La Legione Nera

NIETZSCHE - ANTICRISTO (18° PARTE)


Buonasera a tutti, continuo il mio progetto dell'anticristo di neitzsche, dandovi anche questa sera un corposo aggiornamento, tre parti ora e altre dopo, leggete con attenzione, e se volete, commentate L :Non posso esimermi in questa sede da una psicologia della «fede», dei «credenti», a vantaggio, com'è giusto, proprio dei cre­denti. Se ancora oggi non mancano coloro che ignorano fino a che punto sia indecente essere «credenti», ovvero essere emblema della décadence, di una volontà di vivere spezzata, ebbene, giun­geranno a saperlo domani. La mia voce arriva pure a coloro che sono duri d'orecchi. Sembra, se non ho capito male, che tra i cri­stiani vi sia una specie di criterio di verità chiamato «prova di forza». «La fede rende beati: quindi è vera». Ora si potrebbe immediatamente obiettare che la beatitudine futura non è pro­vata, ma soltanto promessa: la beatitudine è legata alla condizione di «fede», si deve essere beati perché si crede... Ma che si verifichi effettivamente ciò che il sacerdote promette al credente riguardo a un «aldilà» inaccessibile a qualsiasi controllo, come si potrebbe provare tutto questo? La pretesa «prova di forza» è quindi in fondo soltanto un'ulteriore credenza che l'effetto promesso dalla fede non potrà venir meno. In una formula: «Credo che la fede renda beati, dunque è vera». Ma con ciò siamo già alla fine. Questo «dunque» sarebbe l’absurdum stesso, assunto a criterio di verità. Ammettiamo tuttavia, con un po' di indulgenza, che la beatitudi­ne futura sia provata grazie alla fede (non solo desiderata, non solo promessa dalla bocca, comunque sospetta, del sacerdote). La beatitudine - o, per usare un'espressione più tecnica, il piace­re - potrebbe mai costituire una prova di verità? Lo sarebbe così poco che si ha quasi la prova opposta e in ogni caso il massimo sospetto nei confronti della «verità», quando le sensazioni di pia­cere hanno voce in capitolo riguardo alla domanda: «Che cosa è la verità?». La prova del «piacere» è una prova di piacere: nulla di più. Quando mai sulla Terra è stato stabilito che i giudizi veri pro­curino maggior diletto di quelli falsi e che, secondo un'armonia prestabilita, arrechino necessariamente sensazioni piacevoli? L'esperienza di tutti gli spiriti rigorosi e profondi insegna il con­trario. La verità ha dovuto essere conquistata passo dopo passo: le è stata sacrificata quasi ogni cosa cara al nostro cuore, da cui dipendono il nostro amore e la fiducia nella vita. Per essa è d'uo­po la grandezza d'animo: servire la verità è il più duro dei servi­gi. Giacché cosa significa essere onesti nelle cose dello spirito? Che si è severi con il proprio cuore, che si disprezzano i «bei senti­menti», che ogni sì e ogni no divengono una questione di coscienza! La fede rende beati, di conseguenza mente...LI:Che in qualche caso la fede renda beati, che la beatitudine non basti a fare di un'idea fissa un'idea vera, che la fede non smuova le montagne, ma certo le ponga dove non sono: una rapida visita a un manicomio sarebbe abbastanza chiarificatrice al riguardo. Tuttavia non per un sacerdote: poiché costui nega per istinto che la malattia sia malattia e che il manicomio sia manicomio. Il cri­stianesimo ha bisogno della malattia almeno quanto l'ellenismo ha bisogno di un eccesso di salute. Rendere malati è il vero fine recondito di tutto il sistema della procedura salvifica della Chiesa. E la Chiesa stessa non è il manicomio cattolico come ideale supre­mo? Insomma, la Terra come manicomio? L'uomo religioso così come lo desidera la Chiesa è un tipico décadent: l'epoca in cui una crisi religiosa si impossessa di un popolo è caratterizzata sempre da un'epidemia di malattie nervose; il «mondo interiore» di un uomo religioso è talmente simile al «mondo interiore» del sovrec­citato e dell'esaurito da essere scambiato per esso; gli stati «più elevati» che il cristianesimo ha posto al di sopra del genere umano come i valori di tutti i valori sono forme di epilessia: la Chiesa ha canonizzato solo folli o grandi impostori in maiorem dei honorem... Una volta mi sono permesso di descrivere l'intero trai­ning cristiano della penitenza e della redenzione (che oggi si stu­dia meglio in Inghilterra) come una folie circulaire prodotta metodicamente, come è naturale, su un terreno già predisposto, cioè profondamente malaticcio. Nessuno è libero di divenire cri­stiano: nessuno è «convertito» al cristianesimo, bisogna essere sufficientemente malati per esso... Noi altri, che abbiamo il corag­gio della salute e anche del disprezzo, abbiamo il diritto, noi, quanto possiamo, di disprezzare una religione che insegna a equivocare sulla corporeità; che non vuole liberarsi della super­stizione dell'anima; che si fa un «merito» della scarsa alimenta­zione; che combatte il benessere come una sorta di nemico, di diavolo, di tentazione; che si è convinta a credere che un'«anima perfetta» possa aggirarsi in un corpo di cadavere e che ha dovu­to creare per sé una nuova concezione della «perfezione», un essere pallido, malato, un fanatico fino all'idiozia: la cosiddetta «santità», santità che di per sé stessa non è altro che la serie di