La Donna Camel

Capitolo sesto: Tamanrasset


(Le puntate precedenti nel box in alto a sinistra) Ho iniziato a tremare e a battere i denti. Non avevamo il coraggio di scendere dalla macchina. Dietro di noi i due tedeschi che ci seguivano a ruota e di B neanche l'ombra. Ml si avvicinò e ci bussò nel finestrino. Per ora non si vedeva in giro nessun altro e ci decidemmo a scendere anche noi, con grande circospezione. Il suono cupo dei tamburi sembrava avvicinarsi sinistro. Stavo per avere una crisi di nervi quando vidi H ritornare a piedi dalla strada interrotta e sembrava sano e salvo. Di predoni per ora non ce n'erano così gli andammo incontro ansiosi. Be', era successo che il giorno prima aveva piovuto e la strada, due centimetri di asfalto appoggiati direttamente sopra la sabbia, era crollata per un bel tratto, circa cento metri, formando un improvviso strapiombo profondo un paio di metri. Per questo qualcuno aveva improvvisato quella barricata: per evitare che le macchine ci finissero dentro. Cinque minuti dopo arrivarono anche gli altri e incominciò a piovere. Ragazzi, nessuno ci voleva credere: eravamo nel deserto del Sahara in agosto e pioveva. Ci spostammo dal centro della strada e organizzammo un campo per la notte. Poco più in là c'era un accampamento di Tuareg, gli uomini blu, e così scoprimmo anche l'origine di quei colpi di tamburo che tanto avevano fatto per terrorizzarmi. Faceva quasi fresco, eravamo già sull'altopiano e questa sosta imprevista ci rese tutti euforici. La mattina dopo ci spostammo sulla pista che fino all'anno prima era l'unica via di comunicazione per Tamanrasset e con estrema cautela attraversammo la valletta che si era creata con la piena. Alle dieci di mattina del 2 agosto incontrammo il cartello: eravamo arrivati. Il paese ricordava quei vecchi film della legione straniera: poche case, strade sabbiose, c'era anche un supermercato, ma faceva una tristezza, con quei i banconi vuoti e la polvere che ricopriva tutto, ci mancavano solo i soldati in divisa caki con il berretto circondato dal velo tipo Laurence d'Arabia. C'era una specie di villaggio turistico con bungalow fatti di cannette, ne affittammo due e ci trasportammo tutte le nostre masserizie. Ci saremmo fermati qualche giorno, c'erano parecchie escursioni da fare nei dintorni e era meglio alleggerire le macchine da tutto il peso non strettamente indispensabile. Ogni giorno venivano da noi frotte di ragazzotti chiedendo se avessimo qualcosa da vendere. In quel posto dimenticato da Dio avevano fame di qualsiasi cosa che ricordasse lontanamente la civiltà: jeans, o abiti, occhiali, qualunque cosa. C'era chi si era pagato il viaggio con quella mercanzia. Noi avevamo portato lo stretto indispensabile quindi di affari non ne abbiamo fatti molti: tuttalpiù scambi con rose del deserto o fossili. Facevamo a gara a chi si accaparrava i pezzi migliori: una volta avevamo dato appuntamento a dei ragazzini che ci dovevano portare dei fossili e appena li abbiamo visti arrivare gli siamo corsi incontro con tale foga, per essere i primi a scegliere, che questi si sono spaventati e sono scappati. Questa era l'innocente competizione che aleggiava costantemente tra di noi, oggi mi fa sorridere al pensiero, ma allora la prendevamo seriamente, come ogni bambino deve giustamente fare con un gioco. B riusciva sempre a fare amicizia e trovava qualcuno che ci guidava dove c'erano le rose del deserto o i fossili che cercavamo con grande energia, perché era una vera e propria gara. Anche se al ritorno ne ho regalati molti, ho ancora qualche decina di chili di quei reperti a testimoniare il mio impegno... Ma la gita più ostica, circa 60 km di fuoristrada, era quella per l'eremo di Padre Foucolt, nel cuore del cuore del deserto: sul massiccio dell'Asekrem. (continua)