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VIPERA AEMME - L'INGLESE NELL'ITALIANO

Post n°104 pubblicato il 21 Agosto 2010 da chevipera29

di Alga Madìa

Vedo una signora ferma, in mano un sacco di fogli. E’ spaesata, si guarda intorno. Siamo all’interno dell’aeroporto Leonardo Da Vinci e l’avevo notata mentre, sola, scendeva dal taxi che l’aveva accompagnata. Dopo pochi minuti, mentre cerco il “desk del mio check in sul monitor” la rivedo, ancora smarrita. Lascio la valigia e le vado incontro. Mi dice di non sapere l’inglese e che deve andare a trovare suo figlio a Singapore. “Qui non c’è una sola parola in italiano, e pensare che mio figlio mi ha detto che per non farmi trovare in difficoltà mi sarebbe venuto incontro, a Singapore. Già, e qui?” mi dice. Quasi non ci facciamo più caso ma l’inglese sta divorando la nostra lingua. Vero è che l’aeroporto è per sua natura internazionale, ma generalmente la lingua del Paese dove ci si trova è indicata come prima. Sotto la traduzione in inglese. Perfino a Mosca succede così. In Africa. Invece da noi c’è il terminal (A-B-C ) il cech-in, il metal detector, il duty free, il gate . . . e finalmente una volta arrivati lì, significa che ce l’abbiamo fatta. Prometto solennemente alla signora che le farò compagnia fino all’imbarco. Tanto inglese nel nostro italiano a sostituire completamente le parole. Normale ormai il ricorso ad inglesismi che sempre più sostituiscono il vocabolario della nostra lingua. Eppure ci sarebbe  ancora tanto da attingere da questo vocabolario, ma noi continuiamo a rubare parole. In Spagna amano talmente tanto la loro lingua che non si usano termini diversi da quelli spagnoli. Noi diciamo il computer, che certo non è termine italiano, loro dicono l’ordinador. . Per non parlare poi di quando pur di usare termini inglesi ce li inventiamo. Il fono, inteso come elettrodomestico per asciugare i capelli, è un termine che non esiste né in italiano, né in inglese. Inventato da chi non sa che si dice phone e si pronuncia “fon”, senza la O finale. Il “dépliant” è  parola rigorosamente francese e con l’inglese  non c’entra niente pertanto l’accento non andrebbe mai e poi mai messo sulla E ma sulla A: depliànt, per intenderci, e non dèpliant. Parole francesi – con accenti sulla E che in francese significano la pronuncia della E non l’accento come lo intendiamo noi - pronunciate come fossero inglesi, per amore dell’inglese.  Lo stage – pronunciato steig – che è ancora una volta un termine francese e non inglese. Addirittura pure le parole di origine veneta subiscono lo stesso destino. Allora abbiamo Bènetton, anziché Benettòn, Fùrlan anziché Furlàn. Si potrebbe continuare, mi fermo per offrire un minuto di riflessione se posso: proviamo a preferire le parole dello Zanichelli, del Garzanti, del dizionario Treccani.  Imitiamo una volta tanto francesi e spagnoli ed impariamo ad amare un po’ di più le parole di casa nostra. La nostra conoscenza dell’inglese lasciamola per quando ci rechiamo all’estero, magari lì evitiamo di balbettare, pure se dobbiamo domandare un bicchiere d’acqua.

chevipera@libero.it

 

 
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