Creato da ninolutec il 19/03/2011
Libera Università della Terza Età Carbonia (CI) - Notizie associative e varia umanità - Un contenitore culturale di iniziative, laboratori, incontri sulla letteratura, la narrativa, la poesia, il cinema, la storia,.
 

 

« CONFERENZA DEL PROFESSOR...CONFERENZA DEL DOTTOR HA... »

CONFERENZA DEL PROFESSOR G. MURTAS

Post n°41 pubblicato il 14 Aprile 2011 da ninolutec
 

PROSPETTIVA E LUCE NELLA
PITTURA DEL ‘400

(Parte Seconda)

 

 

 

 

 

 

 

Nella prima metà del 1400 il ritratto era molto richiesto dalla borghesia, per sottolineare il prestigio, per valorizzare la personalità, per idealizzare i lineamenti del viso e per cogliere gli aspetti interiori.

A sua volta il paesaggio, sempre rappresentato prospetticamente, diventò via via elemento onnipresente, tanto da essere affrescato sulle pareti e sui soffitti di palazzi e chiese, per espandere gli spazi interni, come a prosecuzione dello spazio naturale. I temi sacri più calcati sono stati la “Natività”, la “Vergine e i Santi”, la “Vergine con il Bambino,” la”Crocifissione” e la”Resurrezione”, il “Giudizio Universale”, l’”Ultima cena” e la”Deposizione”.

Masaccio (1401-1428) fu il primo tra gli artisti figurativi a rinnovare la pittura del Rinascimento. Egli partì dagli studi di Giotto, per inserire le figure dei sui dipinti in ambienti dove era palese un rapporto armonioso tra le persone e gli oggetti. Purtroppo il destino volle la sua morte a soli 27 anni, e, pertanto, sono poche le opere che di lui ci sono rimaste. La “Pala d’altare della Madonna col Bambino e Sant’Anna”, la “Crocifissione”, la “Trinità” e gli affreschi della Cappella Brancacci in S. Maria del Carmine a Firenze. In quest’ultima Masaccio esperimenta per la prima volta in pittura la tecnica della prospettiva. Nell’opera “Il Tributo” le figure in primo piano sono posizionate in uno spazio che è circondato da paesaggio e sono dipinte con minuzioso chiaroscuro, che conferisce all’opera realismo e profondità. Nella “Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre”, la luce arriva da un’angolazione e da  punto ben focalizzati, colpendo in modo marcato le figure, e  rendendone l’espressione dei volti intensamente drammatica.

Particolarmente interessante la parte della relazione che ha trattato ampiamente le tematiche di Piero della Francesca, con riferimento alla la “Pala di Brera”, o “Pala Montefeltro” (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), un'opera a tempera e olio su tavola (248x170 cm), databile al 1472 circa e conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano, e da cui prende il nome. Alcune parti della pala (in particolare le mani del duca) sono da attribuire ad un intervento di completamento o modifica da parte di Pedro Berruguete, pittore di corte, databile a dopo il 1474 circa.

La pala di Brera è esemplare delle ricerche prospettiche compiute dagli artisti del centro Italia nel secondo Quattrocento. Si tratta di un'opera estremamente monumentale, con un trattamento magnifico della luce, astratta e immobile, e un repertorio iconografico di straordinaria ricchezza. Innanzitutto sono inconsuete sia le dimensioni sia l'assenza di scomparti laterali, come nei tradizionali polittici, risultando la prima Sacra Conversazione sviluppata prevalentemente in verticale: numerose tavole da altare, in tutta l'Italia centrosettentrionale, vi si ispirano.

L'opera presenta al centro la Madonna in trono in posizione di adorazione, con le mani giunte verso Gesù Bambino addormentato sul suo grembo. La particolare disposizione del gruppo sacro centrale è rara ma documentata già nella bottega muranese dei Vivarini o in un polittico di Antonio da Ferrara presente nella chiesa urbinate di San Donato dal 1439. Probabilmente la posizione venne scelta dal committente per il collegamento con un sentimento a lui caro, la pietà filiale. Attorno vi è una schiera di angeli e santi. In basso a destra si trova, appunto, inginocchiato e in armi, il duca Federico. Fa da sfondo alla composizione l'abside di una chiesa dalla struttura architettonica classicheggiante.

La Madonna è la figura che domina la rappresentazione e il suo volto è il punto di fuga dell'intera composizione. Il trono si trova poggiato su un prezioso tappeto anatolico, un oggetto raro e prezioso ispirato a dipinti analoghi dell'arte fiamminga. Il Bambino ha appeso al collo un ciondolo di corallo che cela rimandi al rosso del sangue, simbolo di vita e di morte, ma anche della funzione salvifica legata alla resurrezione di Cristo. La stessa posizione addormentata era una prefigurazione della futura morte sulla croce. Federico è esposto più all'esterno, fuori dall'insieme degli angeli e dei santi, come prescriveva il canone gerarchico dell'iconografia cristiana rinascimentale.

