La Donna Camel

Che ti avevo detto?


 
L’emporio aveva il soffitto curvo come una grotta o una galleria. Era uno stanzone lungo e stretto, tappezzato di scaffali pieni di vasetti, barattoli, bottiglie, canne da pesca, maschere, pinne, ciabatte da spiaggia, palloni, coltelli di ogni genere e forma, giocattoli, giornali, ceste di frutta, magliette e bandierine con il negretto bendato. Sul davanti, vicino all’uscita c’era il bancone con i vassoi del patè, i formaggi, le vasche con miscugli misteriosi che galleggiavano nel liquido iridescente. In fondo c’erano scatoloni e barili, si faticava a passare. In alto un cielo di salumi. Quattro o cinque sbarre nere erano piantate nei muri da parte a parte e sulle sbarre erano appesi i prosciutti, le coppe, i salami, le salsicce, i lonzi  e altri insaccati dalle forme strane  che Anita non avrebbe saputo nominareRiempì il cestino di vasetti di patè a base di tutti i tipi di uccelli e selvaggina conosciuti e sconosciuti, si fece tagliare una generosa fetta di terrine - come la chiamano loro, un patè a grana fine come quello che si mangia a Natale, ordinò una mezza forma di pecorino e si fece staccare dal padrone in persona un bel lonzo maturo. Prese anche quattro baguette, due sacchetti di biglie  di vetro e un coltello da marinaio. Si fece mettere tutto dentro una grande borsa di paglia con un girasole ricamato su un fianco, l’avrebbe usata per gli asciugamani quando andavano in spiaggia.La signora alla cassa non l’aveva riconosciuta, era normale con tutto il passaggio che c’era d’estate a Macinaggio. Lei invece se la ricordava da quando questo era l’unico negozio del paese. Era un po’ ingrassata, sotto al mento aveva una collinetta che prima non c’era, del resto chi rimane sempre uguale? L’emporio, quello sembrava lo stesso da vent’anni. Tornava sempre lì anche se adesso c’era il supermercato, più pulito e ordinato, magari anche più economico.