La Donna Camel

La funzione del frullatore


Paolo Cognetti ha scritto tre post bellissimi sulla narrativa del reale, ovvero sul "ritorno della realtà nella narrativa contemporanea". I tre post sono interessanti per i problemi che mettono in campo anche se, per una volta, non concordo pienamente. I primi due vengono spesi (a parte un inciso sulla definizione di Wu Ming 1 della New Italian Epic che varrebbe da sola un post, vediamo dopo), per cercare di definire cosa è il realismo in letteratura. Posto che il non realismo non è la narrativa di genere, in quanto comunque metafora del reale, e poste e scartate altre sei ipotesi, Cognetti butta sul tavolo il suo asso di bastoni, un fenomeno che ha segnato in un certo senso la narrativa italiana contemporanea, questo fenomeno si chiama Gomorra. Dice: il ritorno del realismo, in questa nostra epoca, sembra avere strettamente a che fare con l'ibridazione tra fiction e non-fiction. Qual è il confine tra i due generi, se ce n'è ancora uno? Qual è il senso della finzione quando la realtà sembra già così urgente da raccontare? (...) Ma a parte Gomorra, e a parte la nascita e diffusione dei blog, c’è stata una novità dirompente nel campo della narrazione, in questi ultimi dieci anni, e noi che raccontiamo storie dobbiamo farci i conti anche se ci fa schifo: il reality show. Letteralmente, lo spettacolo della realtà. Oh. ecco. Senza saperlo è quello che sto tentando di dire da giorni ai miei piccoli lettori. Cosa è fiction e cosa è reality? Se te lo devo spiegare io vuol dire che non sono stata abbastanza brava a farmi capire. Ma forse non è del tutto colpa mia, forse in parte la colpa è del mezzo: Cognetti dice: Nel blog l’autore si trasforma in personaggio, e si confessa usando strumenti narrativi. Ma però se io adesso scrivessi che stamattina sono uscita sul balcone di casa mia perché ero in ritardo per andare al lavoro e per fare prima sono saltata giù in strada dal quinto piano, nessuno si porrebbe il dubbio se è fiction o reality perché lo sanno tutti che abito al primo piano! Quindi non è nemmeno lo strumento completamente responsabile. A seconda di quello che racconto, chi mi conosce e anche chi non mi conosce nella vita reale può facilmente decidere se è realtà o fantasia, ma meglio, può decidere se è pertinente a quello che volevo dire il fatto che sia realtà o finzione. Del resto mi basta averne visto qualche piccolo pezzo agli esordi per rendermi convinta che non c'è niente di più fasullo dei reality show, che sono la cosa che più assomiglia al porno, con tutto il rispetto per il porno, per il fatto che in entrambi i casi non c'è una scelta a dotare di senso lo spettacolo, viene mostrato tutto tutto, anche i tempi morti, le scene inutili cioè vuote di senso. E fin qui ci siamo, siamo insieme. Ma poi Paolino scrive "Trovo che l’ironia abbia infestato per troppo tempo la nostra produzione letteraria (anche se, naturalmente, difenderei con il sangue il diritto di ridere)" e qui, scusa, mi devo prendere una distanza. Non è mica per il diritto di ridere, anzi. Delle volte si tratta di piangere, pensa te. Ma. La circostanza che ci possa essere chi non ha fatto buon uso dell'ironia non mi pare una buona ragione per eliminarla del tutto. Come voler eliminare certe parole: c'è un mio amico che non può sentire la parola intrigante, va bene, meno male che non deve mai raccontare i fatti successi alla corte dei borgia, lui. Insomma, quello che voglio dire è che l'ironia, proprio perché elimina il superfluo, creando corto circuiti di senso, rende la narrativa diversa dal reale nudo e crudo fornendole una maggiore profondità di senso. Che, scusate se ribatto su qualche cosa che avevo già scritto qualche post fa, è quello di cui abbisognamo oggi: una scorta di senso. (Cosa c'entra il frullatore? c'entra, c'entra.)