sin­tomi di un corpo consunto, snervato e irreparabilmente corrot­to!... Come movimento europeo, il movimento cristiano è stato fin dagli albori un movimento collettivo di reietti ed elementi di scarto di ogni sorta (questi volevano il potere con il cristianesi­mo). Non è l'espressione del declino di una razza, ma piuttosto l'aggregazione delle forme della décadence, che vengono da ogni dove, che si ammassano e si cercano reciprocamente. Non è, come si crede, la corruzione della stessa antichità, dell'antichità nobile, che rese possibile il cristianesimo: l'erudita idiozia che ancora oggi sostiene un simile fatto non potrà mai,essere com­battuta con sufficiente violenza. Nell'epoca in cui le classi dei dandola di tutto l’imperium, pervertite e corrotte, diventarono cristiane, il tipo opposto, l'aristocrazia, esisteva proprio nella sua forma più bella e più matura. La maggioranza diventò padrona; il democratismo degli istinti cristiani ebbe il sopravvento... Il cri­stianesimo non era «nazionale», non era condizionato a una razza, si rivolgeva a tutti i tipi di diseredati della vita e aveva i suoi alleati ovunque. Il cristianesimo si fonda sul rancune dei malati, ha l'istinto diretto contro i sani, contro la salute. Ogni cosa che è ben fatta, fiera, esuberante, in special modo la bellezza, infastidi­sce le sue orecchie e i suoi occhi. Ricordo ancora una volta le ine­stimabili parole di Paolo: «Dio ha scelto ciò che al mondo è debo­le, ciò che è stolto, ciò che è vile e spregevole»: ecco qual era la formula, in hoc signo vinse la décadence. Dio in crocei Non è chiaro quale spaventoso significato si cela dietro a questo simbolo? Tutto ciò che soffre, tutto ciò che è sospeso sulla croce è divino... Noi tutti siamo sospesi sulla croce, quindi siamo divini... Solo noi siamo divini... Il cristianesimo fu una vittoria e per causa sua perì una disposizione spirituale più nobile: finora il cristianesimo è stato la più grande sciagura dell'umanità.LII :II cristianesimo contrasta anche ogni ben riuscita costituzione intellettuale, può impiegare solo la ragione malata come ragione cristiana, assume le parti di tutto ciò che è idiota, lancia una male­dizione contro lo «spirito», contro la superbia dello spirito sano. Poiché la malattia fa parte dell'essenza del cristianesimo, è anche necessario che la condizione cristiana, la «fede», sia una forma morbosa; è necessario che ogni via diretta, onesta e scientifica, che porta alla conoscenza, sia ripudiata dalla Chiesa in quanto rap­presenta un percorso proibito. Persino dubitare è peccato... L'assoluta mancanza di limpidezza psicologica nel sacerdote, che emerge nel suo sguardo, è una conseguenza della décadence; si osservi nelle donne isteriche e nei fanciulli rachitici come l'istin­tiva falsità, il mentire per il gusto di mentire, l'incapacità a guar­dare diritto e ad agire rettamente siano regolarmente espressioni di décadence. La «fede» è volere ignorare ciò che è verità. Il pietista, il sacerdote di ambo i sessi, è falso perché è malato: il suo istin­to esige che la verità non affermi i suoi diritti in alcun luogo. «Ciò che rende malati è buono; ciò che deriva dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, dalla potenza è cattivo»: ecco ciò che pensa il credente. L'obbligo alla menzogna, in questo riconosco ogni teolo­go predestinato. Un'altra caratteristica dei teologi è la loro inca­pacità filologica. La filologia in questa sede deve essere intesa in senso assai ampio, come arte del leggere bene, del sapere legge re i fatti senza falsificarli con interpretazioni, senza perdere la pru­denza, la pazienza o la sottigliezza per il desiderio di compren­dere. Filologia come ephexis nell'interpretazione: si tratti di un libro, di notizie di periodici, di destini e di tempo; per non par­lare della «salvezza dell'anima»... Il modo in cui un teologo, non importa se a Berlino o a Roma, interpreta una «parola delle Scritture», o un qualsiasi evento, per esempio la vittoria dell'esercito della propria nazione, alla luce sublime dei salmi di Davide, è sempre così temerario da far spazientire i filologi. E cosa devono fare questi quando i pietisti e altre vacche di Svevia attra­verso il «dito di Dio» rimettono in sesto la loro misera esistenza, quotidiana e fumosa, facendone un miracolo di «grazia», di «provvidenza» e di «sante esperienze»? Eppure il minimo dispen­dio di ingegno, per non dire di decenza, dovrebbe persuadere questi interpreti dell'assoluto infantilismo e dell'indegnità di un tale abuso di capacità divina. Anche solo una piccolissima dose di devozione in noi dovrebbe essere abolita, se esistesse un Dio tal­mente assurdo da curare al momento opportuno un raffreddore o da farci entrare in carrozza proprio quando sta per incomin­ciare un acquazzone. Questo Dio visto come domestico, postino, venditore di almanacchi, in sostanza una parola sola per espri­mere la forma più stupida tra tutte le circostanze casuali... La «divina provvidenza», alla quale ancora oggi crede quasi una per­sona su tre della «Germania colta», costituirebbe un'obiezione tale contro Dio, che non se ne potrebbe immaginare un'altra più forte; e in ogni caso è un'obiezione contro i tedeschi!...