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Il futuro dei Comunisti in Italia

Post n°1 pubblicato il 31 Marzo 2010 da a.albrizio

Siamo appena usciti da una campagna elettorale piuttosto anomala, anche se a dire il vero si tratta di una anomalia che riguarda il nostro intero paese, la nostra terra che è continuamente violentata nel suo assetto economico e sociale dagli interessi di politici corrotti e disonesti. Ma la mia attenzione non vuole soffermarsi su quelli che sono i problemi lampanti del nostro paese, in un momento di crisi economica che è ciclica all'interno di un sistema come quello capitalistico. Precariato, scuola, pensioni, immigrazione, giustizia sociale, libertà di parola sono temi al centro del dibattito culturale più che politico dal momento che l'attenzione del ceto dirigente e politico propende sempre più di frequente per una mera polemizzazione attorno a scaramucce e beghe burocratiche o a temi che poco hanno a che fare con i reali bisogni e le esigenze di una società profondamente disastrata al suo interno. Abbiamo quindi da una parte una classe politica che sempre più di frequente preferisce dibattiti degni dei racconti satirici più estremi, e arrivando addirittura a disprezzare qualsiasi forma di resistenza o di contrapposizione che avrebbe il sapore di libertà democratica ma che agli occhi degli eletti, dei Comandanti, ha più i tratti di una semplice scelta ideologica di una parte ristretta del paese e della società politicizzata che a dire di Qualcuno controlla i poteri più forti dello stato come la magistratura, la cultura, la scuola. L'analisi che viene condotta all'interno di questi dibattiti stereotipati è a tratti folle, ed esprime un rifiuto profondo di gettare l'occhio verso quello che è un disagio profodnamente radicato nella società. I lavoratori, operai e non, quelli che un tempo, ormai ahimè passato, venivano chiamati Proletari, hanno perso la loro rappresentatività a livello politico e soprattutto sociale, sono stati umiliati nei loro diritti, e anche se può sembrare a tratti fuorviante, è stato strappato loro anche quello che è un dovere, cioè lavorare. La disoccupazione è ormai a livelli altissimi, e sotto il mattone di un tempo, ormai impolverato, neanche 1 cent può trovare il suo posto. Ci si chiede come è possibile arrivare ad una situazione così critica. Eppure la risposta la abbiamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi, nei piccoli gesti e nelle nostre azioni che alimentano implicitamente e forse a volte anche involontariamente, la spasmodica tendenza del sistema capitalistico ad avanzare verso un utopico ideale di ricchezza sempre maggiore, a discapito dei diritti e della dignità degli stessi lavoratori. Sarebbe sciocco riportare una analisi del capitalismo e delle nefaste conseguenze che l'adozione di questo modo di produzione ha avuto nel corso del Novecento e con ancora più imponenza all'avvento del nuovo Millenio quando la società ormai capitalistica è salpata verso il mare aperto della globalizzazione. Ci si trova un mercato che di per sè già profondamente libero, spregiudicato e violento, ha abbattuto e avvilito quei pochi diritti, conquistati con i denti nel corso del Novecento, in favore di una economica più ampia, più massiccia nella produzione di merce che ha contribuito ad un accentramento della ricchezza nelle mani di pochissime famiglie ''aristrocratiche''. Sicuramente c'e chi rifiuta la verità nascosta all'interno del nostro sistema economico, cioè lo spontaneo bisogno che esso ha di ampliare i confini del mercato e della produzione, a svantaggio di quei diritti dei lavoratori, che adesso sono ancora più che in passato dei semplici automi in una catena di montaggio, e il cui lavoro, privato della dignità, del valore e della sua virtù sociale, è diventato una semplice merce in balia della tempesta della crisi e dell'avidità dei pochi. Dovremmo abbandonare i confini provinciali del nostro paese, e capire bene che tutti quanti i problemi che ogni giorno ci troviamo ad affrontare sono provocati da motivazioni e ragioni più ampie, che hanno la loro origine nella rivoluzione industriale e nell'affermazione del libero mercato. Chi ha difeso nel corso del tempo i diritti dei più deboli, chi ha fronteggiato le avversità e si è opposto alle politiche liberiste e prevaricatrici della classe dirigente nel corso del Novecento? Personaggi come Di Vittorio, amatissimo proletario che rischiò anche la sua vita per difendere la Camera del Lavoro di Bari Vecchia dall'assalto delle squadre