I santi ai lati sono (da sinistra):

San Giovanni Battista, barbuto, con la pelle e il bastone, la cui presenza è giustificata dal fatto che egli era patrono di Gubbio, di Urbino e della moglie del Duca

San Bernardino da Siena, in secondo piano, la cui presenza è giustificata dal fatto che Bernardino conobbe Federico, ne divenne amico e forse confessore; inoltre spiega la collocazione nel convento che porta il suo nome;

San Girolamo, a sinistra della Madonna, con la veste lacera dell'eremita e il sasso per percuotersi il petto; egli, in quanto studioso e traduttore della Bibbia, era considerato il protettore degli umanisti;

San Francesco d'Assisi, che mostra le stimmate la cui presenza viene messa in relazione con una possibile destinazione originaria per la chiesa francescana di San Donato degli Osservanti, che peraltro ospitò per un periodo la stessa tomba del Duca Federico;

San Pietro martire, con il taglio sulla testa;

San Giovanni Evangelista, con il libro e il mantello tipicamente rosato.

Gli abiti, molto ricercati, le pietre degli angeli e l'armatura sono dipinti con minuziosi particolari, secondo un gusto tipicamente fiammingo. Federico da Montefeltro è vestito dell'armatura, con la spada e un ricco mantello a pieghe, mentre in terra si trovano l'elmo, decritto fin nei più ricercati riflessi metallici della luce e dell'elsa della spada, il bastone del comando e le parti dell'armatura che coprono mani e polsi, per permettergli di giungere le mani in preghiera. Le sue mani hanno trattamento minuzioso e tondeggiante che è estraneo alla pittura "di luce" di Piero: vengono attribuite allo spagnolo di formazione fiamminga Pedro Berruguete, artista di corte di Federico dal 1474 al 1482. Il profilo mostrato è, come di consueto quello sinistro, poiché quello destro era mutilato dalla perdita di un occhio durante un torneo. La sua figura inoltre non solo è di proporzioni uguali alle divinità, come aveva già rivoluzionato Masaccio, ma è anche coinvolta inequivocabilmente nello spazio della sacra conversazione, suscitando anche nell'osservatore, per emulazione, la sensazione di trovarsi nello spazio della chiesa. Molti dei santi mostrano le ferite del loro martirio, e anche il duca, nell'elmo ammaccato, ricorda la sofferenza terrena.

Nei gioielli indossati dagli angeli o nella croce tenuta da san Francesco nella mano destra il pittore poté dare un saggio di virtuosismo nel rendere i riflessi luminosi sulle diverse superfici, anche quelle più preziose e ricercate, come facevano i fiamminghi. La scena è ambientata davanti a un'abside monumentale che, contrariamente alla prima impressione, si trova molto indietro rispetto alle figure, come dimostrano lo studio delle proporzioni architettoniche. Secondo il critico Clark le strutture dipinte sarebbero ispirate dalla chiesa di Sant'Andrea a Mantova di Leon Battista Alberti. L'opera venne iniziata nel 1471, ma è probabile che tra i due artisti ci sia stato uno scambio di pareri e magari di disegni progettuali durante un loro probabile incontro a Rimini e forse nella stessa Urbino. La struttura riecheggia anche lo schema dell'architettura reale della chiesa di San Bernardino, di Francesco di Giorgio Martini, anche se la chiesa è un'opera ritenuta successiva, edificata dal 1482. Entro un monumentale arco di trionfo, retto da paraste al di sopra di un'elaborata trabeazione con una fascia continua di marmo rosso, si sviluppa una volta a botte con cassettoni scolpiti con rosette. Il numero dei cassettoni su ciascuna fila è dispari, come nell'architettura classica, ma diversamente dalle opere dell'Alberto o dalla stessa Trinità di Masaccio, di brunelleschiana ispirazione. Archi analoghi sono impostati sui, come in un ipotetico transetto. Nella parte inferiore si trovano specchiature marmoree policrome, accordate su toni delicati che fanno risaltare le figure, amplificando la sacralità e la monumentalità. L'impianto prospettico è esaltato dai contrasti fra luce e ombra che si creano nei cassettoni della volta a botte. In fondo alla nicchia si trova un'esedra semicircolare dove colpisce la geometrica purezza della calotta della semicupola dove è scolpita una conchiglia (esempi simili si trovano nell'arte fiorentina dell'epoca, a partire dalla donatelliana nicchia della Mercanzia in Orsanmichele, del 1425 circa), magnificamente evidenziata dalla luce, al culmine della quale è appeso un uovo di struzzo, che sembra fluttuare sulla testa di Maria. L'uovo è messo in risalto dalla luce su uno sfondo in ombra, proiettandosi otticamente in primo piano.

La conchiglia è simbolo della nuova Venere, Maria e della bellezza eterna. L'uovo è un complesso richiamo al dogma della verginità di Maria, che doveva essere noto agli umanisti del XV secolo. Si rifà alla storia di Leda, sposa del re di Sparta, dove si trovava appeso in un tempio un analogo uovo, che venne fecondata da Zeus sotto forma di cigno, precorrendo la fecondazione di Maria tramite i raggi divini emanati dalla colomba dello Spirito Santo.

