Lepinia

Amarcord...


Tra una esplorazione e l’altra c’è sempre il tempo per ricordare i tempi andati, i rilievi mai finiti, i frammenti di spedizione rimasti appesi e tutto l’armamentario di varie ed eventuali che per pigrizia non diventeranno mai articoli ma resteranno ricordi spersi e frammenti di memoria. Per dare un po’ di vita a questo mucchio in ordine sparso, inauguro quindi una sezione d’intermezzi dove dare spazio ai brandelli…     WuaraskaHonduras - gennaio 2004E’ notte, c’è acqua, c’è fango, non manca nulla. Don Cipriani l’ha vista lunga a fermarsi a Tilopo. Non che l’unica casa del paese sia proprio un paradiso, ma almeno lui e Candida questa notte avranno un pavimento dove dormire. Avremmo dovuto dare retta a lui invece che a Jorge. Sessant’anni, tanti di quei figli che dopo i trenta ha smesso di contarli, una cataratta che lo rende cieco come un talpone, tanto che s’è portato una figlia al posto del bastone, un’autonomia di dieci chilometri con una bottiglia di rhum, ma la nostra guida Pech la sa lunga, molto più lunga di Jorge.  Quando siamo partiti da Catacama per una versione Olanchiana del classico on the road, non avevamo molto chiaro dove saremmo andati a sbattere. Dopo aver gironzolato tra acqua e fango per la Sierra di Agalta come due scemi, dopo aver sceso la dolina di Cielo di Pietra dalla parte verticale, tanto per farla più complicata, con Ramon appeso alle liane preoccupato più che cadesse la sua pistola che noi, ormai pensavamo di averle viste tutte. Ma ci mancava ancora la caccia alla Ciudad blanca, un classico, la versione locale dell’Eldorado. Qualcuno aveva detto a Jorge, che qualcun altro aveva visto dei ruderi sparsi, lungo l’alto corso del rio Platano. A lui era bastato questo. A noi aveva detto ci fossero grotte. A noi era bastato questo. Forse avremmo fatto tutti meglio ad informarci un po’ di più. Tra San Pedro di Pisjire e La Colonia avevamo fatto il pieno di ogni fantasia. Nell’ordine stavamo cercando: un posto chiamato Wuarasca, la cueva del Rio Aner, el cementerio e la Casa blanca. Nessuno ci voleva accompagnare, ma in compenso c’indicavano la direzione, aggiungendo anche il tempo necessario, due, forse tre giorni di cammino. Considerato che ci stavamo muovendo attorno alla grande foresta del Rio Platano le cose si complicavano un po’. Poi era scappato fuori Don Cipriani, l’avevamo pescato già ubriaco ad una festa, ovviamente confermò ogni nostra fantasia, ma questa volta si offri di portarci alla Casa blanca, e di mostrarci una cueva ad un giorno di cammino. Occasione ghiotta, e così la mattina seguente siamo in sei nella macchina che arranca nelle pozze di fango verso Tilopo. Jorge è vestito come Indiana Jones, con tanto di daga alla cintura, e tanto per fare più cavaliere s’è portato anche Carlito un ragazzo di dodici anni come scudiero, Don Cipriani è cieco come una talpa e quindi per farci da guida nella foresta s’è portato Candida una delle sue ultime figlie, noi ci siamo portati dietro tanto di quel materiale da caricare una carovana di muli. Tra una pozza e l’altra la strada finisce per mancanza di ponti, la mancanza anche di muli spinge a riconsiderare l’utilità di mute e canotto. Alla fine salta fuori Luiss con un mulo ed un cavallo. Il primo, il mulo,  ci farà da guida, il secondo, il cavallo,  lo occupa Giovanni in vena western, che  raggiunge il top quando riesce a farsi una foto con altri due tizi a cavallo armati di M16 e pistoloni in pieno stile guerriglia nella selva. Intorno alle quattro Don Cipriani decide di fermarsi, dice che non arriveremmo mai alla baracca sul rio