La Donna Camel

Riflessi


Questo racconto è stato scritto moltissimi anni fa. E' anonimo perché ai tempi era stato pubblicato così e il nome dell'autore non era mai stato svelato. Io lo so chi è l'autore, l'ho sempre saputo e se mi darà il permesso lo dirò, altrimenti resterà ancora anonimo.Lo metto qui perché è così che mi sento oggi. Lo metto perché so che non se ne avrà a male.Non un solo specchio: due, posti di fronte. Specchio davanti a specchio, e quindi non uno specchio, non due: tre, quattro, infiniti specchi, sempre più piccoli ma non per questo meno visibili, tali da rendere impossibile decidere quale sia il primo specchio, il secondo, gli altri. Specchi di cristallo liquido e metallo trasparente, incastrati, paralleli alla non realtà intorno a loro. Specchi dentro specchi, e tra gli specchi uno spazio inconcepibilmente vuoto, una mancanza, un placido orrore di niente. Dietro agli specchi il vuoto, tra gli specchi il vuoto, e su tutto, placido, lo scorrere implacabile del tempo, come un filo d'ossidiana lucente, inafferrabile: come una cosa data una volta per tutte - per sempre, forse - intera e indivisibile, chiusa su se stessa o interminabilmente aperta agli inimmaginabili estremi, a disegnare il preciso profilo sorridente dell'eternità. Riflessi di specchi dentro specchi, al ritmo inaudito di un tempo immobile, avvolto intorno a uno spazio vuoto, e in fondo, quasi disegnato sul sipario del nulla, il volo di una freccia di luce supera colline di silenzio assoluto. Una freccia scagliata in direzione arbitraria ma non per questo meno precisa dalla mano di un Dio distratto, forse; oppure da un gioco di dadi, undici dadi con un numero infinito di facce, e su ogni faccia un numero infinito di possibili soluzioni. La luce colpisce uno specchio, forse anche l'altro, contemporaneamente: di certo, seguendo il filo d'ossidiana del tempo, li colpisce tutti, riflesso inseguendo riflesso, e il gioco vorrebbe non finire mai, dichiararsi interminabile perché statico e insieme mutevole. Gli specchi, il vuoto, il tempo, i riflessi: e dai riflessi nasce quasi una musica, un gorgoglio d'acqua primigenia: un'unica sillaba, inarrestabile, pervade di sé la non realtà, e il nulla comincia a vibrare di piacere, scioglie i suoi non esistenti nodi, si arrotola in dimensioni sconosciute. All'improvviso c'è un prima e c'è un poi, c'è una tacca da incidere sul filo d'ossidiana del tempo, c'è una misura e quindi ce ne sono infinite (alcune tra loro incommensurabili), e il vuoto tra gli specchi si riempie di luce, di suono, di un soffio d'aria purissima, di una tremula speranza, e quel vuoto sei tu, e sei anche quel suono, quel soffio, quei riflessi.