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UN SEMAFORO ROSSO

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VIPERA AEMME - UNA LIVELLA ANCORA SCONOSCIUTA

Post n°97 pubblicato il 13 Agosto 2010 da chevipera29

di Alga Madìa

 

La povera – si fa per dire – Lina Sotis non sarà tanto contenta se dopo tanti anni di perseverante lavoro, rivolto a migliorare i modi e i gesti di noi comuni mortali, il risultato non potrà essere certo considerato positivo. Forse decenni di rubriche su settimanali, in Tv, su quotidiani non sono riuscite a migliorare il nostro modi di essere, di porci, di comportarci. Sono stata, ahimè, imbottita di regole e di ciò che è bene fare e dire e ciò che non lo è al punto che, appena raggiunta l'età che mi consentiva di ragionare sola, ho fatto come fanno i cani uscendo dall'acqua. Una forte "scrollata" per togliere quella in eccesso. Via tutto quello che era superfluo, inutile, spesso fastidioso. Ma almeno quelle poche regole, come dire, di buona educazione dovremmo cercare di mantenerle pure in un mondo che continua ad evolversi quotidianamente e cambiare le sue regole strada facendo. Ci sono gesti della nostra quotidianità che infastidiscono, parole superflue, inutili, a volte che ci spingono nel ridicolo. Ad esempio, una donna non può presentarsi dandosi della "signora", ma sarà chi la presenterà a qualcun altro ad usare questo appellativo che dovrebbe sottolineare grazia o classe, non più uno stato sociale, visto che viene dato indifferentemente a tutte le donne che hanno superato i trent'anni. "Sono la signora Rossi". Perché non aggiungerci pure gentile? Questa regola vale per tutti i titoli, quindi anche professionali, che non andrebbero mai usati in contesti diversi da quelli lavorativi. Guai, grave, gravissimo, presentarsi anteponendo al proprio nome e cognome il titolo accademico. Si nasce con un nome ed un cognome: punto. Quello sarà sufficiente nella presentazione, ci sarà poi modo, se la conversazione lo consentirà o se qualcuno dei nostri interlocutori ne sarà incuriosito, di svelare la propria professione e non necessariamente il titolo. Se uno è medico si intenderà facilmente che sarà dottore in medicina. Il rischio che si corre è di fornire una notizia a qualcuno che non ha nessun interesse a saperla. Difficile che stuzzichi l'interesse di qualcuno, più facilmente parrà la solita ostentazione che tanto andiamo combattendo. Quello che si è, non si racconta: chi avrà voglia e pazienza di fare la nostra conoscenza, col tempo scoprirà sfumature e pilastri del nostro essere senza che noi ci affanniamo a riversargliele addosso appena conosciuti. I titoli sono ammessi, oltre che nei contesti lavorativi, sui biglietti da visita che si useranno appunto in quei contesti. La livella di Totò – e non del principe Antonio De Curtis – non deve aver insegnato molto se cadiamo sempre e costantemente nei soliti grossolani errori. Anziché ricorrere alla ormai celebre e forse desueta frase"lei non sa chi sono io!", aggiriamo l'ostacolo dichiarandolo alla prima stretta di mano.

chevipera@libero.it

 
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