a man in the darkNessuno ama la luce più di chi sta nel buio |
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Post n°60 pubblicato il 05 Aprile 2013 da learningme
CARE INDUSTRIOSISSIME URLATRICI
Un tanatoesteta si compiace della sua opera e così bella un po’ la morte è vinta, ma quanta vita è immobile non sa, quale assioma in una giornata fredda sceglie: si sa … Dio è nelle più piccole cose autore paziente, ossia perdutamente assorto.
Quante eliche vegetali ho visto roteare, minuscole assalitrici della distanza, senza direzione, approssimatrici di un’idea inesatta che contempla l’amore sulla brughiera e se ne ride e se ne duole per maggior chiarezza.
Io sono eolico inventore del mio respiro e ne rammento il fine l’ingraziato flusso a cui sono perennemente grato.
Vittorio Melini marzo 2013 |
Post n°59 pubblicato il 05 Aprile 2013 da learningme
Il grande rumore della luce curva Inizia la repubblica dello sfigato, l’alba del jazz, il dialetto dell’anima, pendio lungo la tastiera, frullio di cresta sopra il fosso e questa unzione dell’iniqua bardatura sulla faccia incline al torto come universale botto della diplomazia.
Dipingo un parlamento osteoarticolare pieno di farfalline colorate che svolazzano tutt’intorno al roteare, all’imbrunire, al decadere: che ognuno scriva la scena del ritorno, L’imbecillità è sovrana!
Vittorio Melini marzo 2013 |
Post n°26 pubblicato il 16 Settembre 2011 da learningme
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Post n°25 pubblicato il 16 Settembre 2011 da learningme
IL PERFETTO FINIRE
L’immagine perfetta nel cervello, il rumore indistinto di uomini e macchine che fagocita imprevedibili lacrime in un punto preciso della strada tra i cassonetti di Noho.
Sarebbe corretto il senso delle cose, l’ibrido pensare e vagare degli occhi per cui vale la pena di vivere e ridere facendo vela verso il cielo, senza accorgersi della fine di tutto.
E pensare che sopra tutto piove e a volte sopra niente, allineati come simulacri e foglie, c’è il finire, lo smarrimento che vince. Vittorio Melini 16 settembre 2011 |
Post n°14 pubblicato il 18 Novembre 2010 da learningme
Parlai, a quale gente e in quale tempo non so, di coscienza eugenetica, una sorta di progressione spirituale quale unica via per la comprensione delle degenerazioni umane... ma quei tempi non erano, tuttavia, in sintonia con l'educazione del pensiero da parte di un'intelligenza ancora sulla via delle conoscenze. Né, d'altro canto, può dirsi che che lo siano adesso: è come se si fosse passati da una condizione metafisicofobica (in cui il cammino dell'uomo era quasi totalmente regolato da convincimenti superstiziosi e teocratici) ad una cartesianofobica, ossia dominata dall'imperatività delle scienze (le quali scienze, appunto, sono un procedere costante per tentativi ed errori, ritenendosi certo e provato solo ciò che è scientificamente ripetibile). Tutti gli studi sulla percezione, sui fattori che ne influenzano la portata, sui costrutti interiori che contribuiscono alla costruzione della realtà e sulla combinazione tra variabili esterne ed interne al processo percettivo e alla sintesi elaborativa del cervello non sono serviti a dare all'uomo una traccia significativa della verità sul proprio mondo né tanto meno sui mondi oltre la realtà tangibile. Quando finalmente il sopraggiungere delle nanoscienze avrebbe potuto indicare l'infinita vastità delle esistenze possibili (giacché l'invisibile esiste, a dispetto dei principi di concretezza e di riproducibilità) l'uomo ha concentrato tutti i suoi sforzi sulla comprensione dei risultati ottenibili con l'ausilio delle microtecnologie (che, se si considerano i confini della portata umana, sono pure eccellenti, ma non esaustivi). Così se da un lato poteva essere archeologico e superstizioso il sapere antico che postulava la rigenerazione dei tessuti umani e, quindi, degli organi, attraverso un canale di comunicazione con l'invisibile (di visibile c'era il connubio di luce e colore con le loro leggi di modulazione che si traducevano in formule magiche per il tempo ad opera di sacerdoti addestrati) ora diviene regressivo e preistorico, ma soprattutto estremamente lento e faticoso, raggiungere, attraverso l'esperienza diretta e le verità coglibili dal solo intelletto, anche solo un miliardesimo di ciò che l'integrazione pluridimensionale, cioè tra forme di intelletto e prerogative dimensionali, consentirebbe. In ultimo, e quì si interrompe il mio predicare, sarebbe auspicabile, non tanto il concentrarsi sulla conoscenza multidimensionale, quanto sulle vie possibili alla conoscenza dimensionale: sarebbe come dire che non è importante conoscere quanti universi paralleli esistono ma quali vie sono possibili per raggiungerli (dato che nessun meccanismo umano, per quanto sofisticato, potrà mai colmare simili distanze). Vittorio |
Inviato da: learningme
il 06/09/2012 alle 15:09
Inviato da: maresogno67
il 06/09/2012 alle 13:03
Inviato da: learningme
il 11/04/2011 alle 14:25
Inviato da: ontheroad68
il 03/04/2011 alle 00:36
Inviato da: learningme
il 15/02/2011 alle 13:54