L'uovo era anche inteso comunemente come simbolo di vita, della Creazione (vedi Uovo cosmico). In numerose chiese dell'Abissinia e dell'Oriente cristiano-ortodosso viene spesso appeso nel catino absidale un uovo proprio con quest'ultimo valore, come segno di vita, di nascita e rinascita. Proprio questa valenza rimanderebbe alla nascita del figlio del duca, tanto più che lo struzzo era uno dei simboli della casata del committente. Inoltre l'uovo, illuminato da una luce uniforme, esprime l'idea di uno spazio centralizzato, armonico e geometricamente equilibrato: "centro e fulcro dell'Universo". Secondo altri la figura ovoidale sarebbe invece una perla, generata dalla conchiglia senza alcun intervento maschile.

La tavola è composta da ben nove assi lignee affiancate in orizzontale e tenute insieme da bacchette saldate negli scassi rinforzate da anelli metallici, secondo uno schema di carpenteria che era in uso a Urbino, utilizzato ad esempio anche nella Pala del Corpus Domini di Giusto di Gand o nel ciclo degli Uomini Illustri per lo Studiolo. L'imprimitura chiara, stesa prima della disegno e del colore, appare, secondo una tecnica appresa dai fiamminghi, in sottili porzioni lungo i perimetri delle forme, lasciati liberi dalle velature pittoriche, con l'effetto di creare una luminosità vibrante che accentua la tridimensionalità. Il colori usati non sono moltissimi, ma gli effetti cromatici sono moltiplicati dall'uso di diversi leganti, a seconda delle superfici. Se nello sfondo architettonica viene usata la tempera all'uovo, gli incarnati sono resi con un'emulsione di uovo e olio, mentre alcuni dettagli, come gli abiti, presentano una serie di velature a olio stese sopra una base a tempera, o viceversa. Il variare delle superfici e i diversi tipi di brillantezza vengono così resi in maniera eccellente. Non è chiaro perché le mani del duca vennero ridipinte. Forse il committente ne era insoddisfatto, desiderando un effetto più veristico, oppure si era reso necessario di aggiungere l'anello vedovile al dito, necessitando una nuova predisposizione dell'intero dettaglio. Durante tali interventi venne anche probabilmente soppresso il gioiello profano sul capo della Vergine, come hanno rivelato le radiografie, poiché giudicato sconveniente.
La Pala di Brera è come uno specchio delle meraviglie: occorre entrarci in silenzio, comprenderne la maestà, la calma, lo splendore e affidarsi poi al piacere della visione in uno stato di contemplazione pura.
Vedremo il miracolo che accade quando la luce tocca le cose: accade che le superfici specchianti dell’elmo del duca riflettano in un lampo di rosso, il velluto dell’elsa della sua spada. Accade che l’oro e il cristallo di rocca di cui è fatta la croce brillano contro il grigio della tunica di San Francesco, di uno scintillio differente rispetto ai monili degli angeli e al corallo che cinge il collo del Bambino. Accade che il blu “di lapislazzulo” del manto della Vergine nasconde nelle sue pieghe abissi di ombre colorate e tutto questo dipende dalle diverse proiezioni della luce che illumina la tavola.
Sulla pala di Brera si compie il “miracolo” delle cose visibili in un’epifania mutante con il trascorrere del tempo: fra un attimo, il lampo di rosso non ci sarà più o non sarà più lo stesso rosso, perché sarà cambiata l’incidenza della luce e sarà cambiato, nell’inarrestabile flusso del tempo, lo sguardo di chi osserva.
Come non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, non si può guardare due volte la stessa cosa. Per fermare il miracolo dell’apparenza fenomenica e consegnarlo all’eternità, bisogna fermare il tempo: solo l’arte può fare questo miracolo.
Piero Della Francesca lo ha fermato sulla tavola Montefeltro e ci ha insegnato che la pittura è la “Contemplazione delle cose nel tempo sospeso”.

Una interessante conversazione sul “Cenacolo” leonardesco ha concluso la brillante e applaudita conferenza del professor G. Murtas.

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/LUTEC/trackback.php?msg=10115084

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Nessun commento
 

 

 

               GITA A ORROLI

 

Contatta l'autore

Nickname: ninolutec
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 83
Prov: CA
 

Area personale

 

Tag

 

Ultimi commenti

Salve, prima di tutto vi ringrazio per aver inserito...
Inviato da: Manuela
il 10/02/2015 alle 23:06
 
Buon week end, bacioni
Inviato da: giramondo595
il 30/11/2013 alle 10:19
 
Buonanotte e sogni d' oro, bacioni
Inviato da: giramondo595
il 18/05/2013 alle 23:30
 
Buona serata, tantissimi bacioni
Inviato da: giramondo595
il 14/04/2013 alle 19:55
 
bouna serata, tantissimi bacioni
Inviato da: giramondo595
il 01/04/2013 alle 23:46
 
 

       GALLERIA DI IMMAGINI

    

 Rosas 

 

      

  Sirri

 

  
Vienna

 

     SITO LUTEC 

           

 
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963