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« MILLE RITORNI (Racconto ...SILENZIO (di Giorgio Bertazzoli) »

RITRATTO DI VIOLA (Prosa scelta d'Amore et Gloria) di Giorgio Bertazzoli

Post n°28 pubblicato il 06 Marzo 2008 da Bgponcio1

Credevo che le aurore più belle non fossero mai nate… Mi sbagliavo.

Viola ha poco più di cinque mesi; è così fragile (chica pero guapa), di una fragilità quasi cristallina, che con il solo sguardo ho paura di ferirla. Le cose intorno ad ella vivono e fremono nella felicità della luce. Tutto si nobilita al suo divino contatto, ed ogni umana malinconia s’abbandona al suo riso indagatore.

Un tempo eravamo spiriti azzurri e stelle. Oggi le alleanze del cielo e del mare sono mistiche e profonde…

Ogni qualvolta che dorme, sembra uscita da una tavola quattrocentesca di madonne ed angeli.

L’amabile civettuola ama emettere gemiti alti e  non sommessi, quasi gutturali, come se volesse ricercare costantemente la nostra attenzione.

Svegliandosi, inizia tra sbadigli e stiramenti, a sorridere con radiosa innocenza a noi o al nulla.

I suoi grandi occhi rugiadosi di colore indefinito, sembrano reclamare penuria di cibo.

Inizia a poppare golosamente il tiepido latte, mentre la socchiusa boccuccia si trasforma in una confettura orientale e il suo viso carnicino, all’impresa, si fa più paonazzo.

La flemmatica cadenza del biberon assorbe i miei più remoti pensieri:

 

e le stelle assenti,

e non un Dio nella sera d’amore di viola:

ma tu nella sera d’amore di viola:

ma tu chinati gli occhi di viola,

tu ad un ignoto cielo notturno

che avevi rapito una melodia di carezze.

 

Dopo la faticosa poppata, inizia a piangere. Per calmarla, blandisco lievemente la sua testolina opaca e cinerea. Le sue pupille umide e caste mi scrutano con una sorta di celestiale vacuità e meraviglia. In ella non si riconosce altro segno di predominanza fuorché la bontà.

La sua pingue manina stringe fortemente il mio indice (cingit non stringit), mentre l’altra poggia sulle mie labbra, come le ariste d’oro presso il papavero.

In questa calorosa vicinanza sento intensamente il suo profumo naturale che sa di pesca, e del frutto primaverile scorgo la lanugine lieve che si staglia sulla spaziosa fronte.

Con fulminea potenza, ella leva le braccia rotonde e pasciute al cielo. Ci lasceremo noi misurare?

Le sussurro brevemente una favola: “Lo sai come le rose divennero rosse? Si racconta di Cupido. Danzava tra gli Dei, poi precipitò nel Nettare. E il Nettare, sparso sulla rosa bianca, da allora e per sempre, la colorò di rosso”.

L’amabile piavoletta (Bambola in veneziano) finalmente si riaddormenta. Come dicono i Persiani, il sonno è una rosa.

Coprendole premurosamente l’adorabile grembo, le bacio una gota vermiglia, accomiatandomi da lei. Tutta la tenerezza su di te.

 

Tener-a-mente,

GIORGIO.

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