fasciste. Ma anche altri uomini di cultura e intellettuali che hanno offerto la propria razionalità e la propria capacità di trascendere l'apparenza, in favore di una causa sociale che aveva le proprie radici nella difesa dei lavoratori. Comunisti e socialisti dunque. Ed oggi che come nel passato avremmo bisogno di personaggi come Gramsci, Di Vittorio, scopriamo che a livello politico è scomparsa la rappresentatività dei ceti più deboli all'interno del nostro Parlamento, schiacciato dalle dinamiche del potere e di un bipolarismo fondato sul sistema maggioritario alla americana. Ed i comunisti oggi non hanno grande spazio, e di conseguenza neanche la possibilità di avere quel valore di difesa dei diritti dei più deboli che è tipico di queste forza sociali e politiche. Pian piano il comunismo è stato schiacciato tra i due poli (Pdl-Lega, Pd) ed ha avuto sempre maggiore spazio. Conseguenza inetivabile il graduale sgretolamento. Si è passato dal 35% degli anni 60 al 3 % di queste ultime elezioni regionali, ma questo non perchè gli ideali del comunismo e della difesa dei più deboli siano morti con la generazione sessantottina, ma perchè invece soprattutto a livello locale si è assistito ad uno spostamento dell'asse ideologico verso posizioni più centriste. Crisi dell' estremismo dunque? No. La grave colpa dei comunisti in Italia è stata quella di aver mirato nel corso del tempo sempre più verso l'entrata in giunte regionali, comunali e parlamentari, e si è lasciata alle proprie spalle la militanza attiva all'interno della società, l'impegno nella cpropria comunità e le proprie abilità e capacità sono state svendute ai fini elettorali. Chi veramente restava comunista e rifiutava di concepire l'impegno politico come semplice entrata in possesso di una poltrona o di una carica politica, è stato svilito, e soprattutto è stato messo a tacere con lo sbarramento del 4%. Ma si è raggiunto il patetico. Si fanno accorsi a livello locale con quella stessa giunta che ha votato per lo sbarramento del 4 % danneggiando gravemente la libertà politica e soprattutto il potere democratico delle elezioni. Le elezioni stesse non hanno più il sapore di libertà democratica come nel passato, non significano più partecipazione attiva, ma semplice routine quotidiana, un gesto quasi disinteressato che mira delegare definitivamente il proprio potere alla classe dirigente e a propri rappresentanti che una volta arrivati al governo finiscono, nella stragrande maggioranza dei casi, per ubriarcarsi dei risultati elettorali, e dimenticare il vero motivo e il fine per cui sono arrivati sino a quella poltrona. La mia non è una generalizzazione, o un voler svilire nel profondo il potere elettorale del nostro paese, ma è un allarme che vorrei lanciare a tutti. Abbiamo perso anche l'ultimo briciolo di rappresentatività che avevamo avuto nel passato, e siamo adesso costretti a vedere le beghe politiche tra i due schieramenti opposti invece che la politica intesa come dibattito civile e democratico e come risoluzione dei reali bisogni del paese. E per i comunisti che spazi restano? Occorre tornare a lavorare attivamente sul territorio, all'interno della propria comunità, con centri sociali, assocazioni e circoli di ritrovo, per discussioni e per dibattiti che dal basso si oppongano al generale anebbiamento della nostra classe politica. Solo costruendo un percorso graduale, assieme agli strati più disagiati e meno fortunati del nostro paese, con il nostro impegno e la nostra militanza saremo in grado di far uscire l'Italia dall'ubriacatura berlusconiana, e mettere a nudo l'Imperatore, per quello che realmente è. L'antiberlusconismo non ha un futuro, dal momento che l'Imperatore non è eterno, e la semplice polemica contro il Presidente del Consigli, finisce per sfociare nel ridicolo e nel patetico. Occorre piuttosto ribaltare i luoghi comuni, abbattere quel velo che la classe politica ha steso su di noi, chiamati a esprimerci solo durante le elezioni, per rieleggerli, e poi costretti a tacere nel resto del tempo. Solo con una opposizione dal basso, con l'impegno personale offerto per il bene comune, saremo in grado di costruire un percorso coerente che riporti finalmente le forze comuniste fuori dall'oblio del regime berlusconiano. Anche perchè in fondo, come diceva Aristotele, l'uomo è un animale sociale e non un animale di palazzo. Dobbiamo ritornare ad aprire dibattiti e voglia di fare e impegnare all'interno della comunità e del territorio.

 
 
 
 
 

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