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Grande pino e terre rosse

Post n°524 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 

Ieri mi sono fatta un regalo. Ho preso su me stessa e mi sono portata a vedere la mostra di Cézanne  a Palazzo Reale.
Facciamo così, mi sono detta, scegliamoci un quadro, uno solo, e guardiamo quello e basta. L'avevo sentito la settimana scorsa nel programma di Fazio di guardare un quadro solo in un museo, di più non ha senso, aveva detto Daverio.
Ha ragione, avevo pensato.
Allora facciamo uno per uno, mi sono risposta, guardiamo due quadri non di più.
E così siamo andate.
La cassiera all'ingresso voleva farmi pagare due biglietti. Ma come quindici euro, ho detto, se costa nove senza sconto. Va bene articolarsi in un dialogo interno ma mica lo sapeva lei, non parlo ancora ad alta voce con me stessa.
È perché le avevo mostrato la tessera Arci e anche l'abbonamento del tram - non sapevo quale fosse quella buona per avere lo sconto. Poi ci ho provato ma no, il catalogo gratis non te lo danno.
E adesso come facciamo a decidere quale dobbiamo guardare, mi sono detta, delle volte sono un po' pignola.
Bè, un'occhiata la dobbiamo dare a tutti, è ovvio, mi sono risposta aggirando un branco di visitatori coagulato intorno alla sua guida, andremo avanti veloce e poi torniamo indietro piano: fast forward e rewind. Come al solito.
Io ne capisco nulla di arte figurativa e me stessa nemmeno. Non l'ho studiata a scuola, non me ne sono mai occupata e quest'assenza di cultura non mi ha mai fatto un baffo.
Ma allora perché?
Eh.
Cercavo qualcosa. Una maniera di descrivere la realtà. Qualcosa da vedere, da capire senza spiegazioni. Un'interpretazione, una mediazione. Un suggerimento? Mah.
Spirito di Cézanne aiutami tu.
A dirla tutta non lo sapevo bene nemmeno io cosa stavo cercando.
Ma ecco il quadro.
Anzi due. Vicini. Uguali e diversi.
L'albero. Gli alberi, vabbè. Un albero per quadro. Due quadri, due alberi.
Era lo stesso soggetto, lo stesso luogo, deve averlo colpito di brutto se ci è stato sopra tanto a lungo, cinque anni c'è scritto. È solo un pino marittimo grande e dietro lo sfondo arancione.
In quello a destra tutto è piuttosto definito, luminoso.
Ma quello a sinistra, oh sì, quello a sinistra è precisamente lui.
Il tronco e i rami centrali sono nitidi, precisi e il resto è come sfocato. Pennellate grosse di verde sui verdi. Evidenti, sfacciate. Il trucco è svelato, eppure ci credi.
Cado in ginocchio, rapita.
Anche perché c'è una comitiva con la guida, borbottano, non vedono niente se ci sono io davanti e io non mi voglio spostare. Sono arrivata, è lui, son sicura.
Voglio carpire il segreto per trasformarlo poi in parole. Scrivere sfocato il contorno, avvicinarsi come se non fosse importante e definire, precisare, tirare fuori il succo per renderlo vivo.
Sto cercando la pietra filosofale, lo so - no, non quella di Harry Potter, quella vera di Cagliostro, per trasformare in oro lucente il piombo opaco delle mie parole.
Non è la tecnica, fessacchiotta, mi dice la pignola, è l'occhio.
Apposta sto qui a guardare. Forse, se rapisco il segreto dell'occhio, poi pure io.
E la storia? Dov'è la storia?
La storia è quel bambino. Non l'ha disegnato ma io lo vedo. Si arrampica fra i rami, si siede su quella biforcazione, là dove l'ombra si fa viola. Si mette a cavalcioni e tira fuori dalla tasca il suo pezzo di pane.
Non prenderà più le botte, l'ha promesso a se stesso. Guarda i campi arancioni, si asciuga la fronte con la manica del giacchino sdrucito. I grilli gli riempiono l'aria e le orecchie. Una formica cammina sul legno rugoso, trasporta un ago di pino.
Il resto è lontano.

Paul Cézanne, Grand pin et terres rouges, 1890-1895.

Questo esercizio partecipa all'EDS descritto qui.

 
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