La Donna Camel

L'ascensore


C'erano Luigione, la Betta, la Tere, Ferro, Aldo, Geppo e io che non le sapevo le cose, ero sempre l'ultima a saperle. Era tardo pomeriggio, le sei e mezza, forse le sette: quasi ora di tornare a casa, che alla sera mica si poteva stare fuori. Era estate, era ancora molto chiaro e faceva caldo. Dall'oratorio stavamo andando ai giardinetti nuovi, quelli che avevano ancora le panchine. Per meglio dire, la panchina. Le avevano appena messe, all'inizio erano attaccate a terra, avvitate, non so come. Ma subito due giorni dopo eranto state staccate, spostate. E adesso ne era rimasta una sola, intera. Il bello è che si poteva mettere all'ombra. Luigione era grandissimo, a parte che aveva due anni più di noi, cioè sedici compiuti quasi diciassette, era alto e buono che sembrava il gigante della Ferrero, ma questo voi non lo potete sapere, era in bianco e nero. La Betta invece era piccola e chioccia, coi capelli corti e le unghie dei piedi pitturate, l'ho visto una volta che le avevano rubato una scarpa per dispetto e mi sembrava impossibile, mi sembrava mia madre. La Tere era nuova, veniva dal sud e parlava che non si capiva, appena arrivata Ferro le aveva chiesto: ciao, sei nuova? come ti chiami? e lei: te-re-sa, ma con quelle e aperte e quella esse così esse che lui era rimasto male, le aveva risposto: Bè, sarà mica un segreto. A me m'interessa niente, se non me lo vuoi dire pace. Ferro era magro e così alto che sembrava quasi gobbo, aveva i capelli rossi a cespuglio e le lentiggini, una pelle chiara chiara che diventava subito rossa a partire dalle orecchie, bastava un niente: bastava guardarlo. Una volta a una festa a casa sua l'avevo anche invitato a ballare e lui non voleva, si ritraeva. Ma poi l'avevo tenuto, era così magro che bastavo io anche se non ero tanto forte e gli era piaciuto, altrochè se gli era piaciuto, non mi mollava più. E poi Aldo e Geppo che andavano sempre in coppia, non ne avevo mai visto uno alla volta, non so come mai. Dicevano sempre cose schifose e le altre s'incazzavano. Io no, non subito, solo dopo che me le avevano spiegate. E insomma quella volta lì per esempio dicevano che un tizio aveva messo l'accendino vicino al culo a un altro mentre faceva un fottoz e aveva preso fuoco, Luigione aveva detto per forza, è metano, il fottoz non è altro che metano. E mentre loro facevano le congetture di quel tizio che gli bruciavano i pantaloni se erano di nylon, e della madre che aveva chiamato i pompieri che aveva preso fuoco anche la tovaglia o le tende e nessuno ci credeva, nel frattempo eravamo arrivati alla panchina. E i ragazzi erano stati più svelti e si erano seduti tutti. La Betta si era messa in braccio a Luigione che filavano e lo sapevamo tutti, la Tere voleva stare in piedi e io non sapevo, ero anche stanca ma per terra non mi andava. Aldo mi aveva detto: dai, siediti qui in braccio a me e Geppo aveva sghignazzato: le fai l'ascensore? Io mi ero seduta e avevo chiesto: cos'è l'ascensore? Poi lui mi ha messo le mani intorno ai fianchi, si è appoggiato alla mia schiena e ho capito.Il gioco si chiama "dammi una parola e ti scriverò un racconto", l'ha lanciato Barbara Garlaschelli sul suo blog e tra le regole bisognava postare un racconto con dentro la parola ascensore tra le 22 e le 23 del 30 giugno. Per una mia sfida ho cominciato a scriverlo alle 22:00 e ho finito alle 22:50, poi ho riletto, ho messo le maiuscole e ho postato: 22:56! Per onestà: il corsivo l'ho aggiuto dopo. Gli altri racconti sul tema 'ascensore' qui: Da un'idea di: Bargara GarlaschelliEnrico Gregori Con la parola scelta da: Cristina Bove Partecipano: MorenaAnnalisaLaura e LoryGeaMarioSimoneMarissaStefanoDidòMaxGaetano