Le dita di Dio

Camminiamo sulle orme dei veri saggi: i santi. Il resto è follia. Chiara Lubich

 

SANTI NATI DALL'ANNO 1000 ALL'ANNO 1200

Antonio da Padova - Stanislao Vescovo e martire - Ubaldo da Gubbio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SANTI NATI DALL'ANNO 1201 ALL'ANNO 1400

Caterina da Siena - Francesca Romana -   

 

 

 

 

 

 

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« È uno specchio, quello c...Che onore grande e che f... »

“Donna meravigliosa amante della vita, sposa, madre, medico professionista esemplare....

Post n°4 pubblicato il 10 Aprile 2013 da leditadidio

 

 ....offrì la sua vita per non violare il mistero della dignità della vita”.  (Carlo Maria Card. Martini)

 

Santa Gianna Beretta Molla

 

Nacque a Magenta (Mi), nella casa di campagna dei nonni paterni, da genitori profondamente cristiani, entrambi Terziari francescani, il 4 ottobre 1922, festa di San Francesco d’Assisi, e l’11 ottobre, nella Basilica di San Martino, ricevette il S. Battesimo con il nome di Giovanna Francesca.

Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, medico missionario cappuccino a Grajaù, in Brasile, col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote ingegnere nella diocesi di Bergamo; Virginia, medico religiosa canossiana missionaria in India.

Nel 1925, dopo che l’influenza spagnola si era portata via tre dei cinque figli che morirono in tenera età, e a seguito di un principio di tubercolosi della sorella maggiore Amalia, di sedici anni, la famiglia si trasferì a Bergamo, dove l’aria di collina era più salubre.

Il papà di Gianna, Alberto, era impiegato al Cotonificio Cantoni, e fece enormi sacrifici perché tutti i figli potessero studiare sino alla laurea, riducendo tutte quelle spese che riteneva essere spese inutili, come quando, di punto in bianco, smise di fumare il suo sigaro. Uomo dalla fede profonda, dalla pietà sincera, convinta e gioiosa, fu loro di grande esempio cristiano: ogni giorno si alzava alle 5 per recarsi alla S. Messa ed iniziare così, davanti al Signore e nel Suo nome, la sua giornata di lavoro. Anche la mamma, Maria De Micheli, era donna dalla fede profonda, dall’ardente spirito di carità, dal carattere umile e al tempo stesso forte, fermo e deciso. Si recava anch’ella ogni giorno alla S. Messa, insieme ai suoi figlioli, dopo che il marito era partito per raggiungere con il treno, a Milano, il suo posto di lavoro. Mamma Maria si occupò di ciascun figlio come se ne avesse avuto uno solo; correggeva i suoi figlioli aiutandoli a capire i loro sbagli e talvolta bastava il solo sguardo. Fu loro sempre vicina.

 

Gianna, sin dalla prima giovinezza, accolse con piena adesione il dono della fede e l’educazione limpidamente cristiana che ricevette dai suoi ottimi genitori, che con vigile sapienza la accompagnarono nella crescita umana e cristiana e la portarono a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell’efficacia della preghiera. Fu da loro educata all’essenziale, alla sensibilità verso i poveri e le missioni, secondo lo stile francescano.

Immersa in questa atmosfera familiare di grande fede e amore per il Signore, Gianna ricevette la sua Prima Comunione a soli cinque anni e mezzo, e da quel giorno andò con la mamma tutte le mattine alla Messa: la S. Comunione divenne “il suo cibo indispensabile di ogni giorno”, sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Il 9 giugno 1930 ricevette la S. Cresima nel Duomo di Bergamo.

 

Non le mancarono prove, sofferenze e difficoltà, che però non produssero traumi o squilibri in Gianna, data la ricchezza e la profondità della sua vita spirituale, ma anzi ne affinarono la sensibilità e ne potenziarono la virtù.

Durante un corso di S. Esercizi Spirituali, predicato per le alunne della scuola delle Suore Dorotee dal Padre Gesuita Michele Avedano nei giorni 16-18 marzo 1938, Gianna, a soli quindici anni e mezzo, fece l’esperienza fondamentale e decisiva della sua vita. Di questi Esercizi è rimasto il quadernetto, di trenta paginette, di Ricordi e Preghiere di Gianna, tra i cui propositi si legge: “Voglio temere il peccato mortale come se fosse un serpente; e ripeto di nuovo: mille volte morire piuttosto che offendere il Signore”. E tra le sue preghiere: “O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua Volontà…”.

