La Donna Camel

Domenica sera


Nel post numero 400 ci voglio mettere un pezzetto di una cosa che sto scrivendo: meglio cambiare argomento, và.  In via San Gregorio, a un passo dalla stazione centrale di Milano, c'è l'Osteria del treno con sala da ballo: colonnine tornite in ghisa reggono una balconata di ferro battuto decorato a motivi liberty e, sotto, una trentina di tavoli rotondi disposti a ferro di cavallo intorno alla pista, su ogni tavolo una doppia tovaglia lunga fino a terra, una candela, un fiore. In fondo il palco rialzato con l'orchestra e un grande pianoforte a coda. Ogni domenica sera alle ventuno e trenta Gianluigi Radice scosta il tendone di velluto rosso, paga il biglietto, dieci euro consumazione inclusa, e occupa il terzo tavolino a sinistra. Poco più tardi andrà verso lo spogliatoio a mettersi le scarpe di vernice che ha portato nella borsa della piscina e rientrerà nella sala con le mani in tasca. A quel punto la serata avrà inizio. Il bello del tango è il ballo. Non importa l'avvenenza, l'età o la parlantina. Gianluigi è portato di natura e ha cominciato nel dopoguerra, poi con anni e anni di esperienza si è conquistato l'ammirazione di tutti. Potrebbe fare il maestro, se lo volesse. Ma non vuole. Non gli importa. Ogni domenica sera va al Treno perché ci è andato sempre e sempre ci andrà. Ci andava con sua moglie fino all’ultimo, una ballerina eccezionale, la sua Enza. Gli è morta una sera all’improvviso, in silenzio come era il suo solito, senza dare disturbo. La domenica pomeriggio la va a trovare a Bruzzano con un mazzo di fiori e un lumino di cera. Non va mai a ballare in nessun altro posto e non riceve nessuno a casa sua, non va in visita. Una volta al mese arriva fino alla posta di via Stefini e ritira la pensione, al mercoledì ha il mercato sotto casa, compra mezzo pollo arrosto e le verdure per la settimana. Non si annoia a fare sempre le stesse cose. Una volta l’edicolante di viale Lunigiana gliel’aveva chiesto, lo vede arrivare sempre alla stessa ora a prendere il corriere. A parte che ci è abituato, gli aveva risposto, visto che faceva il tranviere e non sgarrava mai un turno, la mattinata gli passa via a fare la polvere a casa, verso le undici esce e si prende un cappuccio decaffeinato al bar pasticceria, poi compra il giornale e il pane e già è ora di pranzo. Nel pomeriggio, dopo i piatti e il pisolino se lo legge tutto dall’ultima pagina alla prima, compresi i necrologi, d’inverno fa buio ancora prima che abbia finito. Non gli manca mai qualcosa da fare. Questo vale sempre tranne la domenica che è un giorno del tutto diverso. La domenica mattina fa il bagno e si cambia i vestiti, la canottiera di lana in inverno e di cotone in estate, le mutande, i calzini. Alle undici va a messa in Sant’Agostino e infatti il giornale lo compra al ritorno che è mezzogiorno passato. Nel pomeriggio c’è il cimitero e alla sera va a ballare. Questa sera al Treno c’è poca gente. Danno una partita in televisione e i tavolini sono mezzi vuoti. L’orchestra suona come niente fosse anche se nessuno balla. Aspettano un segnale, qualcuno che cominci. Gianluigi scorre gli occhi sulle persone sedute per scegliere la prima donna che guiderà con dolce decisione per i prossimi quattro balli. E’ un incontro di sguardi quello che cerca, inutile avvicinarsi al tavolo di compagnie di amici venuti qui per curiosità o per scherzo. Non è nemmeno il caso di invitare una signora che sta frugando nella borsa o guardando altrove. Meglio individuare una vera ballerina, che aspetta concentrata il breve inchino e saprà rispondere alla lieve pressione della sua mano sulla schiena. C’è una ragazza mai vista prima seduta a un tavolino della seconda fila. E’ molto giovane ma decisa. Gianluigi attraversa lo spazio che ora sembra immenso ma poi non è mai abbastanza e la guarda dritto negli occhi. Senza una parola lei si alza e gli porge la mano. Parte A media luz.