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La pubblicità: luci e ombre nel sistema dei media (Parte quarta)

Post n°167 pubblicato il 30 Marzo 2012 da ninolutec
 

2.5. Il condizionamento dei linguaggi

La pubblicità è stata a lungo chiamata réclame: dal latino clamare, gridare. Oggi tutto è gridato. Dai titoli dei giornali a quelli dei film, dai resoconti giornalistici ai talk show e fino ai dibattiti politici. La pubblicità ha fatto scuola. Non solo, si insinua ovunque, fino a contaminare, come ha scritto Jean Baudrillard, tutti i modi di espressione e ogni spazio comunicativo: tutto è pubblicitario (Baudrillard). Slogan che si trasformano in modi di dire, ma anche in titoli giornalistici gridati; tendenza all’esagerazione, in qualsiasi collocazione; cura formale, spettacolarizzazione e trasgressione come fattori di richiamo; la brevità come unificazione di generi. Anche uno studioso di marketing, Richard W. Pollay (in un celebre saggio di cui parlerò più avanti) ha posto in evidenza le influenze della pubblicità sul linguaggio, in una continua manipolazione di simboli, al punto da incidere sull’attendibilità stessa della lingua e, contemporaneamente svalutandola e insinuando addirittura il dubbio che tutto sia falso a causa delle sue mezze verità e dei suoi sottili raggiri. Dal punto di vista culturale, ha osservato Pollay, «il linguaggio è di vitale importanza. Fare affidamento sulla validità di ciò che si comprende attraverso la parola è fondamentale nel comportamento dell’individuo nel mondo – la capacità di accumulare conoscenze, fondare comunità e stabilire una relazione don Dio: tutto ciò è possibile soltanto se si ha fede nelle parole. Le parole possono essere poesia per tutti; la ricchezza del linguaggio può, con l’ispirazione, esprimere le nostre passioni, le idee politiche, le lodi, le preghiere». La pubblicità, continua Pollay, «può influenzare il linguaggio in due modi: ci fornisce un vocabolario, cioè una serie di parole e i concetti che esse esprimono, con cui strutturiamo percezioni e giudizi, definendo ampiamente la concezione della “realtà”. Tutti i linguaggi lo fanno. Quello che fa la pubblicità è conferire maggiore enfasi ad alcuni termini e concetti, ma influenzare anche la credibilità del linguaggio, svalutandolo al tempo stesso». E cita il linguista Haiakawa secondo il quale il linguaggio pubblicitario penalizza, sfruttandolo continuamente, il linguaggio poetico, che finisce per apparire come un linguaggio per venditori; e opera una deformazione che induce a dubitare di tutto: fino a compromettere la funzione principale della comunicazione. L’effetto più rilevante riguarda la televisione: «Sono ormai i generi televisivi a ricalcare la struttura narrativa degli spot pubblicitari […] . Velocità, immediatezza, superficialità: perfino le fiction sono oggi ritagliate su modi e tempi competitivi con i comunicati commerciali». Il potere assunto dalla pubblicità nel sistema dei media presenta anche un’ulteriore distorsione: i media non ne parlano mai – tranne rarissime eccezioni - se non per esaltarla. Dai “galà” televisivi alle proiezioni di spot per i “pubblifili”. La forza della pubblicità, in definitiva, ha finito per distorcere il ruolo dei media, fino a ridurli a meri procacciatori di spazi commerciali. Se questo è oggi, forse, l’aspetto più vistosamente critico della pubblicità, non si devono dimenticare gli altri aspetti del fenomeno pubblicitario connessi ai contenuti diffusi: sia in relazione ai singoli messaggi, sia in rapporto alla loro influenza complessiva che si può ben definire ideologica.

3. Aspetti etici. I singoli messaggi, l’autodisciplina dei pubblicitari, gli interventi dello Stato. La pubblicità nel suo insieme: uno “specchio distorto”. I compiti della ricerca e dell’educazione

Già il rapporto tra pubblicità e mass media presenta forti implicazioni etiche. Ma la pubblicità assume una dimensione etica assai più ampia, legata fondamentalmente al suo carattere persuasivo che ne detta forme, contenuti, modalità diffusive e alla sua capacità di agire sia con i singoli messaggi, sia con il loro insieme. Un illustre studioso della pubblicità che ho già citato, lo statunitense Leo Bogart, ha affermato che la pubblicità «è qualcosa di più di una forza economica: ha anche una profonda influenza sulla cultura, sui valori e sulla qualità della vita»,17 un fenomeno complesso dunque, come abbiamo visto, che nasce per esigenze di natura economica, ma che finisce per assumere una più vasta dimensione sociale e culturale. Sul piano economico la pubblicità, esaltata dalle imprese per il valore informativo, viene accusata di distorcere la correttezza degli scambi economici, anzitutto quando ricorre a messaggi ingannevoli. Può risultare scorretta anche quando promuove l’acquisto e il consumo di beni dannosi o pericolosi (gli alcolici, i medicinali, ecc.), oppure quando offende i sentimenti delle persone, minaccia psicologicamente, fisicamente, moralmente i minori. Ma di questo parlerò più avanti. Considerata nel suo insieme, poi, la pubblicità si presenta come una «forza pervasiva e potente che influisce sulla mentalità e il comportamento». Questa espressione è tratta dall’Introduzione del documento “Etica nella pubblicità emanato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali il 22 febbraio 1997, del quale vedremo tra poco i contenuti fondamentali. Ma il testo più significativo in tema di etica pubblicitaria proviene proprio dall’interno del mondo del marketing, del quale la pubblicità è una delle “leve” fondamentali. Proprio un illustre studioso di marketing, Richard W. Pollay, ha infatti pubblicato, nel 1986, un saggio diventato celebre nell’ambito degli studi accademici sugli aspetti socioculturali della pubblicità. Questo saggio si intitola “The Distorted Mirror: Reflections on the Unintended Consequences of Advertising”. Il saggio si apre con una frase tratta dal più importante periodico mondiale di pubblicità, “Advertising Age”: “Si deve riconoscere che il pubblicitario, per certi versi, è un manipolatore di cervelli quanto un neurochirurgo, anche se i suoi attrezzi e i suoi strumenti sono diversi”. Pollay aggiunge: «Se la metafora del neurochirurgo può essere un’iperbole, la gonfia retorica così tipica della pubblicità, essa contiene tuttavia un elemento di verità. La pubblicità esercita indubbiamente un’influenza formativa sulla nostra cultura, anche se noi non conosciamo ancora i suoi precisi effetti. Considerato il suo carattere pervasivo e persuasivo, è difficile affermare il contrario…». Emerge chiaramente che la valutazione degli effetti che la pubblicità può provocare dipendono sia dai suoi contenuti e dalle sue forme, sia dalle sue modalità diffusive. Complessivamente, essa opera una sedimentazione continua di stimoli a consumare, di speranze ingannevoli, di promesse illusorie, di modelli di comportamento trasgressivi, modellando la configurazione del reale in una dimensione falsata e tendenziosa.

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