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«Francesco, il primo papa globale»


.Matteo Tacconi 14 marzo 2013 Parla Stefano Femminis, direttore della rivista internazionale dei gesuiti, "Popoli". Il papa è di destra o di sinistra? «Ratzinger ci ha insegnato che non ha senso chiederselo»
La croce di ferro al collo del papa «Questo sarà il primo pontificato davvero globale. Arricchirà la prospettiva della chiesa su sviluppo, evangelizzazione, rapporti tra sud e nord del pianeta. Certo: Wojtyla è stato globale nell’azione. Ma le sue radici erano nell’Europa. Jorge Mario Bergoglio è il papa che “viene dalla fine del mondo”. La sua globalità è diversa. È geografica e antropologica». A parlare è Stefano Femminis, direttore – laico – di Popoli, la rivista internazionale dei gesuiti, l’ordine a cui il papa appartiene, “cucita” a Milano. Europa lo ha interpellato sull’elezione di papa Francesco.Sorpreso dall’esito del conclave? Totalmente. Anche noi, in questi giorni, ci siamo fatti condizionare dalle previsioni della vigilia. Inoltre le dimissioni di Benedetto XVI e la sua insistenza sul necessario “vigore del corpo e dell’animo” avevano spinto a prospettare la possibilità di un papa “giovane”.Bergoglio giovane non lo è. Ha settantasette anni.In realtà la storia ci insegna che l’anagrafe non conta. Giovanni XXIII, che è probabilmente stato il papa più innovativo dell’era contemporanea, salì al soglio pontificio alla stessa età che oggi ha il nuovo pontefice. La carta d’identità è l’ultimo dei punti considerati nella scelta del pontefice. Questo rompe gli schemi con cui siamo abituati a leggere le dinamiche dei conclavi: cardinali vecchi e giovani, progressisti e conservatori.Bergoglio, se proprio volessimo insistere su questi schemi, si colloca a “destra” o a “sinistra”? Da una parte viene da dire che i primi gesti del papa, mi riferisco alla scelta del nome, alla benedizione chiesta ai fedeli, alla sobrietà nei paramenti, alla semplicità della croce e al fatto che non ha mai pronunciato la parola “papa”, definendosi invece “vescovo di Roma”, appaiono innovativi. Dall’altra, le sue posizioni da arcivescovo di Buenos Aires su aborto, bioetica e coppie omosessuali, come un certo “interventismo” nella politica argentina, delineano il profilo di quello che, sempre per usare schemi probabilmente inadeguati, si direbbe un conservatore. È poi vero, comunque, che ha preso le parti delle classi sociali meno abbienti al tempo della crisi argentina. Dunque torno a dire che questi schemi non hanno molto senso. S’è visto con Ratzinger: è stato dipinto come un tradizionalista, salvo poi compiere un gesto di rottura gigantesco con le dimissioni.Che significherà avere un papa sudamericano?È la vera grande novità. Muta la prospettiva della chiesa. Bergoglio è il primo papa globale. A dire il vero anche Wojtyla fu globale. Ma nell’azione. Il suo retroterra mentale era l’Europa, seppure quello polacco sia un cattolicesimo di frontiera. La sua elezione fu un momento di rottura intra-europeo. Con papa Francesco si va molto oltre. Di mezzo c’è un intero oceano. Non oso dire che Bergoglio è il “papa del sud”, perché avremo un tale papa solo quando verrà eletto un africano. Eppure, premesso che l’America latina ha assorbito alcuni paradigmi occidentali, il suo provenire dal Cono sur lo porterà a guardare ai temi dalla fede con un’altra lente. Del resto la religiosità sudamericana è più popolare di quella europea. Non solo. Francesco guarderà attentamente all’espansione delle comunità protestanti, che sottraggono fedeli alla Chiesa cattolica in Sudamerica. La sensibilità di Bergoglio a questo tema è sicuramente maggiore di quella di un uomo di chiesa europeo.C’è chi dice che i gesuiti in America latina si sono troppo spesso schierati dalla parte del potere. È così? Ci sono esperienze che dimostrano il contrario. Una è quella delle “riduzioni”, le piccole comunità di evangelizzazione promosse dalla Compagnia di Gesù nel ‘600 e ‘700 (avete presente il film The Mission con Robert De Niro? Quelle erano le riduzioni). Gli indios non venivano oppressi, i gesuiti lottavano contro la schiavitù. In tempi più recenti viene in mente, invece, la vicenda dei martiri gesuiti del Salvador, uccisi nel 1989 dagli squadroni governativi. I gesuiti hanno anche dato un contributo alla teologia della liberazione. Poi ci sono anche stati episodi opposti. Ma l’ordine è grande e frastagliato, emergono posizioni diverse.Il papa sudamericano pone sfide agli Stati Uniti – dove i latinos sono in fortissima espansione demografica – e al socialismo di stampo latino-americano?Non mi sembra che Francesco possa influenzare il quadro politico statunitense. Forse l’avrebbe fatto un papa messicano. Quanto al bolivarismo, ci sono questioni aperte. In Venezuela c’è divisione tra gerarchia ecclesiastica (contraria al chavismo) e base, più vicina al popolo. Ma credo che il papa vorrà essere il papa di tutti. Di certo ha problemi maggiori con cui confrontarsi.Tipo la curia romana? Come può mettere ordine, visto che non è un uomo di “palazzo”?Intanto attendiamo le prime nomine. Anche se, con i gesti di ieri, non solo simbolici, il papa ha fornito un primo importante messaggio sulla volontà di gestire la curia in modo essenziale e sobrio. Quanto al discorso sull’inesperienza di Bergoglio con gli affari politici, direi che amministrando un’arcidiocesi come quella di Buenos Aires, con due milioni e mezzo di cattolici, ha sviluppato senza dubbio qualità di governo. Non è uno sprovveduto.