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Un caffè con la mafia

Post n°99 pubblicato il 22 Novembre 2009 da lorenzo_na
 

Le dichiarazione del pentito Spatuzza compromettono Berlusconi: nel ’94 avrebbe trattato con la mafia per far terminare le stragi e vincere le elezioni

Fate finta di essere al bar con un amico. Vi siete appena seduti e avete ordinato un caffè. E’ una bella giornata d’autunno, il cielo è terso, il clima mite. Il vostro amico di fronte a voi si accende una sigaretta e vi dice che un pentito di mafia ha raccontato ai magistrati di Firenze di un patto che la mafia ha stretto all’inizio degli anni novanta con Berlusconi per far terminare le stragi di Stato. Tu lo guardi, lui ti guarda, il cameriere tarda ad arrivare. Certo che Berlusconi non fosse uno stinco di santo l’avevi già capito da un pezzo, ma questo…
capTorni con la mente a quegli anni terribili: nel febbraio del 1992 iniziò Tangentopoli, un’indagine giudiziaria che smascherò il malaffare della prima Repubblica; pochi mesi dopo salta in aria con tutta la scorta Giovanni Falcone; a luglio invece tocca a Paolo Borsellino, amico e successore di Falcone con il quale aveva lavorato al maxiprocesso. Berlusconi allora era solo un imprenditore di successo, amico di Craxi e soprattutto il più grande editore del Paese, che c’entra con tutta questa storia? Il tuo amico non se lo spiega, eppure tanti pezzi del puzzle sembrano combaciare.
Prima di tutto il pentito in questione: si chiama Gaspare Spatuzza, braccio destro dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano (entrambi in carcere con ergastoli per stragi e omicidi tra i quali quello del sacerdote Don Pino Puglisi e del figlioletto del pentito Di Matteo). Spatuzza nell’estate scorsa ha deposto durante il processo d'appello a carico del senatore Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
Tra le tante cose che si legge nei verbali dell’interrogatorio il pentito dichiara di aver incontrato nel gennaio del 1994 il boss Giuseppe Graviano in un bar di via Veneto a Roma. In quell'occasione il boss gli parlò dell'intesa che a suo dire era stata raggiunta con Berlusconi: “Graviano era euforico e gioioso, sprizzava felicità, normalmente era una persona abbastanza controllata, quindi era difficilissimo che si lasciasse andare in quel modo, le sue parole sono state le seguenti: tutto si è chiuso bene, abbiamo ottenuto quello che cercavamo, le persone che hanno portato avanti la cosa non sono come quei quattro crasti (montoni, ndr) dei socialisti che prima ci hanno chiesto i voti e poi ci hanno venduti. Si tratta di persone affidabili. A quel punto mi fa il nome di Berlusconi e mi conferma che si tratta di quello di Canale 5. Poi mi dice che c'è anche un paesano nostro e mi fa il nome di Dell'Utri e aggiunge che grazie alla serietà di queste persone ci siamo messi il paese nelle mani”.
Il tuo amico ha finito la sigaretta, e tu hai il timore di aver capito cosa accadde quindici anni fa. Spatuzza dice: “Non posso sapere quale fosse il proposito che Berlusconi e Dell'Utri avessero in mente stringendo questo patto (…) E quando poi li vedo scendere in politica, partecipando alle elezioni e vincendole, capisco che sono loro direttamente quelli su cui noi (Cosa Nostra, ndr) abbiamo puntato tutto". I pezzi del puzzle sembrano tanti, uno diverso dall’altro, ma ormai l’immagine che contribuiscono a formare è nitida.
C’è un signore che negli anni settanta inizia la sua irresistibile scalata economica: società offshore, fondi neri, soldi che non si sa da dove vengano. Poi c’è l’amicizia con un palermitano, tale Marcello Dell’Utri, uno che una volta ebbe a dire che la mafia non esiste e che è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
