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Messaggi di Settembre 2006

 

La Banda della Malaina

Post n°19 pubblicato il 11 Settembre 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi



In attesa di coagulare l'organico per la prossima punta al Pratiglio, cominciamo almeno a raccogliere i pezzi necessari. la data con molta probabilità sarà la prima settimana d'ottobre o l'ultima di settembre, sempre sperando nel tempo. causa recessione e limitata crescita del PIL si continuerà almeno per questa volta il masochistico uso della muta umida, sperando in bene. Per il resto invece visto l'andazzo continueremo ad andarci pesante: almeno 160 metri di cordame, una 25ina di attacchi o qualsiasi cosa simile si possa chiudere e avvitare, altrettanti spit, perchè fermarsi per fine spit non è ammissibile, proteggi corda e tutto quanto possa allungare la vita delle meravigliose 8mm e con la loro la nostra, ed infine una sezione medicinali, dopping, varie ed eventuali, perchè a volte le farmacie di turno sono scomode e lontane: visto che da piccoli ti dicevano di non fare il bagno dopo mangiato e che noi dall'acqua non si esce neanche per pisciare una robusta dose di malox e buscopan; una gagliarda boccetta di tora-dol, una di quelle cosa che ti toglie i dolori fino alle fratture esposte, ed infine se non dovesse funzionare la precedente un simpatico blister di eutanasil.

 
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5° Elemento: il Due Bocche ha il suo ingresso alto. 7-9/1/2005

Post n°18 pubblicato il 11 Settembre 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi



Arriva anche l’Epifania, che tutti i lividi si porta via, e con loro il buonsenso. Torniamo in quattro, oltre ai soliti Paolo, Guido e Andrea abbiamo guadagnato Cristina. L’altopiano è in pieno stile invernale, neve e gelo. Il programma è quanto mai ambizioso, almeno nel trasporto dei materiali, visto che con o senza fuoristrada abbiamo deciso di trasportare con noi addirittura un generatore. Gli fanno compagnia, alcuni rotoli di cavo gommato grande come una gomena, un allegro trapano demolitore, cibo per passare l’inverno, l’immancabile sacco di corde. La strada è tutta nostra, quasi come i sacchi, quattro maggiorati, più il classico bambino in rapidissima rotazione. Partiamo a mattina, arriviamo a sera; campo fisso nella Fossa della morte, il luogo dove non batte mai il sole.
Una battutina serale a spasso verso monte Alto ci regala i primi buchi interessanti, non è freddissimo, ma la notte qualsiasi cosa funzioni deve soffiare, quindi l’effetto buco nella neve è perfetto per trovare l’introvabile. Sulla cima compaiono due chiazze di prato senza foro, ma basta scavare il prato, è compare qualcosa. Le condizioni sono ottime per trovare i non-buchi, più è larga la chiazza più è importante il non-buco, al centro di ogni non-buco c’è la porta da aprire. Il gioco si fa interessante. Sabato si perlustra tutta la zona fino al Malaina, il sistema è la soluzione finale, in fondo in inverno siamo venuti, ma non così spesso e non con queste condizioni. Dove non ci son chiazze oggi, abbiamo la sicurezza che non ci sia nulla. Ed infatti tra Ciammatura e Malaina, non c’è nulla, bene un posto in meno, però tra colli e collinette, la cresta del 5° elemento diventa sempre più intrigante e misteriosa. Ai buchi già trovati si aggiungono, due, tre, quattro, pozzetti, salette, buchi soffianti, pezzi di meandro, e quanto di più strano si possa immaginare concentrato in pochi metri. C’è un buco che soffia perfino sotto il fuoco che abbiamo fatto la volta precedente. Ovviamente tutto questo non lo avevamo visto. Apriamo tutto l’apribile, l’aria passa, noi no. Si scende a Wolf, stendiamo cavo e disostruttori. I disostruttori non disostruiscono, sono in sciopero, dopo una rapida riunione desistono senza battere colpo. Il generatore sputacchia e ride, il meandro lo ricambia, bestemmiando minaccio di dare fuoco al primo, in quanto al secondo gli prometto di seppellirci dentro almeno uno dei demolitori. La situazione sembra precipitare, la collina soffiante sta diventando la collina maledetta, viene la sera e lei beffarda comincia a soffiare. Portiamo il generatore a calci per un’altra stazione del Golgota: ultima fermata il 5° Elemento, tutto è cominciato qui, tutto finirà qui. Se non si apre con le buone, ci buttiamo dentro generatore, taniche di benzina e facciamo un unico grande botto soffiante. Il campo avanzato si sposta davanti all’ingresso, ed iniziamo le danze. Uno spigolo dopo l’altro il meandro comincia a farsi scuro in volto, gli si legge paura. Attacchiamo il trapano in versione demolitore, un chilowatt di cattiveria si scarica sulla montagna. Il fondo appare tre metri sotto i nostri piedi, siamo dentro e siamo ancora fuori, sotto sembra allargare, almeno i sassi ci vanno e scompaiono, e soffia maledettamente. I botti hanno fatto il loro mestiere, ma adesso senza un trucco ci toccherà disostruire a testa in giù, calati di piedi, posizione scomoda. Si sente puzza di barbatrucco, si avverte che la grotta sta bluffando, non è tutta roccia quella che si vede. Scendo nel meandro ho i piedi ben saldi sul pavimento da eliminare, abbiano cambiato strato, quella cosa simile al marmo che abbiamo sbriciolato fino ad ora, sembra aver ceduto il passo a qualcosa a metà strada tra la pasta frolla ed il pane secco. Forse tre metri di torrone…

