La Donna Camel

I piloni sul ticino


A Sesto Calende, dove il lago Maggiore diventa Ticino o viceversa, c’è un ponte che collega la riva lombarda con quella piemontese. Accanto a questo ponte nuovo un tempo doveva essercene uno vecchio, che però a un certo punto non serviva più, forse non era adeguato, non era a norma, non lo so perché a un certo punto han deciso di costruire quello nuovo: di fatto due ponti vicini non servono, è evidente, uno va demolito. E così avran fatto, avran demolito il vecchio ponte, avran portato via pezzo a pezzo le strutture metalliche, le travi, le strisce di asfalto. Tutto tranne i piloni. Non so perché han lasciato lì i piloni, che erano dei parallelepipedi di cemento grandi più o meno tre metri per quattro e alti sull’acqua un paio di metri. C’erano degli scalini di tondino di ferro su una delle pareti, non so se li hanno messi dopo o sono sempre stati lì, non riesco a immaginare a che scopo costruire dei gradini sui piloni di un ponte, ma tant’è. I pescatori li usavano per salire sui piloni, che erano quattro o cinque, non mi ricordo esattamente. Mi ricordo solo che mio padre noleggiava una barca a Sesto Calende, ci montava un suo motore fuoribordo che non saprei dire come mai aveva e ci salivamo tutti, io lui la mamma Barney e Betty e i miei fratelli e Bum Bum e forse anche Pebbies, la figlia dei Rubble. Bum Bum era il figlio della Dina, ma era adottato, e aveva la stessa età di mio fratello. Con la barca stracarica di bambini, mogli, canne e cestini da picnic andavamo a cercare un pilone libero, che non si poteva salire su uno già occupato da altri pescatori, papà ormeggiava la barca legandola al tondino di ferro della scaletta e salivamo su tutti. Ma poi per qualche motivo non si stava mai lì tutto il tempo, non tutti. A qualcuno scappava la cacca e bisognava traghettarlo a riva e non c’era la carta igienica così lo si doveva pulire con una foglia: credo fosse Bum Bum, che non stava mai fermo e non si vergognava di niente. Io mi ricordo solo di essere sul pilone e mio padre e Barney che pescavano e dicevano di stare attenta e non sporgersi che era alto, mi ricordo del cemento ruvido con i sassi incastrati dentro e dei pezzi di ferro che spuntavano su ma erano smussati, non pungevano, avevano anche delle striature color ruggine e certe conche quadrate con piccole pozzanghere d’acqua, forse aveva piovuto. E della noia che lì sopra non c’era proprio niente da fare ma pescavano solo loro, pescavano le alborelle con tanti ami e le canne fisse, ne avevano tre o quattro a testa e le incastravano nelle fessure del cemento e a rotazione ne sdraiavano una per mettere le esche sugli ami e bisognava stare ancora più attenti non inciampare non calpestare il filo invisibile. E io ricordo solo quella noia che è come una specie di tristezza ma senza motivo, e l’acqua blu grigia in lontananza e gli alberi fitti sulla riva e la pozzanghera con l’acqua calda nella quale potevo pucciare le dita. E quando sul ponte nuovo che era molto vicino ma più in alto passava il treno faceva un rumore fortissimo, provavo a contare i vagoni ma era solo un momento, poi tornava il silenzio, la noia, il sole sulla testa e basta.