Grazie a questa illustre amicizia il fortunato imprenditore milanese assume come “stalliere” nella sua villa Vittorio Mangano (in tutta la Lombardia non c’era uno stalliere a quanto pare), un pluriomicida legato a Cosa Nostra della famiglia di Pippo Calò, il capo della famiglia di Porta Nuova. Il nome di Mangano viene citato per la prima volta dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992 (due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio), riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica. Borsellino affermò che Mangano era "uno di quei personaggi che erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".
E proprio Borsellino, insieme a Giovanni Falcone, è tra i maggiori artefici del maxiprocesso che nel 1987 imprime una svolta storica alla lotta dello Stato con la Mafia. 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere, non includendo gli ergastoli comminati ai diciannove boss di punta della Mafia e ai killer. Intanto nel febbraio ’92 scoppia il caso Tangentopoli, con tutta la vecchia classe politica della Prima Repubblica alla sbarra.
Pochi mesi dopo, approfittando della situazione ed in vista delle nuove elezioni politiche, i Corleonesi, messi alle strette dal maxiprocesso, iniziano la stagione delle stragi uccidendo Falcone. E’ a questo punto, secondo quando dice il pentito Gaspare Spatuzza, che ci sarebbe stato il contatto tra la mafia ed i leader del nascente partito di Forza Italia per fare cessare le stragi.
Della trattativa tra lo Stato e la mafia in quei tragici mesi si è parlato molto ultimamente, soprattutto in merito al “papello” che lo stesso Riina avrebbe fatto consegnare all’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino in cui elencava in dodici punti le richieste della mafia allo Stato per far cessare gli attentati (tra cui la revisione della sentenza del maxi-processo). Borsellino, dopo la morte di Falcone, avrebbe scoperto questa trattativa che coinvolgeva anche i servizi segreti ed alcuni colonnelli dei Carabinieri, ma si sarebbe rifiutato di trattare, e per questo sarebbe stato ucciso.
Berlusconi di certo poteva fare comodo da questo punto di vista: aveva deciso di scendere in politica in prima persona per evitare che l’onda lunga di mani pulite arrivasse fino a lui, ora che i suoi vecchi amici  politici  (Craxi in primis) oramai non potevano più coprirlo per i suoi “affari”. Dell’Utri, con il quale fonda Forza Italia, era il tramite, il modo per avvicinarlo.
Ma se non bastasse l’amicizia con Dell’Utri, e la presenza di Mangano in casa sua per due anni, a confermare i rapporti tra Berlusconi e la mafia si è aggiunto ultimamente un altro fatto: il ritrovamento di un pizzino tra le carte sequestrate nel 2005 proprio all’ex sindaco di Palermo Ciancimino, scritto di pugno da Provenzano e destinato a Berlusconi (Provenzano-Ciancimino, Ciancimino-Dell’Utri, Dell’Utri-Berlusconi).
Questo fogliettino strappato a metà è rimasto segreto per quattro anni dal suo ritrovamento, ed adesso è agli atti nel processo di appello a carico di Marcello Dell’Utri come prova dei suoi legami con la mafia. Ma il figlio di Ciancimino ha detto che ci sono altre due lettere che Provenzano avrebbe inviato a Berlusconi attraverso Ciancimino e Dell'Utri, ma di queste lettere per il momento non vi è traccia.
Il vostro amico intanto non vi segue più, pensa al suo caffè che finalmente è arrivato. Tu ti fai due conti: Berlusconi quelle elezioni nel 1994 le vinse, le stragi effettivamente si fermarono... vuoi vedere che ‘sto Gaspare Spatuzza dice la verità?
Intanto le parole che Graviano avrebbe detto nel ’94 dopo aver incontrato Berlusconi e Dell’Utri, “ci siamo messi il paese nelle mani”, ti hanno fatto passare la voglia del caffè, sei nervoso, e ordini un amaro per digerire.

pubblicato su
http://www.tuttiinpiazza.it/articoli/politica_interna/un_caffè_con_la_mafia/un_caffè_con_la_mafia.asp

 
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