Parliamoci!

A spasso con il dolore


E un po' lungo ...ma vale la pena di soffermarsi... In questi ultimi tempi mi è capitato relativamente spesso di ricevere le condivisioni di alcuni amici sul loro dolore, a volte fisico a volte emotivo, e la cosa che mi ha colpito di più è constatare che in qualche misura siamo tutti abituati a una qualche forma di dolore. A volte è un dolore cronico nel corpo legato a qualche disfunzione che ci portiamo dietro da anni e che non siamo mai riusciti a curare; a volte è un meccanismo emotivamente doloroso che scatta in determinate circostanze che ci riportano a un trauma psicologico, a una paura, a una ferita; a volte è un semplice malessere quotidiano, le mal de vivre, come dice il poeta, un misto di ansia, frustrazione e rabbia repressa o depressione. Comunque sia, nella mia osservazione, non c'è essere umano che non abbia il suo dolore. Mi è venuto da chiedermi se è una condizione esistenziale, cioè qualcosa che non si può evitare, che fa parte del vivere o se è semplicemente una disconnessione che si manifesta in una forma o nell'altra. Ho osservato il mio dolore, anzi i miei dolori e mi sono reso conto che sono entrambe le cose: a volte inevitabili, legati a piccoli acciacchi fisici e altro non richiedono se non un po' di cura e di attenzione da parte nostra; altri sono più sottili, si manifestano come disagio indefinito per poi farsi strada e diventare magari un'emozione viva e bruciante che finalmente si fa riconoscere per essere vista e alleggerita o addirittura guarita. La cosa più importante che mi è sembrato di comprendere da queste osservazioni è "Attenti a non abituarsi". O meglio ancora "Attenti al dolore a cui ci siamo già abituati", a quel dolore che può addirittura diventare un rifugio, un'ancora e cui aggrapparsi quando la vita non offre di meglio. O un modo per evitarlo, lasciandolo in penombra, sullo sfondo. L'abitudine, intesa così, in un certo senso cronicizza il dolore, qualsiasi sia la sua natura, e la mancanza di attenzione, in altre parole di consapevolezza e spazio di esistere nella luce e non nell'incoscienza, lo fa diventare grande e importante, in altre parole un attaccamento… una parte della nostra personalità!Forte di questa mia comprensione e rendendomi conto che una volta portata consapevolezza sull'evidenza del dolore, si resta ancora incerti su cosa farne ho cercato tra le parole di Osho qualche segno, indicazione..."Se una persona è in grado di accettare la realtà per quello che è, in quella stessa accettazione vedrà svanire tutte le tensioni: angoscia, ansia e disperazione evaporeranno. E quando non ci sono ansia, tensione, frammentazione, divisione, schizofrenia, all’improvviso ecco la gioia, l’amore e la compassione. Non si tratta di ideali, sono fenomeni assolutamente naturali.Certo, la vigliaccheria ti fa star male, la paura ti fa star male, la rabbia ti fa star male: sono tutte emozioni negative. Ma la pace può essere ottenuta solo accettando e assorbendo ciò che fa star male, non rifiutandolo. Con il rifiuto diventerai sempre più piccolo e avrai sempre meno energia; e sarai in un costante conflitto interiore, una guerra civile in cui una mano combatte l’altra e in cui non farai che dissipare la tua energia.È fondamentale ricordare che solo la comunione con il dolore psicologico apre la porta alla sua liberazione e alla trascendenza, solo la comunione con il dolore psicologico. Tutto ciò che fa male dev’essere accettato, occorre creare un dialogo: non c’è altro modo per trascenderlo, l’unica via è assorbirlo. E il suo potenziale è immenso: la rabbia è energia, la paura è energia e così la vigliaccheria; tutto ciò che ti accade possiede un enorme potenziale energetico, nasconde una grande quantità di energia. Se lo accetti, quell’energia diventa tua; diventi più forte, più grande, più spazioso; il tuo mondo interiore si espande.Il dolore psicologico finisce solo quando lo si accetta nella sua totalità. Il dolore psicologico non esiste solo a causa della presenza di qualcosa che definisci “doloroso”: il dolore è prodotto dalla tua interpretazione della realtà. Cerca di comprenderlo: il dolore psicologico lo crei tu. La vigliaccheria non è dolorosa, lo è solo la tua idea che sia un male, la tua interpretazione secondo cui non dovrebbe esistere: tu hai un ego particolare, e il tuo ego condanna la vigliaccheria; è a causa di quella condanna e di quella interpretazione che nasce il dolore. La vigliaccheria comunque esiste, ragion per cui si trasforma in una ferita: non la puoi accettare né la puoi distruggere rifiutandola. Nulla viene distrutto attraverso il rifiuto: prima o poi dovrai farci i conti; verrà fuori di nuovo e turberà di nuovo la tua pace. Ti ritrai da realtà quali la vigliaccheria, la paura, la rabbia, la tristezza: non farlo! È il ritrarsi a creare il dolore. Osserva ogni cosa dentro