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La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte seconda)

Post n°165 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

2. I rapporti tra pubblicità e media. Da Emile de Girardin all’Auditel: come la pubblicità detta le regole nella (della) comunicazione.

I mass media sono, oggi, gli strumenti privilegiati della pubblicità. Nati per svolgere altre funzioni, dall’informazione all’intrattenimento, si sono affermati come veicoli ideali per la comunicazione commerciale, che è diventata una componente rilevante dei contenuti diffusi dai media stessi, in quanto ne costituisce la fonte essenziale – spesso l’unica – di finanziamento. Il dato complessivo degli investimenti pubblicitari - che in larga misura si traducono in entrate per i media - è impressionante: le imprese italiane spenderanno nel 2007 10.000 milioni di euro per la loro pubblicità e quasi 20.000 milioni di euro per tutte le loro forme di comunicazione (comprendenti, oltre alla pubblicità, le sponsorizzazioni, le “relazioni pubbliche”, ecc.). Gran parte di questo ingente importo finisce alla televisione, alla radio, alla stampa quotidiana e periodica: ne è la linfa vitale. Salvo qualche eccezione, un giornale vive oggi per il 50% grazie alle vendite e per il 50% alla pubblicità, mentre un’emittente radiotelevisiva commerciale vive e guadagna interamente grazie alla pubblicità. Anche la Rai, che pure è un servizio pubblico, ha un bilancio che per il 50% è

sostenuto dalle entrate pubblicitarie. La free press, in notevole espansione anche in Italia da alcuni anni, segue le orme della radiotelevisione commerciale: è finanziata interamente dagli introiti pubblicitari. Con le relative conseguenze. Che ora dobbiamo considerare, partendo da un evento che si può considerare storico, sia per la pubblicità sia per i giornali (e poi per tutti i mass media), perché ha segnato la nascita della loro indissolubile intesa.

 2.1. La “trovata” di Emile de Girardin

Siamo nel 1836, a Parigi. Emile de Girardin, giornalista, editore, uomo d’affari, prende un’iniziativa che contribuirà in modo fondamentale all’esistenza stessa della stampa e, poi, di altri media. Egli manifesta la sua intraprendenza sul piano della tecnica, incoraggiando il potenziamento della macchina da stampa (“presse”), e soprattutto su quello economico, creando il primo giornale d’affari “La Presse”, destinandone interamente l’ultima delle quattro pagine ai “piccoli annunci” commerciali, perfezionando in tal modo l’iniziativa di Théophraste Renaudot che nel 1631 aveva cominciato a diffondere degli avvisi commerciali nel suo “Bureau d’adresses”. In questo modo de Girardin acquista il merito di aver colto un’idea che era nell’aria da molto tempo, avendo pienamente compreso che il potere della stampa si sarebbe moltiplicato abbassando considerevolmente il prezzo di vendita del giornale al fine di aumentarne le vendite. In sintesi: gli introiti pubblicitari consentono di diminuire il prezzo del giornale. La diminuzione del prezzo provoca un aumento dei lettori. Questo aumento valorizza il canale dei messaggi e, quindi, la sua utilizzazione da parte degli inserzionisti. Un autentico “circolo virtuoso”. I “piccoli annunci” si trasformano, poco a poco, in inserzioni più attraenti, ricche di enfasi verbale e grafica, grazie alle continue innovazioni tecnologiche, in particolare ai procedimenti foto-meccanici che permettono il ricorso alle illustrazioni. L’inserimento della pubblicità definisce per sempre le sorti della stampa. Sarà poi facile per la radio e la televisione, e poi per altri mezzi, imitare lo stesso procedimento: oggi il finanziamento dei media deriva in larga misura, per alcuni di essi, interamente, dalla pubblicità.