“Trapano, in versione demolitore, devo controllare una cosa…”

Dall’imbocco cominciano ad uscire lapidi e monoliti, altrettanti ne scendono per andare ad esplorano prima di noi, l’idea è semplice ed eccitante: scendiamo con tutto il pavimento. Il procedimento si divide in: spacca sotto i tuoi piedi, togli il blocco, e risistemati dieci centimetri più in basso, quindi ripeti come sopra. Sono le sei di sera, scatta la frase volitiva:

“Controllate l’orologio, alle sei è un quarto siamo dentro…”

Ai primi che cazzo dici, segue perplessità nel vedere cavo e trapano che scendono al ritmo della cavalcata delle valchirie, fino a tentativi di sabotaggio del generatore e taglio della corrente per prendere il posto da disostruttore folle e vivere i quindici minuti di gloria. La simbiosi uomo-macchina ha creato una cyber talpa mostruosa. Alle sei e un quarto, minuto più minuto meno, siamo dentro, c’è grotta.
Rattoppati alla peggio ci tuffiamo nel meandro che ha preso dimensioni più che decenti; scende convinto, sfonda e saltella, finché salta più di noi e ci lascia con il naso lungo a guardare dall’alto al basso. Al campo base Polo 1 è festa fino ad esaurimento cibo e legna, considerato che non ci sono altre cose con cui fare la rima, andiamo tutti a dormire esplorando.
Domenica, giorno di conquibus e ritorno, di battere e levare, toccata e fuga. Dovremo riportare a valle generatore varie ed eventuali, sarà lunga e dolorosa, ma ora si esplora. Si riprende a scendere saltini da armare nel vecchio modo, sasso, chiodo, avemaria. Compare un camino alto che puzza di pozzo esterno, siamo sulla via giusta, c’è tracce di acqua quando piove, ed infatti il meandro alto sembra essere un posto molto simile a quello lasciato a Wolf, la direzione è giusta, la quota anche, l’acqua che abbiamo sentito scorreva qui, c’era da aspettarselo, era in piena anche la grotta di Lourd, troppo presto per il collettore, ma la via è giusta. Comincia il latte di monte, certi tratti sembrano proprio firmati Due Bocche, meandro, finestra, laghetto, via buona e via cattiva. Un ringiovanimento con tanto di retroversione a 170° sputa fuori un getto d’aria, ma le dimensioni sono deprimenti, bisogna trovare il trucco. Una finestra più in alto ci porta nel corridoio, c’è aria anche qui, a passare alti sopra lo stretto, forse si trova il modo di riscendere, quasi si passa, una costola o mia o della grotta non è d’accordo, è tardi, si prova di mazzetta, ma senza scalpello e come prenderla a parolacce. Facciamo finta che vinca il buon senso e ci ritiriamo soddisfatti, siamo scesi oltre cinquanta metri, c’è di che ritenersi soddisfatti. Due conti al bar ci dicono che dal nuovo ingresso di quota 1335 la confluenza di -190 si sposta a -250, quindi se togliamo il risalito, almeno 40-50 metri, e lo sceso 50-55, dovrebbero esserci meno di 150 metri, ma se contiamo la distanza e l’idea che abbiamo di dover incontrare il collettore che viene da monte, almeno dal torrente colorato, dovremmo aspettarci qualche sorpresa tra venti trenta metri… La follia è ormai un inquilino stabile delle nostre teste, eppure anche questa volta, mentre parlavo con la costola riottosa, mi è sembrato di sentire un rumore, un rumore di acqua lontana. La congiunzione è solo rinviata.

