La Donna Camel

RANECLODE


Questo racconto è dell'amica Effe e partecipa all'EDS sul gusto. L'eds finice domani sera, poi come al solito tiro le fila con i miei commentini...  RANECLODELa mano nuda di sua madre mentre impastava gli gnocchi, le sembrò di un’altra. L’anello,  dei fili d’edera con incastonata una giada era appoggiato sul lavandino della cucina vicino alla saponetta. Nina lo infilò. Le stava largo, ma come le piaceva.“Attenta Nina, non perderlo. E’ l’anello che mi ha regalato papà quando mi ha chiesto di sposarlo. Avvinto come l’edera ha detto e me l’ha infilato al dito” disse la mamma    e con le  mani infarinate mentre faceva rotolare un gnocco sulla forchetta chiese:“Sai cosa vuole dire avvinto?”Nina alzò la mano gridando: “Lo so, io lo so.”Ormai mangiava come un uccellino. Aveva apparecchiato con zelo, messo la tovaglietta di raffia color ciliegia, il tovagliolo verde acqua, il bicchiere del servizio buono e nel piatto tre cracker, un pezzetto di parmigiano e una prugna. Raneclode, le chiamava suo padre che era torinese. Un giorno le aveva spiegato che le prugne gialloverdi come quella che aveva nel piatto erano la qualità Reine Claude. Mentre l’addentava  il sapore le sembrò  dolce  come quello dell’infanzia. Le risuonava ancora in testa, raneclode mentre si sdraiava  per il pisolino pomeridiano. Voleva leggere e sistemò due cuscini per la testa,  tolse le ciabatte e si distese sul letto senza spogliarsi. Era una silenziosa domenica d’estate e lo stridore del tram che passava nella piazza della stazione le mise allegria.  Le era sempre piaciuto quel rumore e da bambina, quando dormiva nella stanzetta a piano terra e il primo sferragliare del mattino la svegliava era contenta, poteva dormire ancora un po’ prima di alzarsi. Aprì il libro, ma aveva dimenticato gli occhiali e così lasciò vagare lo sguardo sulla libreria che col passare degli anni era diventata un deposito di ricordi con molte foto incorniciate,  ninnoli e in cima tre file di scatole grigie con le etichette.  Le sarebbe piaciuto curiosarci dentro, ma erano troppo in alto,così scese con lo sguardo  alla foto in bianco e nero,dove lei col sorriso dei vent’anni,  abbracciava la  cagnetta Flu.“Sessantanni fa” e guardò il ritratto ad olio appeso sopra il calorifero. Un ragazzo, con una camicia rossa a fiori bianchi, reggeva una teiera. L’aveva dipinto sua sorella da giovane. Era rimasto appeso sempre lì. E ricordò sua sorella sorridente mentre abbracciava il ragazzo del dipinto. Non aveva  più sorriso a quel modo. Non era stata felice.E lei era stata felice?  Ma si. Un matrimonio troppo breve per essere rimpianto. Poi il ritorno a casa, i genitori da curare. L’unico rammarico non aver avuto figli. Si alzo dal letto e si diresse verso lo sgabuzzino. Sollevò la scala e la appoggiò alla libreria. “Che grande invenzione l’alluminio” disse alla gatta che si strusciava ai suoi piedi. Tolse le ciabatte e salì fino al penultimo gradino. Allungò le braccia allo scatolone dei quaderni. Era troppo pesante. Spostò il coperchio e infilò la mano afferrandone  alcuni. Scese. Andò in cucina a prendere   gli occhiali e  tornata nel letto cominciò a sfogliarli. C’era scritto quaderno dei pensierini e nella riga sotto seconda A, con la calligrafia infantile di sua sorella.“La mia mamma ha un anello verde, il mio papà fa il risotto con i funghi, mia sorella si chiama Nina, ma il mio papà la chiama Ninin”.Finalmente si sdraiò e chiuse gli occhi per mettere a riposo i pensieri.Sentì la voce di suo padre dire che le raneclode  senza buccia erano più dolci e la pregava di aprirgli la porta.Aveva ancora gli occhiali sul naso e il dito tra le pagine del quaderno quando aprì gli occhi. Che peccato, aveva sognato.Il campanello di casa suonò. C’era proprio qualcuno alla porta.Mentre strisciava silenziosa  sul parquet, lo specchio dell’anticamera rimandò la figura di una donnina striminzita un poco spettinata in una vestaglietta a fiori.“Chi è?” chiese Nina  passandosi le dita tra i capelli. “Siamo del Comune, stiamo svolgendo un’indagine demoscopica” rispose la voce di una giovane donna mentre Nina infilava le chiavi nella serratura. Le toglieva sempre  per timore che in caso di malore non potessero entrare a soccorrerla.Aprì.  La donna non era sola, al suo fianco  c’era un uomo con i baffi. Non fece in tempo ad avere paura. Lo spintone arrivò immediato e   vigoroso. Nina finì  con la faccia a terra.Quando aprì gli occhi  vide  i colori del tappeto, le ciabatte vicino al porta- ombrelli e il sapore non era quello dolce del sogno, ma quello salato del sangue  che le colava dal naso. Mentre tentava di rialzarsi una mano di donna con l’anello di sua madre si avvicinò al  suo viso. La giada arrivò dura contro la tempia e i colori bruni del tappeto si fecero neri.
Questo racconto partecipa all'eds Ipogeusia insieme a:- Dario con Sarde a baccaficu - Hombre con Caffè alla Norma - Cielo con Lettera alla donna che ami sulla felicità e il ragù - Singlemama con La prima volta che ho mangiato i piselli davvero - Lillina con Lu vinu- Melusina con risi e bisi- Dario fa il bis con Bastardi affucati- Pendolante con Antichi sapori- io me medesima con Mia nonna era Google