2.2. I problemi di oggi

Dobbiamo ora vedere come si siano sviluppate le conseguenze di tale rapporto, distinguendo tra i contenuti “primari” e quello “secondario” diffusi dai mezzi di comunicazione. Contenuto “primario” dei giornali e dei periodici è per definizione, direi, l’informazione, in tutte le sue articolazioni: politica, economica, sportiva, ecc. Per la radio e la televisione anche l’intrattenimento e lo spettacolo. “Secondario” è - o dovrebbe essere - il contenuto pubblicitario, dal momento che un giornale o un periodico non nasce per diffondere messaggi commerciali. Se non che, quest’ultima affermazione viene spesso posta in dubbio, in relazione non tanto ai principali organi di informazione, quanto a molte pubblicazioni periodiche che nascono o diventano principalmente collettori di pubblicità. Si pensi, in modo particolare, a certi supplementi dei quotidiani e dei periodici che non sono altro che veri e propri cataloghi pubblicitari. La pubblicità diventa, allora, il contenuto primario, mentre il resto fa da richiamo, operando come una sua protesi, necessaria a conquistare quell’audience che costituisce il naturale obiettivo dei messaggi commerciali. Secondo Bettetini e Fumagalli, si potrebbe parlare di una natura profondamente “pubblicitaria” di tutto il sistema mediatico, non solo, perché i media rendono “pubblico” l’accadere del mondo, ma anche perché la grande maggioranza dei fenomeni e dei contenuti dei media che si dichiarano informativi o di semplice intrattenimento sono riconducibili ad un’ottica in senso lato pubblicitaria: «vendere prodotti o comunque persuadere, far conoscere per far fare: comprare un oggetto o decidere socialmente e politicamente in una certa direzione».11 In questa affermazione la pubblicità viene intesa nel suo significato più ampio fino a comprendere la propaganda politica. L’intrusione della pubblicità nei media si è tradotta nella trasformazione crescente dei media stessi in imprese industriali e dell’informazione in vera e propria merce come qualsiasi altra: si sono perse così, gradualmente, l’originale autonomia del giornalismo e dello spettacolo e le loro stesse funzioni. L’obiettivo fondamentale si è progressivamente concentrato sulla vendita degli spazi agli inserzionisti, strettamente correlato alla quantità di individui raggiunti. L’orientamento commerciale ha portato anche alla continua crescita degli spazi pubblicitari rispetto agli altri contenuti diffusi dai media. Gli stessi inserzionisti sono atterriti dalla quantità di messaggi pubblicitari presenti soprattutto nella programmazione televisiva, cioè dal fenomeno dell’affollamento, dell’eccessiva quantità A sua volta, l’affollamento ha influito negativamente sull’efficacia dei singoli contatti, insidiati dai contatti contigui e dalla quantità complessiva dei messaggi commerciali. Come da anni sostiene il celebre pubblicitario francese Jacques Séguéla, “Troppa pubblicità uccide la pubblicità”. Non la uccide facendola realmente morire, ma corrompendone le forme e, soprattutto, inficiandone i risultati, riducendone l’efficacia. Per rimediare alle conseguenze deleterie dell’eccesso quantitativo, la pubblicità tende ad uscire dagli spazi “canonici”, troppo frequentati e divenuti meno efficaci, per invadere gli stessi contenuti primari dei media: dall’informazione allo spettacolo, dai talk show allo sport. Lo fa in mille modi diversi. Tipiche forme di pubblicità slealmente inserita nel tessuto dei media sono la “pubblicità redazionale” e il “product placement”, generalmente classificati come “pubblicità occulta”, utilizzati come rimedio alla perdita di efficacia dovuta all’iperdiffusione di messaggi pubblicitari “tradizionali”. A nulla sono valsi i rimedi agli eccessi quantitativi della pubblicità, anche le intese tra inserzionisti e mezzi. Negli ultimi tempi, poi, le lobby degli uni e degli altri hanno cavalcato una deregulation sostanzialmente definitiva che sta trovando una consacrazione ufficiale nelle decisioni dell’Unione Europea sulla televisione.

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