 
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Tre sale

Post n°17 pubblicato il 08 Settembre 2006 da a.benassi
 
Foto di a.benassi




(19-27 luglio 2002: Andrea Benassi, Paolo Turrini, Simone Re, gruppo speleologico FSTK (Budapest). Campo interno di 4 giorni a -500 nell’area della Lemuria)


Era tardi quando cominciammo a pensare. Forse sarebbe stato difficile farlo prima, e probabilmente non vi saremmo riusciti. Negli angoli bui si affollavano incerti i resti delle cinque lune. Erano frammenti di orge e tracce di lividi bluastri; tutto questo dormiva con noi, e dentro di noi. Il giorno precedente era stato duro: i Glochi dell’est avevano picchiato, e neanche tutta l’armata degli Ussari con la corte della principessa Sissi erano riusciti ad averne ragione. Durante l’ultima luna avevamo fatto troppo rumore, il guardiano era sveglio ed attento, i nostri movimenti sulla sua pelle lo rendevano tremendamente nervoso. Maga Magò e tutta la banda del buco, ci avevano previsto infauste calamità, e così avevamo fatto la gimkana tra pozzi e pozze per evitarle. Con la Maga si scherza meno che col guardiano. E proprio di Ginkana si era trattato, tanto che seguendo una parete finimmo lungo un muro e ci ritrovammo a Santa Cruz della Sierra. Al Fuerte passammo alcune ore masticando coca. I bradipi quando ci si mettono sono lenti a passare, a guardarla da lassu’ la fila pareva non dovesse finire. Guardai il rosso, dormiva della fonda tra le braccia di un dasiuro dalle strie, un dasiuro delle regioni profonde, uno dei peggiori, non lo sapeva, ma rischiava grosso. Non potevo fare nulla per lui. Cominciai a contare i bradipi, qualcuno da dietro un sacco mi passò una collana fatta di denti di demone, i piu’ rumorosi, appena li tocchi stridono come un unghia sulla lavagna. E così ne contai le prime sette dozzine, e poi altre sette gruppi di sette, ammucchiati, a grappoli, appesi dal soffitto, calati negli angoli, erano proprio tanti i bradipi quella notte. Il prato è molto lontano dal Fuerte, finii i denti di demone, prima dei bradipi… fu allora che lungo la via incontrai Elisea, il vento caldo del sud, contammo insieme, abbracciati come il rosso con il dasiuro, finché non si mise a piovere. Il vento del sud non sopporta la pioggia fredda del nord. Il guardiano ne ebbe compassione, non poteva proteggerla dalla brina, allora la prese con se, la strinse e decise di elevarla, alta sopra la pioggia, altissima sopra il nord, la dove non esisteva ne luogo ne luce, ne spazio. Quando pensò di essere abbastanza in alto, si accorse di stringere solo le sue braccia. Elisea, il vento caldo, era scivolato dalla sua presa, riempiendo ogni angolo del nuovo luogo, diluendosi nel suo stesso nome, il nome di se stessa, l’eco di una fuga. E’ così, inseguendo il vento del sud, nacque Borea, il vento freddo del nord, figlia delle gocce pesanti, figlia dell’acqua che ti scivola addosso. Anche lei scomparve inseguendo il suo eco: “ti lascio solo le gocce pesanti, le acque oscure, senza volto, curale, da esse nascerà Anthinea”. Rimasi solo, sempre piu’ stretto tra i bradipi che continuavano ad entrare da ogni direzione.

