I colori del NERO

Se l'ideologia soffoca gli ideali


                                                            
Fare futuro - Da Ffwebmagazine:   Ultrà: quando la politica si nutre di slogandi Federica Colonna  Philip Gould è un vecchio maestro, e una vecchia volpe, per chiunque si sia avvicinato alla comunicazione politica e abbia cercato di comprendere le magiche leve della passione e dell’appartenenza degli elettori. Votare è come scegliere la squadra e il calciatore da tifare, la politica è come il calcio: questa in sintesi l’indicazione concreta per il neo spin doctor, pronto a capire e gestire le dinamiche elettorali. Passione, appartenenza, interesse, sono tutte motivazioni adatte a definire il proprio profilo da tifoso e da elettore e tutte ragioni valide per compiere una scelta.  Come nelle domande dei bambini: “ma tu per chi tieni?”, tifare significa sostenere, essere per. Attenzione, però, c’è una piccola particella, di quelle da scuola elementare, capace da sola di definire la logica positiva del sostegno e dell’appartenenza: l’essere per. Diverso, è, invece, l’essere di.  Il semplice passaggio da un per a un di determina uno scarto concettuale, lo stesso che segna la differenza tra tifoso, appassionato o interessato che sia, magari perché ha scommesso al Totocalcio, e l’ultrà, il super-tifoso, quello che allo stadio ci sta sempre, pure in trasferta, pure con la pioggia, con un carico di adrenalina e odio da gladiatore infuriato al Colosseo.  Il termine, senza accento, ultra, indica un considerevole aumento, un netto salto di quantità e qualità, la definizione di una super appartenenza e di un super interesse. È una parola carica di assolutismo, piena, è l’Uno che incombe, il tutto che arriva, come un’onda, quella anomala, e avvolge, cancella, copre ogni sfumatura, ogni segno di differenza.  Con l’accento, l’ultrà è la personificazione della super-appartenenza tradotta in chiave calcistica e da tifoseria. È l’iperbole umana, e politica quando si radicalizza e prende forma nel sostegno politico, elettorale o meno che sia.  La politica da ultrà è insieme un’assenza e una presenza. L’assenza è quella del dialogo e la presenza dello slogan, della frase semplice e diretta, spigolosa e tutta intera, senza virgole né punteggiatura, da dire in un fiato, indiscutibile e sempre pronta.  Ultrà è anche l’assenza del pensiero complesso e complessivo, quello che non inquadra il mondo in bianco e nero, odio e amore, con me e senza di me; ultrà è la conferma di un pensiero parziale, che tende a togliere e a dividere, a spezzare, a semplificare le appartenenze in brevi, freddi, ripetibili  “siamo tutti buoni, sono tutti cattivi”.  Il pericolo insito nel sostegno politico da ultrà, e non da appassionato semplice, ma da tifoso con tutti, ma proprio tutti i crismi e i segni estetici del caso, è quello dell’eterno presente. Se l’appartenenza è un blocco marmoreo, se la passione è un sentimento assoluto, se il noi non ha confini se non quelli dello scontro con l’altro, allora l’essere per diventa essere di e si esaurisce nell’annullamento delle differenze, del cambiamento e, quindi, anche, dell’evoluzione e del futuro. Per l’assoluto non esiste la prospettiva del tempo.Non esistono più, allora, ideali, ma solo ideologie, non esistono più prospettive, ma solo pensieri auto-conclusi e totalizzanti, non esiste più domani ma solo un terribile statico eterno presente. Se le parole creano il mondo, allora, c’è da fare attenzione: che la politica da passione e interesse non diventi un modo di essere e appartenere da ultrà.9 ottobre 2009