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TITASI

Post n°2 pubblicato il 16 Novembre 2006 da stepo2

350 000 anni fa, circa, viveva un bambino al quale fu dato il nome Titasi, che era tutto un programma. Undicesimo d’undici figli, non era per niente contento del suo nome perché troppo diverso da quello degli altri: il suo papà veniva chiamato Guldruc, mentre la sua mamma Gua.

Il figlio maggiore, Guntu, era il preferito del padre: infatti, lo seguiva ogni volta che tutti gli uomini della tribù Gutunu si radunavano per andare a caccia del grande bataku dal lungo naso.

Titasi doveva restare nel gran buco di pietra che era la sua casa.

Aveva un incarico particolare, che era quello di tenere sempre vive le lunghe lingue rosse ed arancione che scaldavano l’entrata al gran buco. Questo lo doveva fare soltanto quando palla gialla era su nell’azzurro, mentre quando arrivava il grande scuro toccava a Guno, uno dei suoi dieci fratelli.

Titasi avrebbe voluto fare parte del gruppo di cacciatori: era affascinato da quel compito. I disegni, che vedeva sulle pareti del gran buco, lo avevano convinto che non esisteva al mondo nulla di più avventuroso.

Certo: aveva tentato più volte più volte di chiedere al papà questa mansione, ma Guldruc ad ogni sua richiesta emetteva uno strano e cupo grugnito, accompagnato dal gesto del suo braccio che indicava la direzione lingue luminose.

Anche la mamma, Gua, aveva il suo bel da fare e aveva poco tempo per ascoltare il piccolo: doveva cercare fra le piante cose da mangiare, che poi arrostiva sulle lingue calde. Questo a meno che gli uomini non tornassero a casa con dei bei pezzi di grande bataku: e allora la tribù Gutunu faceva festa.

Già: ma il povero Titasi non aveva partecipato alla caccia e, più che divertirsi, si arrabbiava.

Si arrabbiava prima e si arrabbiava dopo: prima, quando vedeva gli uomini preparare le punte di pietra che avrebbero scagliato nella ciccia pelosa del grande bataku; dopo, quando vedeva gli uomini, tutti agitati, raccontarsi dell’importante e coraggiosa caccia.

A lui non rimaneva che osservare il grande bataku disegnato sulle pareti del grande buco da Gushao, uomo che tutta la tribù considerava pieno di strani poteri.

Era stato Gushao a dire che le lingue salenti  erano sacre e che non dovevano mai morire.

Il solo compito affidato a Titasi era alimentare le traballanti lingue e stare in silenzio.

Di quelle noiose lingue Titasi non ne poteva più, anche se ne aveva capito l’importanza. Sapeva, infatti, che oltre a portare caldo e luce, tenevano lontani certi pericoli come quello che aveva visto una volta tra le piante: un mostruoso quadrupede, con due lunghe lance bianche in bocca, il quale aveva sbranato un altro quadrupede più grosso e aveva messo una certa paura a tutta la tribù Gutunu.

Questo mostro, manco a dirlo, fu chiamato con un nome normale: Guouu.

Guouu fu anche dipinto sulle pareti del grande buco sempre da Gushao a ricordare, secondo Titasi, la grande paura.

Una volta, mentre palla gialla era molto su nell’azzurro, il mostro con le due lance in bocca si ripresentò.

 Gli uomini erano tornati gridando a più non posso verso il grande buco.

Malauguratamente ne mancava uno: Guldruc.

Egli si trovava a poca distanza ed era stato avvicinato da Guouu, tenuto a distanza dal bastone con la punta di Guldruc.

La bestia continuava a girare intorno al povero papà di Titasi.

Il piccolo, coraggiosissimo, ebbe un’idea geniale: raccolse con un bastone una bella e lunga lingua bruciante e si diresse a tutta velocità in aiuto del suo papà, gridando come un forsennato.

Guouu, nel vedere quella strana lingua che gli si dirigeva contro, accompagnata da un assordante urlo, decise che avrebbe pranzato diversamente, almeno per quella volta, e fuggì.

Guldruc, strabiliato dall’accaduto, abbracciò Titasi.   

Decise, inoltre, di dargli un nuovo incarico: cacciatore-portatore delle lingue ardenti.

Gushao disegnò l’avvenimento proprio nella parete d’entrata al grande buco, affinché tutti ricordassero, nei millenni a venire, l’eroico gesto di Titasi.          

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