Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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Nei giorni scorsi ho letto due romanzi di autori inglesi. Si è trattato di pura fatalità in quanto entrambi mi hanno attraversato la strada in momenti e luoghi e condizioni diverse e io, che so cogliere l'attimo, li ho presi al volo.
Il primo dei due era Alta Fedeltà di Nick Hornby. Un libro di carta che ho trovato in casa, l'ho preso su anche se sapevo che non mi sarebbe piaciuto più di tanto ma ero in un momento di astinenza da lettura e volevo qualcosa di leggero, di estivo. Sapevo tutto ciò perché avevo già letto Nick Hornby e mi era sembrato un po' troppo pop per i miei gusti, tipo un Fabio Volo de noi altri, per dire: allora se proprio voglio rilassarmi preferisco la settimana enigmistica Poi non è che si debba leggere solo letteratura alta e vabbè, ma sentivo la mancanza del mio kindle, avere a disposizione solo la mia biblioteca cartacea, che pure non è piccola lo ammetto, mi faceva mancare la terra sotto i piedi. Immagina di essere su un'isola, non necessariamente deserta, ma con l'impossibilità di accedere all'universo mondo scaricabile: non ti sembra troppo poco, infinitamente poco, in cambio di tutto il resto?
A me sì.
L'altro romanzo è Il senso di una fine di Julian Barnes e l'ho letto sul mio nuovo kobo mini. Ta-dah! Ebbene sì, lo ammetto: dopo questa premessa lo devo confessare: l'ho comprato in saldo da Mondadori al cinquanta per cento di un prezzo che era già piccolo, anzi piccolissimo, così.
Come mi trovo? Benissimo! È più piccolo del Kindle ma ci vuol poco per abituarsi, anzi è ancora più comodo perché posso voltare pagina con la stessa mano con cui lo sto tenendo. Ci sta in tasca, è touch screen, ha il wifi e la sua caratteristica più interessante è che legge sia epub sia mobi sia la maggior parte degli altri formati. Fico, no? In più mi pare che lo schermo sia meno sensibile del kindle che avevo io, che delle volta cambiava pagina a casaccio o mi perdeva il segno: questo funziona bene e si attiva solo quando deve.
Ma torniamo a Barnes, Hornby e gli scrittori inglesi che sono così diversi da noi, in confronto mi sembrano meno diversi gli americani. In tutti e due i romanzi a un certo punto si parlava del fatto che in quei luoghi e a quel tempo per andare a un funerale bisognava essere invitati, e questa cosa mi ha colpito anche se si trattava di un angolo marginale della trama, del tutto irrilevante per lo svolgimento. Mi ha colpito perché da noi si va ai funerali per obbligo morale e difficilmente si viene invitati dalla famiglia, anzi mai: se ne perderebbe tutto il valore. Che strane abitudini che hanno gli inglesi, oltre a bere il tè in continuazione.
Il romanzo di Barnes è una bella elucubrata sul tempo e sui ricordi, concetti sui quali a mia volta mi sono fatta i miei bei ragionamenti: si può anche vivere una vita intera avendo equivocato o capito male qualcosa che ci è successo a vent'anni, e se poi lo vieni a scoprire a sessanta ormai è fatta, anche se la cosa ti può stupire, colpire o sconvolgere non ti cambierà più di tanto la vita. Ci ho trovato anche una conferma a una cosa che pensavo anch'io: a sessant'anni siamo gli stessi che eravamo a venti, il nocciolo costitutivo non cambia e nemmeno il modo in cui funzionano certo processi mentali.
Possiamo perdere i capelli, se uomini, o lasciarci crescere i baffi, se donne, ma l'invecchiamento riguarda più le cose visibili che la sostanza, insomma è più esterno che sostanziale. Questo dice Barnes.
In quanto a me: vado a farmi la ceretta. :-P
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