 

Nel novembre del 1942 si iscrisse e frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia, prima a Milano e poi a Pavia, dove si laureò il 30 novembre 1949. Dopo la laurea in Medicina, il 1 luglio 1950 Gianna aprì un ambulatorio medico e il 7 luglio 1952 si specializzò in Pediatria e predilesse, tra i suoi assistiti, poveri, mamme, bambini e vecchi.
Mentre compiva la sua opera di medico, che sentiva e praticava come una missione, premurosa di aggiornare la sua competenza e di giovare al corpo e all’anima della sua gente, accrebbe il suo impegno generoso nell’Azione Cattolica, prodigandosi per le “giovanissime”, e, al tempo stesso, continuò a sfogare con la musica, la pittura, lo sci e l’alpinismo la sua grande gioia di vivere e di godersi l’incanto del creato.
Si sposò con Pietro  il 24 settembre 1955, nella Basilica di San Martino a Magenta.
Fu moglie felice, e il Signore presto esaudì il suo grande desiderio di diventare mamma più che felice di tanti bambini: il 19 novembre 1956 nacque Pierluigi, l’11 dicembre 1957 Maria Zita (Mariolina) e il 15 luglio 1959 Laura.
Gianna seppe armonizzare, con semplicità ed equilibrio, i suoi doveri di madre, di moglie, di medico  e la sua grande gioia di vivere.
In questa armonia, continuò a vivere la sua grande fede, conformando ad essa il suo operare e ogni sua decisione, con coerenza e gioia.
Nella comunione di vita e d’amore della famiglia, che la nascita dei figli aveva reso ancora più ampia ed impegnativa, Gianna si sentì sempre pienamente appagata.
Il mistero del dolore e la fiducia nella Provvidenza
 
Nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di una nuova gravidanza, Gianna fu raggiunta dalla sofferenza e dal mistero del dolore: si presentò un voluminoso fibroma, tumore benigno, all’utero. Prima dell’intervento operatorio di asportazione del fibroma, eseguito nell’Ospedale San Gerardo di Monza, pur ben sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo e si affidò alla preghiera e alla Provvidenza. La vita fu salva. Gianna ringraziò il Signore e trascorse i sette mesi che la separavano dal parto con impareggiabile forza d’animo e con immutato impegno di madre e di medico. Trepidava e temeva anche che la creatura che portava in grembo potesse nascere sofferente e pregava Dio che così non fosse.
Alcuni giorni prima del parto, pur confidando sempre nella Provvidenza, era pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura. “Mi disse esplicitamente” - ricorda il marito Pietro - “con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui”.
Pietro, che conosceva benissimo la generosità di Gianna, il suo spirito di sacrificio, la ponderatezza e la forza delle sue scelte e delle sue decisioni, si sentì nell’obbligo di coscienza di doverle rispettare, anche se potevano avere conseguenze estremamente dolorose per lui e per i loro figli.
Per Gianna la creaturina che portava in grembo aveva gli stessi diritti alla vita di Pierluigi, Mariolina e Laura, e lei sola, in quel momento, rappresentava, per la creaturina stessa, lo strumento della Provvidenza per poter venire al mondo; per gli altri figli, la loro educazione e la loro crescita, ella faceva pieno affidamento sulla Provvidenza attraverso i congiunti.
La scelta di Gianna fu dettata dalla sua coscienza di madre e di medico e può essere ben compresa solo alla luce della sua grande fede, della sua ferma convinzione del diritto sacro alla vita, dell’eroismo dell’amore materno e della piena fiducia nella Provvidenza.
Il sacrificio e il dono della vita
 