 
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La suonata degli eretici 15-17 /9/2000 da -410 a -600

Post n°16 pubblicato il 07 Settembre 2006 da a.benassi
 
Foto di a.benassi





“Scusi, sa mica per la nuova Atlantide?”
“Per dove?” faccio mentre cerco di attraversare la vasca da bagno che qualcuno ha scordato alla base del pozzo dove sto scendendo. Bisogna stare attenti, l’ultima volta Antonio si era messo in testa di togliere il tappo e c’è toccato ripescarlo con lo scolapasta prima che scuocesse completamente.
“Allora la sai o no per dove si deve andare? Qui son piu’ di trecento anni che si gira, non che abbia fretta, ma comincia a far fresco.”
Atterro cercando di capirci qualcosa. Capirai si casca bene: un tizio mi guarda un po’ bianchiccio da una porta alta sopra il meandro.
“No no, non ne so nulla di Atlantidi, siamo appena usciti dal monolito nero ed il massimo che cerco è il distributore automatico del caffè, che magari a prenderne quattro o cinque scopro che sto parlando da solo”
“Paolo, quando passi stai attento alla vasca, mentre a questo sulla sinistra, se lo vedi, non gli dare retta è una allucinazione mia, non te ne curare.
Va bene Bacone e la nuova Atlantide, ma tutto ha un limite o almeno dovrebbe averlo, penso mentre cammino lungo il meandro azzurro:
“Ma sarà una cosa normale?” domando al rosso, mentre siamo immersi nell’acqua fino alla pancia, i sacchi alti sopra la testa ed i Viet che ci guardano dalle pareti.
“Normale come un faraone eretico” risponde, mentre sulle pareti sfilano cartigli e bestemmie.
“Si dice che anche lui si fosse comprato un rotolo di edelrid da 8 e fosse partito sulla via di Uruk ad esplorare, dando in culo a tutto il consiglio dei sacerdoti”
“E che fine ha fatto?” domando, senza perdere d’occhio le facce che mi guardano ostili da dietro i bambu’, e tenendo pronto il passaporto diplomatico.
“L’hanno sepolto vivo cancellando il suo nome dalla faccia della terra…
Ma si sono scordati di ciò che sta sotto, così ha riempito i meandri e le gallerie del sottomondo di maledizioni contro i suoi nemici, ha avvelenato le loro acque, e quelli si che hanno stirato le zampe.
Adesso si dice che lo si possa vedere lungo i gorghi del Mealstrom, e piu’ giu’ nella terra dell’Ultima Thule, dove non deve rendere conto a nessuno, nessuno gli rompe le palle, e lui continua ad esplorare”
Intanto anche questa galleria è finita nell’ennesimo lago:
“Io ho portato i sacchi, tocca a te costruire la zattera con i gambi dei funghi giganti” dico convinto.
“Si ma questa è l’ultima…”
“si, si, l’ultima prima del bar sotto il mare.”

