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Il federalismo fiscale, la svolta?


Stamattina, fresco di una notte finalmente riposante, ho voluto dedicare un paio d'ore all'approfondimento del tema "federalismo fiscale", che come tutti certo saprete è una delle riforme prioritarie dell'attuale coalizione di governo, ed in particolare della Lega Nord, che ha posto tale riforma come condizione essenziale per continuare a dare il proprio appoggio al Governo. Le modifiche alla Costituzione in tema di finanza regionale ed autonomie locali sono state apportate già nel 2001, quello che Giovedì scorso è stato approvato al Senato, e che ora passa alla Camera, è il disegno di legge che regola l'attuazione di quanto riscritto nella Costituzione.Non ho timore di riconoscere i miei limiti, poiché la questione, nella sua totalità, è davvero complessa e di non facile comprensione, per cui non posso far altro che condividere con voi alcune considerazoni, non prima di aver fatto un'importante precisazione: nonostante si parli di federalismo, la riforma in corso d'attuazione segue una percorso noto con il nome di "devoluzione". Si parla di federalismo infatti quando autonomie territoriali preesistenti decidono di unirsi (federarsi) per delegare alcune competenze ad un organo di governo centrale (Stato Federale) che può meglio espletare tali compiti nell'interesse dei confederati. E' il caso degli Stati Uniti, oppure, per non andare troppo lontano, dell'Unione Europea, ma non il nostro come avrete certamente intuito. Nel nostro caso degli Enti Territoriali (le Regioni) chiedono allo Stato Centrale di acquisire competenze in ordine alla ripartizione delle entrate provenienti dal prelievo fiscale, al fine di poterle meglio utilizzarle negli interessi della comunità. Probabilmente a qualcuno in alto non piace il termine devoluzione, che nelle menti di alcuni potrebbe essere impropriamente associato ad "involuzione" (il prefisso "de" ha valore privativo, non potrebbe essere quindi associato a "evoluzione") , e per un mero discorso di opportunità si è deciso di chiamarlo federalismo.La riforma prevede che le entrate delle Regioni non derivino più dallo Stato centrale, che ripartisce le entrate fiscali e le distribuisce (eccezion fatta per alcun imposte alle quali gli Enti Territoriali già partecipano, vedi addizioale Irpef), ma che ogni Regione possa disporre di una fetta molto più grande dei proventi derivanti da imposte e tasse pagate dai propri cittadini, che potranno essere così convogliate e meglio sfruttate in ambiti che diventano di stretta competenza delle regioni stesse, come scuola, sanità e sicurezza, il tutto in misura del reddito procapite che è strettamente collegato al gettito fiscale (più alto è il reddito, più tasse si pagano). Ed è qui che sorgono i miei dubbi. Regioni come la Lombardia, ed il nord in generale, hanno sempre avuto un ruolo determinante e trainante per l'economia nazionale, per mille motivazioni che non potrei prendere in considerazione in questo post, ma che vanno da fattori storici, culturali ed infrastutturali ad innegabili reponsabilità delle regioni meridionali. Pur tenendo conto delle cattedrali al veleno finanziate dallo Stato e lasciate a far bella mostra di se un pò in tutto il meridione. La disparità in termini di Pil pro capite è abbissale. Stando ai dati del 2005 dell'Eurostat (che se volete potete consultare qui, alla pagina 5) si va dai 15.494 Euro della Campania, pari al 66,9 % della media dei 27 Paesi della UE, ai 31.618 Euro della Lombardia (136,5% media UE), e non c'è una sola regione del sud che superi i 20.000 Euro di Pil pro capite. Certo, sono condivisibili le recriminazioni di chi paga più tasse rispetto al valore dei servizi ricevuti, ed è altrettanto condivisibile la volontà di riformare la ripartizione del gettito fiscale tra le Regioni, ma mi chiedo, si può soprassedere alla possibilità per ogni cittadino di avere uguali diritti quale che sia la regione di Residenza? Visto che il ddl (disegno di legge) prevede anche la possibilità di introdurre "tasse di scopo", si paventa il rischio per le Regioni del sud di un considerevole aumento della pressione fiscale per assicurare un adeguato livello di servizi? E' stato calcolato il rischio di aumentare ancor di più il divario tra nord e sud facendo dell'Italia, di fatto, una nazione solo sulla carta più di quanto non lo sia oggi? Le mie considerazioni sono ovviamente di parte, essendo io residente in una delle regioni più povere d'Italia, alle quali un qualsiasi cittadino dell'oltre Po potrebbe rispondere tranuillamente chi se ne frega. Ma in soccorso ai miei dubbi trovo, sui testi che ho consultato, il "fondo perequativo", previsto dal disegno di legge per i territori con minore capacità fiscale per abitante, per compensare parzialmente lo svantaggo che il nuovo sistema fiscale comporta.Se siete arrivati a leggere fin qua questo lunghissimo post, vi starete chiedendo e di che ti preoccupi allora?Beh, non è rassicurante leggere le dichiarazioni di Tremonti che, una volta tanto, abbandona il suo ottimismo (probabilmente risente ancora degli effetti del fallimento della finanza creativa statunitense, a lui tanto cara) riconoscendo che E' difficile stabilire le cifre dell'impatto economico che potrà avere il federalismo fiscale. Ad oggi, quindi,  non c'è una stima dei costi di questa nuova riforma.Andiamo bene...