La Donna Camel

L'occhio del coniglio 11. I piatti lavati, asciugati e messi via


Un altro capitolo marino: L'occhio del coniglio è un romanzetto che sto pubblicando qui a puntate, fammi sapere se ti piace.   I piatti lavati, asciugati e messi via. I costumi risciacquati e stesi, i bambini in cuccetta. Anita prese dal frigo la bottiglia del Porto e un bicchiere e si sedette in pozzetto. I lampioni lungo la banchina disturbavano un po’ con quelle luci arancione da stadio, ma guardando dall’altra parte, verso prua, si poteva godere ugualmente una discreta stellata. La luna era bassa sull’orizzonte, almeno quella non interferiva.Carlo si fermò sulla scaletta come indeciso, poi uscì anche lui. Si era messo una maglietta e i pantaloni.“Dove vai?”“Da nessuna parte.”“Allora vieni qui. Siediti un po’ con me.”Gli fece posto, tirando giù i piedi dalla panca. Lui si sedette accanto.“Ne vuoi un po’?”“Cos’è?”Prese il bicchiere che lei gli porgeva, diede un piccolo sorso e glielo rimise in mano.“Si sta bene, non c’è in giro nessuno,” disse lei. Gli andò più vicino, mise le gambe sopra le sue e la testa sulla spalla. Lui allargò il braccio e lo appoggiò sullo schienale. Lei gli si rannicchiò contro. Gli porse il bicchiere. Lui bagnò appena la bocca.Rimasero fermi in silenzio per un po’, passandosi il bicchiere, guardando le barche davanti a loro che dondolavano piano. Il fanale verde all’entrata del porto si intravedeva tra un albero e l’altro, per il resto dalla parte del mare era tutto buio, non si vedeva nemmeno il frangiflutti. Il vento da terra, anche se leggero, bastava a tenere asciutta l’aria e la barca. Non c’era la guazza.Lei gli mise una mano dietro la testa, gli solleticò la nuca.“Mi piaci coi capelli lunghi.”Lui scosse la testa.“Li devo tagliare,” si sfregò il mento, “anche la barba.”“Ma no.”“Mi da fastidio.”“Però ti sta bene.”“Ma se è tutta grigia.”“Fa niente, sei figo lo stesso.”Le tolse la mano. Raddrizzò la schiena.“Cosa c’è?”“Niente.”“Dove vai?”Si era alzato in piedi e si era voltato verso poppa.“Dove vai?”“Al cesso, dove vuoi che vada.”“Col telefonino?”Lui saltò a terra e si allontanò nel buio.“Qui li chiudono i cessi di notte, non ti ricordi?” aggiunse a bassa voce, ma già non si vedeva più.Raccolse le gambe vicino al petto circondandole con le braccia e appoggiò la fronte sulle ginocchia. Cominciò a dondolarsi avanti e indietro. Il cesso è chiuso. È l’una di notte. Cosa se ne fa uno del telefonino all’una di notte. Merda. Ma forse non l’aveva preso di proposito. Forse era nella tasca dei pantaloni da stamattina. Eggià. È distratto. Forse non si ricorda nemmeno che chiudono tutti i servizi del porto alle dieci di sera. Dondolava picchiando la fronte sulle ginocchia.Si sentì un tonfo leggero. Uno dei gatti era saltato a bordo. Le venne vicino, si strofinò sui piedi nudi.Lei aprì le braccia e distese le gambe, “Vieni qui Suopopo” Il gatto le camminò sopra e le toccò il mento con la testa. Lei gli accarezzò la schiena. Faceva le fusa.(continua)
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