 
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Vecchie storie a Campo di Caccia

Post n°15 pubblicato il 07 Settembre 2006 da a.benassi
 
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25-6-2000 Da -80 a -230

I° Ballata delle Acque Bianche

Il pavimento manca, scompare; per magia lo rivediamo sonnecchiante almeno trenta metri piu’ in basso: tra ombre nere e limacciose. Nessun problema, pensano i due piccoli esploratori vichinghi; che da quando sono entrati nel grande souffles si sono abituati a viaggiare nella notte senza luna, ed a veder scomparire la terra sotto i piedi.
Cinque anni di lievitazione, tanto ha preteso il gran cuoco degli abissi; ma ne è valsa la pena, è venuto proprio bene.
Pensare che in molti lo volevano ormai scaduto, andato a male, marcito dalla troppa acqua…ed invece era solo questione di tempo e pazienza. Di acqua c’è né e c’è né venuta; il mare a queste latitudini dev’essere molto mosso. Se dovesse venire a burrasca non ci rimarrebbe che metterci alla cappa su qualche scoglio ed aspettare…
Ma per ora c’è calma piatta, quindi cazza la randa e molla la drizza, che bisogna ammainare tutto fino al fondo.
“Qui c’è da fare un bel lavoretto mi raccomando, lo dobbiamo legare proprio per le feste” mi sussurra Erik il Rosso. Annuisco sicuro e svuoto il mio cestino per il pranzo. Ne guadagno un mozzicone di candela, una manciata di chiodini, qualcosa di simile ad un picchetto per tenda, un filo a piombo, qualche bacarozzo rinsecchito un pugno di briciole ed un martello da odontotecnico. Niente panico, ce la possiamo fare. Alcuni minuti dopo il paletto mi guarda preoccupato da una fessura, farfuglia qualcosa a proposito di vertigini, paura di cadere. Provo a rassicurarlo, inutile, mi risponde con una pernacchia metallica. Ingrato chi ha bisogno di te, penso mentre avvito in fretta una placchetta sbilenca: “io al fondo ci arrivo anche da solo…” il chiodo mi guarda e mi dà ragione.
Sto per scendere, quando mi appare Sir Ernest Shecklenton in una fiammata bianca di acetilene: galleggia sopra il pozzo.
“Salve ragazzi, io sto accampato qua sotto con i miei uomini, a Campo Oceanico, se ci volete raggiungere per uno spezzatino di foca ci farebbe piacere”
Non siamo proprio convinti, però rifiutare pare brutto, e poi è tanto tempo che non hanno ospiti.
“Siamo onorati, giusto il tempo di scendere” rispondo.
“Benissimo, ed adesso vorreste magari che vi facessi il trucco della corda fantasma?” riprende il boss.
Annuisco pensando che forse almeno di una corda ne ho proprio bisogno. Lui mette la mano nella tasca e ne tira fuori una cordina, con un nodino, piccolo piccolo, me la passa e comincia a filarla. Sembra non finire piu’, e piu’ tira e piu’ la corda diventa sottile, sempre piu’ sottile; quando arriva al nodo ormai è una bava di gnomo. Me la porge tutta nel palmo di una mano, quindi senza salutare precipita nel pozzo con un boato misto a rumori di risacca e versi di pinguino. Non lo trovo di buon auspicio; anche questa volta il chiodo annuisce dandomi ragione.
Il pozzo è bello, la roccia bianca e pulita, tutta istoriata con denti fossili di Velociraptor, la corda tocca appena appena; in fin dei conti non riesco proprio a giustificare quel fastidioso rivoletto di sudore che mi cola lungo la schiena fino nelle mutande.
“Che te la reggo io la corda…” mi fa con voce rauca un Coboldo seduto a cavalcioni di un grande dente di squalo.
“Si, grazie, mi faresti un favore”
“Ma figurati, se non ci aiutiamo tra noi…” risponde amichevole e si mette la corda al collo creando un comodo frazionamento.
Atterro pensando con riconoscenza alla pazienza del Coboldo.
“Sei arrivato tardi, è finito” mi fa un mozzo araucano da sotto un telo termico.
“Mi spiace, lo spezzatino è finito, gli uomini avevano fame, ma se vuoi ti possiamo regalare un otre di pelle di foca, ti potrebbe essere molto utile”
Si intromette il Capitano.
“Lo sai che un recipiente, ogni recipiente, è matrice di spazio, generatore potenziale di universi?”
Mi guarda con due occhietti spiritati e mi passa un grosso oggetto nero… lo prendo poco convinto, una targhetta con le istruzioni svolazza attaccata:
“Otre alchemico. Spazio in espansione, maneggiare con cura. Firmato Arné Sacknussemm”
Accosto un occhio all’imboccatura del recipiente, guardo, e rimango in silenzio.
“Allora cosa c’è dopo il Campo Oceanico?”
La voce del Rosso cadendo dall’alto interrompe la scena, il suo tono tradisce attesa.
“Niente” rispondo calmo. “Qui è pieno di stelle”.