wuaraska prima di notte, il mulattiere dice che manca mezz’ora, o almeno così Jorge ci fa credere. Partiamo convinti che il vecchio abbia esagerato. Dopo quattro ore siamo convinti che avesse ragione. L’unica cosa certa è il mulo davanti, lui la strada la conosce, il cavallo dietro è molto meno sicuro come ha scoperto Giovanni dopo che gli è cascato addosso scivolando nelle pozze di fango che arrivano oltre il ginocchio. Il resto è incerto. Dire che è buoi pesto non rende, con il fango al ginocchio scivoliamo da ore su e giù in tunnel tagliati nella foresta, per le bestie speriamo che siamo tutte a letto, per le zecche e le sanguisughe ci penseremo domani. Jorge è entusiasta di giocare all’esploratore, Carlito tace, Giovanni maledice Jorge, il mulattiere cerca di non perdersi le bestie, io cerco di non perdere lui. Alla fine una radura, il cielo stellato e la vecchia capanna sulla riva del Wuaraska, giusto alla confluenza con il Rio Blanco, le sorgenti del Rio Platano. La mattina dopo di buon ora Don Cipriani e Candida si presentano tranquilli tranquilli in tempo per la colazione. La casa blanca è ancora lontana, forse un giorno di cammino, forse più, ma la cueva è vicina, lungo la riva del fiume. Sacchi in spalla ci ributtiamo in foresta, poi dopo poco affiora roccia, poi un torrentello limpido, qualche colpo di machete e siamo difronte all’imbocco della nostra risorgenza. La grotta purtroppo dura poco, centocinquanta, duecento metri e decide di sifonare,  i primi coloni che girarono in queste zone nei tempi recenti hanno lasciato le loro tracce, mischiate a quelle dei cercatori di tesori. Girando per foresta Jorge trova un paio di tombe e un campo di ananas inselvatichiti. Don Cipriani da buona guida ci procura il piatto forte pescando a fiocinate un wapote. Il pesce più spinoso che esista in natura. Intanto le scimmie ci guardano beffarde dall’alto. La via per la cueva del rio Aner sarebbe lunga, molto lunga, ancora due giorni, a noi da qui ne servono già due per tornare a Catacamas. Il Rio Platano vuole tempi lunghi. Sulla via del ritorno Luiss ci fa intravedere un pizzico del mistero di questi luoghi. Una via pietrata attraversa la foresta, viene dal nulla e va nel nulla. La seguiamo lavorando di machete, mezz’ora, un’ora, finché finiamo su una spianata, due strani cucuzzoli a cono. Altro giro di machete ed i cucuzzoli si scoprono monticoli costruiti, con muri alla base, dietro una sorta di piazza con tanto di scalinata, basamenti di edifici, sparsi ovunque resti di metates, troni cerimoniali su tre piedi, pietre per molare il mais, palle di pietra lavorate. Una piccola città persa nella foresta. Nella zona ce ne sono decine, forse centinaia, ancora tutte da scavare, le prime furono posizionate negli anni ’80 lungo il basso corso del Rio Platano, ma attorno per centinaia di chilometri quadrati è pieno. La guerra dei contras è finita da pochi anni è qui siamo sulla frontiera in tutti i sensi. Questa non sappiamo neanche se sia conosciuta, Jorge che è il responsabile archeologico per la regione non sa nulla. Di sicuro ci sono passati i coloni a caccia di tesori, ma d’altronde da queste parti tutti hanno almeno una statua antica in giardino. Prendiamo le coordinate del posto, un rapido rilevamento e siamo di nuovo sul sentiero. A notte arriviamo alla macchina, una rapida discussione con un paio di ragazzi armati di mitra che si sono innamorati del coltello di Jorge e siamo in viaggio per S. Pedro, il primo posto dove trovare un birra. Stiamo tornando in Italia, ma con la testa siamo già a Pian Bonito, tra i pozzi di Cielo di Pietra.