Nel pomeriggio del 20 aprile 1962, Venerdì Santo, Gianna fu nuovamente ricoverata nell’Ospedale S. Gerardo di Monza, dove le fu provocato il parto, per espletarlo per vie naturali, ritenuta la via meno rischiosa, senza esito favorevole.
Il mattino del 21 aprile, Sabato Santo, diede alla luce Gianna Emanuela, per via cesarea, e per Gianna iniziò il calvario della sua passione, che si accompagnò a quella del suo Gesù sul Monte Calvario.
Già dopo qualche ora dal parto le condizioni generali di Gianna si aggravarono: febbre, sempre più elevata, e sofferenze addominali atroci per il subentrare di una peritonite settica.
“Gianna”, ricorda la sorella Madre Virginia, che, rientrata inspiegabilmente e provvidenzialmente dall’India potè assisterla nella sua agonia, “solo raramente svelava le sue sofferenze. Ha rifiutato ogni calmante per essere sempre consapevole di quanto avveniva e presente a se stessa. Non solo, ma per essere lucida nel suo rapporto con il suo Gesù, che costantemente invocava”. “Sapessi quale conforto ho ricevuto baciando il tuo Crocifisso!”, le disse Gianna, “Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti!…”.
“Attingeva la forza del suo saper soffrire”, ricorda ancora Madre Virginia, “dalla preghiera intima manifestata in brevi espressioni di amore e di offerta: “Gesù ti amo” – “Gesù ti adoro” – “Gesù aiutami” – “Mamma aiutami” – “Maria…”, seguite da silenziose riflessioni”.
Nonostante tutte le cure praticate, le sue condizioni peggiorarono di giorno in giorno.
Desiderò ricevere Gesù Eucaristico anche giovedì e venerdì: causa l’incoercibile vomito, con suo grande rincrescimento, per non mancare di rispetto al Signore, si accontentò di ricevere sulle labbra una minima parte dell’Ostia.
Il fratello Ferdinando aveva accettato da Gianna l’incarico di avvisarla quando fosse giunto il momento della sua morte con una frase stabilita. Ferdinando non ebbe il coraggio di eseguirlo: ne incaricò Madre Virginia, che, al momento opportuno, disse a Gianna: “Coraggio, Gianna, Papà e Mamma sono in Cielo che ti aspettano: sei contenta di andarvi?” “Nel movimento del suo ciglio”, ricorda Madre Virginia, “si potè leggere la sua completa e amorevole adesione alla Volontà Divina, anche se velata dalla pena di dover lasciare i suoi amati figli ancor tanto piccoli. Gianna, come il suo Gesù, si consegnò al Padre”.
All’alba del 28 aprile, Sabato in Albis, venne riportata, come da suo desiderio precedentemente espresso al marito Pietro, nella sua casa di Ponte Nuovo, dove morì alle ore 8 del mattino. Aveva solo 39 anni.
Il 16 maggio 2004 Sua Santità Giovanni Paolo II, in Piazza S. Pietro a Roma, ha proclamato Gianna Beretta Molla Santa.
Ecco alcune sue riflessioni:
La preghiera
“La preghiera è la ricerca di Dio che sta nei cieli, e ovunque poiché è infinito…
Chi non prega, non può vivere in grazia di Dio.
Pregare, pregare bene, pregare molto. Non solo quando abbiamo bisogno di grazie, non solo per chiedere. La vera preghiera è quella
·   di adorazione: riconoscimento della bontà, dell’amore di Dio
·  poi di ringraziamento: sono un nulla, eppure sono un corpo, ho dei doni, tutto tuo dono - il mondo l’hai creato per me.
Vediamo la mano di Dio dappertutto, e ringraziamolo
·    di perdono
·  di richiesta: non solo le cose materiali, ma “cercate prima il Regno dei Cieli”, la grazia, il Paradiso per noi e per gli altri.
Pregate e vi santificherete - santificherete - vi salverete.”
                   (Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, 1944 - 1948)
 
La devozione alla Mamma Celeste
La devozione alla Mamma Celeste fu in Gianna intensa e determinante:
- per la vita di Pietà della giovane di Azione Cattolica, Gianna raccomanda con insistenza il S. Rosario e aggiunge: “senza l’aiuto della Madonna in Paradiso non si va.”                
(Quaderno dei ricordi  durante i SS. Esercizi, ? 1944 - 1948)
- “Amare la Madonna = confidenza tenera nelle nostre difficoltà. La Madonna è la Mamma non può lasciar cadere la nostra domanda.”    (anni 1947 - 1948)
- Alle nuove Delegate delle Giovanissime di Azione Cattolica: “Amate le vostre bambine, vedete in loro Gesù fanciullo e pregate tanto per loro,   tutti i giorni mettetele sotto la protezione di Maria Santissima.”   (anno 1948)
 
L' apostolato
“La condizione più essenziale di ogni attività feconda è l’immobilità  pregante. L’apostolato si fa prima di tutto in ginocchio.
Il Signore desidera vederci accanto a Lui per comunicarci, nel segreto della preghiera, il segreto della conversione delle anime che avviciniamo…
 
