Friendship

Lettera dal Libano <>di Joumana Haddad - Poetessa e giornalista libanese -


Beirut - Seicento milioni di dollari di perdite per il bilancio dello Stato, 80 per cento degli alberghi svuotati, 90 mila persone scappate verso la Siria, 460 cittadini occidentali evacuati, decine di infrastrutture civili distrutte, centinaia di morti e di feriti, migliaia di sfollati: numeri, numeri, numeri...Per gli spettatori la guerra è un cumulo di cifre e di statistiche. Ma per noi interessati, il linguaggio ha una portata diversa, concreta, palpabile: le vittime hanno i volti di amici e di familiari, i ruderi sono sinonimi di anni di paralisi economica, e i danni significano lunghe giornate senza acqua, notti interminabili senza elettricità, e parenti cari che non rivedremo forse mai più.L'immagine dei quindici bambini bruciati vivi nell'autobus che provava a fuggire dal villaggio di Merwaheen mi ossessiona. Provo a indovinare i loro nomi e le loro vite: Sami aveva magnifici occhi neri, Mohammed era bravissimo a scuola, Fatema sognava di diventare scrittrice, a Nour piacevano gli arcobaleni... Spero almeno che le loro mamme siano sparite con loro: la morte di un figlio è il più indecente dei drammi.L'altro pomeriggio mi ha preso una voglia di ribellione, un rifiuto ostinato di lasciarmi andare alla disperazione.  Volendo fingere che la vita fosse normale malgrado tutto, sono andata  a vedere con i miei figli un film a Jounieh, città costiera teoricamente sicura, 15 minuti a nord di Beirut. Finita la proiezione, e usciti dalla sala, comincia il raid sul porto davanti a noi.  La gente nella strada grida impazzita.  Corriamo verso la macchina, il fumo ci circonda.  Mi si piegano le ginocchia dalla paura, Mounir e Ounsi scoppiano a piangere, ma riesco a guidare lo stesso; guido come una matta fino a quando raggiungiamo casa.  No, la vita non può essere normale quando si è libanese, imparo, per l'ennesima volta, a mie spese.(apparsa sul Corriere della Sera di oggi, 18 luglio 2006)