Storie taciute: migliaia di donne italiane violentate da soldati marocchini tra il ’43 e il ’45Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate». Allora questa parola la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava. Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia. Come afferma lo studioso belga Pierre Moreau: “Mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati dalla letteratura storica della seconda guerra mondiale, tanto in quella in lingua francese, quanto quella in lingua olandese ed inglese”. Invece è dimostrato che non fu solo la popolazione degli Aurunci a subire le violenze durante le famose cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la linea di Cassino, ma che il fenomeno partì dal luglio ’43 in Sicilia, attraversò il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza, nell’ottobre del ’44. Un’altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano alla vulgata su questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi: ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai «liberatori». Quando gli eserciti anglo americani giunsero nel gennaio del 1944 di fronte alla linea Gustav, i loro comandanti certamente non pensarono che la celere avanzata verso Roma, si sarebbe trasformata in una logorante e sanguinosa guerra di posizione. Nei seguenti mesi invernali, infatti, il generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, si ostinò ad attaccare frontalmente le difese tedesche nel settore di Cassino riuscendo a perdere nell’arco di tre distinte battaglie, che comportarono anche la distruzione della storica abbazia, oltre 60.000 uomini. A fronte di questi evidenti insuccessi, nello studio tattico di quella che doveva essere la quarta ed ultima Battaglia per Cassino che portò all’occupazione angloamericana di Roma, il generale Alexander decise di tentare una manovra di aggiramento delle difese tedesche. L’attacco si doveva sviluppare attraverso i monti Aurunici, partendo da Castelforte via Ausonia, monte Petrella, Esperia. Obiettivo finale: il paese di Pontecorvo e la via Casilina. Si sarebbe ottenuto così l’Aggiramento dei difensori di Montecassino. A svolgere questo difficile e delicato compito furono chiamate le truppe del “Corps expeditionnaire Français” (C.E.F.) agli ordini del generale Alphonse Juin. Le forze del C.E.F. comprendevano 99.000 uomini per la maggior parte marocchini e algerini provenienti dalle colonie francesi. Completava l’organico una piccola aliquota di senegalesi. La caratteristica di queste truppe coloniali era l’eccellente addestramento nei combattimenti montani. «Vivere e battersi in montagna era qualcosa di naturale per questi soldati, e un terreno che altri avrebbero considerato un ostacolo era per i nordafricani un alleato». Questi uomini «selvaggi avvolti in luridi barracani, che per mesi, per impedire che compissero violenze sessuali ai danni delle popolazioni civili, erano stati sottoposti al coprifuoco, ed impediti ad uscire dai loro accampamenti recintati con filo spinato», erano denominati “goumiers”, in quanto non erano inquadrati in formazioni regolari, ma organizzati in “goums”, ossia gruppi composti da una settantina di uomini, molto spesso legati tra loro da vincoli di parentela. All’alba del giorno scelto per l’attacco, il 14 maggio 1944, il generale Juin inoltrò agli uomini della IIa divisione di fanteria (gen. Dody) e della IVa divisione da montagna (gen. Guillaume) il seguente proclama: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete». Tale allucinante promessa venne purtroppo rispettata alla lettera.
migliaia di donne italiane violentate da soldati marocchini tra il ’43 e il ’45
Storie taciute: migliaia di donne italiane violentate da soldati marocchini tra il ’43 e il ’45Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate». Allora questa parola la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava. Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia. Come afferma lo studioso belga Pierre Moreau: “Mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati dalla letteratura storica della seconda guerra mondiale, tanto in quella in lingua francese, quanto quella in lingua olandese ed inglese”. Invece è dimostrato che non fu solo la popolazione degli Aurunci a subire le violenze durante le famose cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la linea di Cassino, ma che il fenomeno partì dal luglio ’43 in Sicilia, attraversò il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza, nell’ottobre del ’44. Un’altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano alla vulgata su questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi: ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai «liberatori». Quando gli eserciti anglo americani giunsero nel gennaio del 1944 di fronte alla linea Gustav, i loro comandanti certamente non pensarono che la celere avanzata verso Roma, si sarebbe trasformata in una logorante e sanguinosa guerra di posizione. Nei seguenti mesi invernali, infatti, il generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, si ostinò ad attaccare frontalmente le difese tedesche nel settore di Cassino riuscendo a perdere nell’arco di tre distinte battaglie, che comportarono anche la distruzione della storica abbazia, oltre 60.000 uomini. A fronte di questi evidenti insuccessi, nello studio tattico di quella che doveva essere la quarta ed ultima Battaglia per Cassino che portò all’occupazione angloamericana di Roma, il generale Alexander decise di tentare una manovra di aggiramento delle difese tedesche. L’attacco si doveva sviluppare attraverso i monti Aurunici, partendo da Castelforte via Ausonia, monte Petrella, Esperia. Obiettivo finale: il paese di Pontecorvo e la via Casilina. Si sarebbe ottenuto così l’Aggiramento dei difensori di Montecassino. A svolgere questo difficile e delicato compito furono chiamate le truppe del “Corps expeditionnaire Français” (C.E.F.) agli ordini del generale Alphonse Juin. Le forze del C.E.F. comprendevano 99.000 uomini per la maggior parte marocchini e algerini provenienti dalle colonie francesi. Completava l’organico una piccola aliquota di senegalesi. La caratteristica di queste truppe coloniali era l’eccellente addestramento nei combattimenti montani. «Vivere e battersi in montagna era qualcosa di naturale per questi soldati, e un terreno che altri avrebbero considerato un ostacolo era per i nordafricani un alleato». Questi uomini «selvaggi avvolti in luridi barracani, che per mesi, per impedire che compissero violenze sessuali ai danni delle popolazioni civili, erano stati sottoposti al coprifuoco, ed impediti ad uscire dai loro accampamenti recintati con filo spinato», erano denominati “goumiers”, in quanto non erano inquadrati in formazioni regolari, ma organizzati in “goums”, ossia gruppi composti da una settantina di uomini, molto spesso legati tra loro da vincoli di parentela. All’alba del giorno scelto per l’attacco, il 14 maggio 1944, il generale Juin inoltrò agli uomini della IIa divisione di fanteria (gen. Dody) e della IVa divisione da montagna (gen. Guillaume) il seguente proclama: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete». Tale allucinante promessa venne purtroppo rispettata alla lettera.