La Donna Camel

L'occhio del coniglio 15. Tornando dal ristorante


Tornando dal ristorante si fermarono alla spiaggia vicino al porto. Il mare era così calmo che sembrava un vetro nero. L’aria profumava di gelsomino, erano i pergolati delle ville, i graticci sui muretti bassi che circondavano i giardini senza togliere la vista. Di giorno i bagnanti potevano guardare dentro, si vede che non c’era niente da nascondere lì.Camminavano senza fretta, le guance calde per la giornata al sole, rilassati e satolli. Si erano concessi anche una bottiglia di Vermentinu gelato che  aveva reso Carlo più loquace e gli occhi di Anita più lucenti. Stava raccontando di un tizio che salendo a bordo di un motoscafo aveva fatto la spaccata prima di cadere in acqua e Anita rideva rovesciando indietro la testa.Giulio si levò i sandali, li mise in mano a sua madre e si buttò avanti. C’era un cane enorme che correva sul bagnasciuga, un pastore maremmano che sembrava un orso. Un uomo gli tirava qualcosa e lui si buttava in acqua, poi usciva scrollando quel pelo lungo e ricciuto, faceva una finta come per riportare e correva via di nuovo. Giulio si avvicinò e quando fu a meno di due metri il cane gli abbaiò contro. Si fronteggiarono per un tempo lunghissimo, si erano fermati entrambi e chissà cosa si stavano dicendo senza parlare.“Mamma…” Viola prese la mano di Anita e rallentò fino a fermarsi. Guardava animale e fratello che si sfidavano, non si capiva se era un gioco o una rissa o tutte e due.Carlo aveva raddrizzato le spalle, fece due passi lunghi verso il bambino. Il padrone del cane fischiava e lo chiamava per nome, Tulè o Tulet, non si capiva. Non c’era altra gente sulla spiaggia, o comunque non lì vicino. La sabbia era fresca, le piccole buche risaltavano nette per le ombre dei lampioni tra le case. Il cane, l’uomo che si era fermato e ora guardava verso di loro, due barche a remi in secca poco lontano, Giulio ritto a gambe larghe, i piedi nudi affondati nella sabbia e le braccia lungo i fianchi, tutto si stagliava contro il grigio della riva e il nero del mare con una precisione sorprendente, per essere notte, come quei libri per bambini in cui i personaggi del disegno sono ritagliati nel cartone delle pagine e quando si apre saltano su, sagome piatte ma concrete.Il cane ringhiò piano. Alzò il sedere e fece un piccolo movimento chinando la testa tra le zampe davanti. Poi saltò. Giulio fu rovesciato indietro e il cane gli fu sopra in un attimo.Il padrone si mise a correre chiamandolo, urlava il suo nome e altre cose in francese, Tulè, connard, batard, fil de chienne e chi lo sa, il fiatone se ne portava via la metà. Carlo raccolse dalla sabbia un pezzo di legno e urlando a sua volta si buttò sopra il cane. Anita e Viola si erano bloccate mano nella mano e guardavano la scena senza parlare.Carlo mise il bastone tra i denti del cane e lo spinse via con forza. Quello lo addentò e cercava di strapparglielo di mano, ringhiava e tirava voltando la testa da una parte e dall’altra. Carlo gli mollò il bastone e prese su il bambino, che lo abbracciò stretto e gli nascose la faccia contro il collo. Il padrone acchiappò la bestia per il collare e gli diede due o tre botte sul sedere con la ciabatta, intanto gli parlava nell’orecchio. Il cane mordeva il bastone, lo metteva giù per abbaiare un po’, tenendolo tra le zampe davanti e poi lo riprendeva.“Ti ha fatto male?” Anita si era avvicinata con Viola sempre per mano.Giulio si teneva stretto al collo di suo padre.“Mi ha leccato la faccia” disse dopo un po’ asciugandosi le lacrime con la manica della maglietta. Fece un sorrisetto e si appoggiò alla spalla di papà.“Mi hai fatto spaventare,” disse Viola, “credevo che ti avrebbe mangiato in un boccone, era grosso come un lupo.”“Era grosso come una mucca” disse Anita ridendo.“E avrebbe fatto solo bene” disse Carlo scuotendo la testa, “quante volte gli abbiamo detto di non toccare i cani sconosciuti.”Il tizio del cane si era avvicinato, voleva chiedere scusa. Aveva messo guinzaglio e museruola a Tulè, che ora era calmo e guardava in giro con gli occhi umidi.“Non importa” disse Anita, “Rien, rien.”“Sono mortifiato”  si vedeva che gli dispiaceva,“Rien” disse ancora Anita scuotendo una mano. Si allontanarono, stringendosi gli uni agli altri.Giulio si fece portare in braccio da suo padre fino quasi alla barca.“Lavati le mani e la faccia” disse Viola prima di salire a bordo, “se no i gatti ti soffiano, con questa puzza di cane.”“Me le lavo anch’io” disse Anita, “gli ho fatto una carezza”.“Sì, ma dopo che gli aveva messo la museruola” puntualizzò Viola salendo sulla passerella.(continua)
Questo è L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi piace offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passano di qui.Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.) 
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