Le dita di Dio

i poverini lo benedicono, i potenti tremano


 San Romualdo (Ravenna, tra il 951 e il 953 – Fabriano, 19 giugno 1027).S. Pierdamiani lo dipinge così:"Il suo volto era sempre così lieto e sereno, che metteva gioia in chiunque lo rimirava".Malgrado ciò è il santo di ferro, digiunatore e selvatico, dalle labbra sigillate, dal piglio fiero che fa tremare. Visse una vita lunghissima: dal 907 al 1027.A 20 anni gettò la spada dopo che la vide da suo padre Sergio bruttata nel sangue di un suo parente, abbandonò gli agi e le ricchezze e, a dispetto delle ire paterne, entrò nel monastero di S. Apollinaire, si rasò il capo e si coprì col cappuccio.Di lì, dopo 3 anni, bramoso di più ardue ascese, seguì la scuola di un eremita rigidissimo e strano nelle paludi vicino a Tor di Caligo.Si spostò in vari luoghi dell'Italia, fondando monasteri ed eremi, richiamato al rigore della Regola, rimproverando aspramente vescovi simoniaci e monaci imbastarditi, portando ovunque un'ondata di rigogliosa santità.Fu un uomo che anche se taceva con la lingua predicava con la vita, in 7 anni di continuo silenzio trascorsi in una cella di Sitria "lavorò come non mai alla salute degli uomini e come non mai raccolse i frutti di vita".Abbandonata la cella va a predicare in mezzo alla gente e con la sua fibra di ferro non accetta dal marchese Ranieri in regalo nemmeno l'acqua del torrente che gliela paga con uno scudo, oppure comanda al Doge Pietro Urseolo di lasciare il palazzo e di vestire la cocolla.Per 1 anno intero si ciba giornalmente di un pugno di ceci lessi; per 15 digiuna a pane e acqua, tranne il sabato e la domenica. La quaresima è pane e acqua dal lunedì al sabato.Resta tra le paludi dell'Origario, sopportando i morsi delle zanzare e il fetore dell'acqua putrida, finchè è costretto a fuggire gonfio, depilato e quasi verde come un ramarro.Dai Pirenei viaggia a piedi nudi fino a Ravenna. A 105 anni si arrampica sui gioghi di Camaldoli, decide di ritornare in Sitria e da qui a Valdicastro dove l'attende la morte e dove al suo corpo non concede un pagliericcio e perdipiù continua a digiunare; e così muore, steso sulla nuda terra, solo.....Così rigido da sembrare un uomo tutto d'un pezzo, eppure S.Romualdo è di una tenerezza ineffabile: dagli occhi gli sgorgano fiumi di lacrime, tanto che quando viaggia o salmeggia coi suoi discepoli, resta indietro o si apparta per dar sfogo alle sue lacrime. Non può più celebrare la Messa in pubblico. E tratta i suoi discepoli, come una madre tratta i suoi figlioli, anche se lui passa intere giornate a digiunare, non permette loro di fare come lui.Egli nasconde i miracoli con garbo e ride quando racconta le bizzarrìe a lui capitate.Spesso, davanti a qualche cibo ben preparato: lo guardava, lo annusava e poi diceva:" Gola, gola, come ti piacerebbe, eh! Ma tu non l'avrai". E la rimandava indietro dal cuoco......Una nota distintiva della spiritualità eremitica di S. Romualdo è la gioia festiva.Ecco come deve mostrarsi, secondo S. Pierdamiani, il vero eremita:" Nel cuore sia la mestizia, sul volto la gioia. All'apparire di un confratello senta refrigerio la tua carne, e non ti sia grave per un poco d'interrompere le tue penitenze. Subito dunque che il fratello picchierà alla tua porta, spariscano dal volto le rughe della mestizia, si spiani la faccia, gli si corra incontro ridenti e sereni; la bocca, la fronte, gli occhi brillino di gioia".( Opus, LI cap. X)