di te, diventa un laboratorio in cui fare un esperimento incredibile. Limitati a osservare: hai paura, è buio e sei solo, e per chilometri e chilometri non c’è nessuno. Sei perso in una giungla, seduto sotto un albero nel buio della notte e i leoni stanno ruggendo: hai paura. Hai due possibilità: la prima è rifiutarla, contrarre il corpo in modo da non tremare dalla paura. In questo caso la paura diventa un’esperienza dolorosa: è presente e fa male! Persino mentre te ne stai tutto contratto esiste e fa male. La seconda è godertela: trema, trasformala in meditazione. È naturale, i leoni ruggiscono, la notte è buia, il pericolo è vicinissimo e potresti morire in qualunque momento. Goditela, trasforma il tremore in una danza. Se lo accetti, il tuo tremare è una danza; coopera con il tremore e rimarrai sorpreso: se collabori con il tremare, tu stesso diventi il tremore e ogni dolore svanisce. E anzi se ti permetti di tremare, anziché dolore avvertirai un’incredibile ondata di energia. È esattamente quello che il corpo voleva fare: perché si trema quando si ha paura? Il tremore scatena un processo chimico, libera energia, ti prepara a lottare o fuggire. Il corpo si prepara: immette nel sangue delle sostanze chimiche e si prepara ad affrontare il pericolo. Forse avrai bisogno di combattere, oppure dovrai metterti a correre e prendere il volo: entrambe le risposte richiedono energia. Riconosci la bellezza della paura, il lavoro alchemico della paura: sta semplicemente preparandoti per una situazione, così che tu possa accettare la sfida; ma, anziché accettarla, invece di comprendere la paura, tu la rifiuti, dicendo: “Sei un grand’uomo, perché tremi? Ricorda che la morte non esiste, che la tua anima è immortale. Un’anima immortale… e tremi? Ricorda che la morte non può distruggerti, il fuoco non può bruciarti, le armi non possono trafiggerti. Ricordalo, non tremare, mantieni il controllo”. Stai creando una contraddizione. Il processo naturale è quello della paura e tu introduci queste idee innaturali che la contraddicono. Introduci ideali che interferiscono con il processo naturale. Sarà doloroso, perché ci sarà conflitto. Ascolta il momento e lasciati prendere totalmente dal momento; lasciati possedere e non sentirai alcun dolore. In questo caso la paura è una sottile danza interiore: ti prepara, è un’amica, non una nemica. Purtroppo le tue interpretazioni producono errori, ti danneggiano: la divisione che crei tra le sensazioni e te stesso – la paura, la rabbia e te stesso – ti dividono in due. Tu diventi l’osservatore e l’osservato, e dici: “Io sono qui, l’osservatore, e là c’è il dolore, l’oggetto. Io non sono il dolore”. È quella dualità a creare il dolore. Tu non sei l’osservato e non sei l’osservatore, sei entrambi: sei sia l’osservato sia osservatore. È questo che Krishnamurti intende quando ripete: “L’osservatore è l’osservato”. Lo spettatore è la scena, colui che fa l’esperienza è l’esperienza. Non creare questa divisione di soggetto e oggetto: è la causa prima di ogni infelicità, di ogni divisione. Una semplice consapevolezza priva di scelta di fronte a ciò che è, questa è la chiave magica che svela l’intimo mistero dell’essere. Non dire che va bene, non dire che va male. Quando dici che qualcosa è un bene, subito nasce attaccamento, attrazione. Quando dici che qualcosa è male, sorge repulsione. La paura è paura, né buona né cattiva; non valutarla, lasciala esistere, lasciala stare. In questa consapevolezza priva di scelta ogni dolore psicologico evapora come rugiada al sole mattutino, lasciando solo puro spazio, uno spazio vergine.È questo l’ “Uno”, il Tao chiamalo dio, se vuoi. Questo “Uno” che rimane quando ogni dolore svanisce, quando non sei diviso in alcun modo, quando l’osservatore è diventato l’osservato, questa è l’esperienza della natura divina, dell’illuminazione, o comunque la vuoi chiamare. E in questo stato non esiste alcun sé, perché non c’è alcun osservatore/controllore/giudice. Sei solo ciò che si manifesta, che cambia di momento in momento. In alcuni momenti può esserci euforia, in altri tristezza, compassione, distruttività, paura, solitudine. Non si dovrebbe dire: “Sono triste” o pensare: “Sono preso dalla tristezza”, ma: “Sono tristezza”, perché le prime due frasi implicano un sé separato da ciò che è. In realtà non esiste alcun sé a cui sta accadendo una particolare esperienza. C’è solo l’esperienza.Meditaci sopra: c’è solo l’esperienza.Non c’è alcun sé che avverte la paura; piuttosto, in un determinato momento, c’è un essere che è paura; in altri momenti quell’essere non è paura. Ma tu non sei separato dal momento, da quello che avviene, esiste solo l’emozione; quindi non si può fare nulla rispetto a ciò che si vive nel momento. Non c’è nessuno che possa fare qualcosa. Tutto ciò che esiste è bello, persino ciò che è brutto".Tratto da: OSHO