Lepinia

Appunti di speleologia post-ideologica e virtuale - Turchia ‘97


* Sabato 11 ottobre “Ovvero che ci faccio in Anatolia, per non parlare del perché mi ritrovo a dormire sotto il pergolato di un ristorante lungo la strada di Maden guardando passare i carri armati…” «Duemilioni sul venticinque nero…» Il tram accelera ed inizia a roteare velocemente, io sopra, appeso ad una curiosa maniglia arancione, ho come il sospetto che ci sia qualcosa che non vada per il verso giusto; della maniglia vicina, ormai orizzontale per la forza centrifuga il console iraniano mi risponde che qui esistono versi giusti per ogni luogo, poi dicendo che deve sbrigare alcuni affari a Teheran si congeda lasciando la maniglia e scomparendo in volo nell’invisibile fondo del vagone. «Mi spiace signore ma è uscito il 141 rosso e lei finisce in Kurdistan. Riprovi sarà più fortunato.» «E i miei due milioni?» «Vanno al PKK naturalmente, di che si preoccupa, italiani tutti pieni di soldi, Agnelli, Berlusconi e poi Italia mafia…» “Sì spaghetti e mandolino…» Non faccio in tempo a finire la frase che la mia maniglia si sgancia lasciando precipitare anche me nel fondo del vagone. «Tè, caffè…» L’immagine deformata in altezza e larghezza di una hostess tonda come una palla mi ritrova sulla poltrona di un pulman. «Tè, grazie ma dov’è diretto questo pulman?» «Dalla porta d’ingresso alla porta di uscita, naturalmente.» E se ne va con la sua caraffa di acqua solforosa ed un vago odore di zolfo. Sorseggio il mio tè mentre mi guardo attorno. Su ogni poltrona è scritto in ordinata calligrafia, in sei lingue, fra cui l’ebraico ed il persiano: «Su questo bus è severamente proibito togliersi le scarpe come da legge coranica.» Il tizio dell’altra fila mi fa segno con la mano che mi puzzano i piedi e che se provassi a togliermi le scarpe sarebbe costretto ad interpellare l’antica usanza del taglione. Cerco di spiegargli che non mi puzzano, che sono puliti. «La puzza di piedi è una cosa sacra, va conservata per i luoghi di preghiera, solo li è consentito mischiare i propri effluvi. Farlo sull’autobus sarebbe blasfemo e sacrilego.» Si affretta a spiegarmi serio, il tipo accanto. Forse è meglio rinunciare a dibattito, non ho gli strumenti teologici sufficienti. Intanto dalla cabina di guida del suo autobus fermo, l’autista lancia incomprensibili messaggi, mentre i passeggeri uno ad uno si alzano ed escono dalla porta posteriore. «Derebag Selalasi, per le grotte inesplorate ai confini della civiltà, si scende.» L’hostess mi si avvicina e mi fa cenno con la mano: «È ora, è la sua fermata, deve scendere.» «Ma scendere dove?» «Non si preoccupi, che l’aspettano.»