prime dichiarazioni che rilascia il vincitore del Premio Strega 2010, Antonio Pennacchi, a Gigi Marzullo. Abbiamo tifato tutti per lui, perché è uno dei pochi concittadini per cui vale la pena tirar fuori l’orgoglio, il senso di appartenenza. Abbiamo tifato tutti per lui perché ha scritto un bel libro che meritava realmente, al di là del campanilismo, di vincere l’ambito premio. Abbiamo tifato per lui, anche se non è simpatico, neanche quando vuole provare ad esserlo e neanche quando manda letteralmente a quel paese il suo bastone solo perché si permette di sfuggirgli dalle mani cadendo a terra. Abbiamo tifato tutti per lui perché è uno dei pochi cispadani a non sentirsi una razza eletta, ma si considera un extracomunitario dell’epoca. Questo riconoscimento serve a Pennacchi perché è bravo, perché ha scritto un altro ottimo libro, probabilmente il migliore, e perché la nostra città aveva un forte bisogno di riscatto, maltrattata com’è stata in tutti questi anni. E lui, facendoci gonfiare un po’, ha superato per pochi punti di differenza Silvia Avallone, con cui c’è stato un testa a testa al cardiopalma fino agli ultimi voti (133 contro 129). Ci onora questa vittoria e lui anche nel momento più emozionante, quello della premiazione, beve dalla bottiglia di Strega, come costume dei vincitori del premio, ma non dimentica gli operai della Nexans, i suoi ex colleghi, li chiama. “Il libro per il quale sono venuto al mondo. Da bambino sapevo che il mio compito nella vita era quello di scrivere questo libro, di fermare la mia storia, quella da cui provengo, raccontandola”. Racconta della sua storia personale e di quella del romanzo. Parla e lo fa con i modi e lo stile che noi di Latina conosciamo bene, della moglie Ivana, della donna che gli ha dato due figli e l’equilibrio che andava cercando, di cui aveva bisogno e senza il quale non avrebbe mai scritto. Parla della morte, quasi ad esorcizzarne la paura e lo fa ripetutamente. Parla della fede e di perdono. Della non violenza. Un percorso di vita articolato e complesso il suo, a tratti incomprensibile. Parla tanto, a valanga, non si ferma. A noi resta il suo libro, con la copertina della palude pontina del pittore Duilio Cambellotti. Qualcuno, preso dall’entusiasmo, avrà l’ardire di dire che siamo una città vivace e competitiva. Io penso che le eccellenze dei miei luoghi sono ancora eccellenze. Un libro affascinante, da leggere, da comprendere, da studiare. importante sapere da dove veniamo ed il colore degli occhi che avevano molti dei nostri antenati.
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