Non ci dovrebbe essere mai nessuna giornata nella vita di un apostolo che non comprenda un tempo determinato per un po’ di raccoglimento ai piedi di Dio…
 
Noi dell’Azione Cattolica dobbiamo dare del divino alle anime, non dell’umano. Ma capite bene che per poter dare dobbiamo avere, cioè dobbiamo possedere Dio.
Più si sente il desiderio di dare molto, e più sovente bisogna ricorrere alla sorgente che è Dio.”                                              
                  (lunedì 11.11.1946)
 
“Pretendere di essere apostoli, di far parte dell’Azione Cattolica e non partecipare  poi al sacrificio del Salvatore del mondo è pura immaginazione e illusione! Azione Cattolica è Sacrificio, non dimentichiamolo. Dobbiamo sempre accettare i sacrifici che ci vengono chiesti. Non ritirarsi quando ciò che vi si chiede di fare costa tempo, costa fatica, costa sacrificio. Le persone tiepide il Signore le detesta. La semigenerosità Gesù non l’amava.”
           (lunedì 30.12.1946)
La gioia
“Il mondo cerca la gioia ma non la trova perchè lontano da Dio.
Noi, compreso che la gioia viene da Gesù, con  Gesù nel cuore portiamo gioia. Egli sarà la forza che ci aiuta.”
                        (Quaderno dei ricordi  durante i SS. Esercizi, 1944 - 1948)
 
“Il segreto della felicità è di vivere momento per momento, e di ringraziare il  Signore di tutto ciò che Egli nella sua bontà ci manda giorno per giorno.”
La vocazione
“Tutte le cose hanno un fine particolare. Tutte obbediscono a una legge: le stelle seguono la loro orbita, le stagioni si seguono in modo perfetto. Tutto si sviluppa per un fine prestabilito. Tutti gli animali seguono un istinto naturale.  Anche a ciascuno di noi Dio ha segnato la via, la vocazione - oltre la vita fisica, la vita della grazia…
Dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna…
Che cos’è la vocazione? E’ un dono di Dio - quindi viene da Dio. Se è un dono di Dio, la nostra preoccupazione deve essere quella di conoscere la volontà di Dio. Dobbiamo entrare in quella strada:
1)      se Dio vuole - non forzare mai la porta
2)      quando Dio vuole
3)      come Dio vuole
Conoscere la nostra vocazione – in che modo?:
1)      interrogare il Cielo con la preghiera
2)      interrogare il nostro direttore spirituale
3)      interrogare noi stessi  - sapendo le nostre inclinazioni.
Ogni vocazione è vocazione alla maternità -  materiale -  spirituale – morale, perché Dio ha posto in noi l’istinto della vita.
Il sacerdote è padre, le Suore sono madri, madri delle anime.”
(Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, 1944-1948)                                                               
 L’amore e il sacrifizio
“Amore e sacrifizio sono così intimamente legati, quanto il sole e la luce.
Non si può amare senza soffrire e soffrire senza amare.
Guardate alle mamme che veramente amano i loro figlioli: quanti sacrifici fanno, a tutto sono pronte, anche a dare il proprio sangue purché i loro bimbi crescano buoni, sani, robusti! E Gesù non è forse morto in croce per noi, per amore nostro! E’ col sangue del sacrificio che si afferma e conferma l’amore.
Quando Gesù, nella S. Comunione, ci mostra il suo cuore ferito, come dirgli che lo amiamo se non si fanno sacrifizi da unire ai suoi, da offrirgli per salvare le anime? E qual è la maniera migliore per praticare il sacrificio? La maniera migliore consiste nell’adorare la volontà di Dio tutti i giorni, in tutte le piccole cose che ci fanno soffrire, dire, per tutto quello che ci succede: “Fiat: la tua volontà, Signore!” E ripeterlo cento volte al giorno! Non sono solo le grandi penitenze: portare il cilicio, digiunare, vegliare, dormire sulle tavole ecc., che fanno sante le anime, ma il vero sacrificio è quello di accettare la croce che Dio ci manda – con amore, con gioia e rassegnazione…
“Amiamo la Croce” e ricordiamoci che non siamo sole, a portarla, ma c’è Gesù che ci aiuta e in Lui, che ci conforta, come dice S. Paolo, tutto possiamo.”
                                            (anni 1945 - 1946)  

 

 

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