 
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Sezione fresca d'inchiostro

Post n°14 pubblicato il 04 Settembre 2006 da a.benassi

La prima elaborazione della sezione conferma che ci siamo fermati a -640 su pozzo ignoto. La lunga serie di verticali precenti alla fine si può benissimo considerare un solo grande P96 "Action Mutante". Da una prima occhiata alla poligonale della pianta è confermata la direzione W NW, che ci porta a circa 100 metri in direzione 300° dal vecchio fondo. Praticamente sotto la prima vetta della Malaina e probabilmente già in una zona condizionata dalla grande faglia.

 
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Ouso di Passo Pratiglio - Post Sifone

Post n°13 pubblicato il 04 Settembre 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi


 
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Action Mutante... ovvero nuove dall'Ouso del Pratiglio

Post n°12 pubblicato il 03 Settembre 2006 da a.benassi

Nonostante avessimo qualche dubbio siamo riusciti ad uscirne vivi anche questa volta. Siamo entrati con una buona parte delle corde riportate dal disarmo di Campo di Caccia, giovedì mattina sul presto, e ne siamo usciti il venerdì pomeriggio. Arrivati ormai oltre le 30 ore, di cui più di venti con le mute, cominciamo ad essere abbastanza preoccupati su quanto ci resta prima di marcire direttamente dentro il neoprene. Il problema è che la grotta continua e dei nostri limiti umani se ne infischia. Dai circa -550 (in realtà -530) dell'ultima volta siamo scesi fino a -650. Rimasti con uno spit un moschettone ed una corda da 15 da 8mm siamo stati umiliati dall'ennesimo pozzo da 30-40. Per capirci qualcosa abbiamo fatto il rilievo strumentale fino al vecchio fondo. Ad un primo conto ci sembra che le stime fatte fossero abbastanza corrette, circa  20 metri di sovrastima. A questo punto la grotta dovrebbe per ora aggirarsi sui -680. Il ritmo è sempre lo stesso: pozzo, cengia stretta, pozzo, pozza, pozzo, cengia larga, pozzo. Praticamente non si riesce ad uscire da questa sequenza di verticali, sempre battute dall'acqua, con un diametro tra i 5 ed i 7 metri. L'idea è che si stia scendendo praticamente dentro il fascio di faglie che spacca in due il Malaina, e  che si vede anche in esterno. Lo spostamento dal rilievo sembra inestistente, e come sospettato, ogni pozzo ritorna sotto il precedente. L'aria continua a salire dal fondo, e fino ad ora abbiamo incontrato solo un'altro arrivo attivo. Per il resto un tubo. Ad una quota di circa  670slm, le prospettive cominciano ad essere emozionanti, ma devono seriamente fare i conti   anche con i limiti degli esploratori. La prossima punta andrà pensata ed organizzata molto bene, magari pensando ad un preventivo trasporto di materiali. Per difenderci dal freddo e dalla marcescenza invece non sappiamo proprio più che inventarci, ogni suggerimento è benvenuto.
A breve inseriremo il rilievo reale ed una descrizione delle nuove zone esplorate.

 
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